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Attualità

Modifiche alla Direttiva Transparency: le novità della proposta di modifica al TUF in consultazione

16 Ottobre 2015

Dario Prestamburgo

Di cosa si parla in questo articolo

Lo scorso 12 ottobre, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha posto in consultazione la proposta di modifica al D. Lgs. n. 58/1998 (TUF) in attuazione della Direttiva 2013/50/UE, recante modifiche, tra l’altro, alla Direttiva Transparency (Direttiva 2004/109/CE) (cfr. contenuti correlati).

Tra gli obiettivi principali del legislatore europeo vi è quello di rendere i mercati maggiormente attraenti per le PMI e, in generale, alleggerire gli oneri informativi gravanti sugli emittenti quando tali oneri non trovano una legittima giustificazione nella tutela del mercato, degli investitori e dei risparmiatori, andando invece ad incidere negativamente sui costi amministrativi degli emittenti.

Le modifiche al TUF poste in consultazione dal MEF (e redatte con l’ausilio della Consob) sono dunque volte al mantenimento di un appropriato regime di trasparenza per gli emittenti valori mobiliari in mercati regolamentati, nonché al contenimento dei costi degli oneri amministrativi posti in capo agli investitori ed agli emittenti stessi, in particolare quelli di piccole e medie dimensioni.

Le modifiche proposte si riferiscono ad alcune definizioni del testo unico, alla disciplina degli emittenti (parte IV del TUF), con maggior riguardo ai temi dell’informazione societaria (titolo III, capo I) e degli assetti proprietari (titolo III, capo II), e all’apparato sanzionatorio (parte V).

Nel dettaglio, all’art. 1 TUF sono stati inclusi, tra gli “emittenti quotati”, le associazioni di imprese registrate e i trust. In particolare, il riferimento ai trust – introdotto per espressa previsione della Direttiva 2013/50/UE (articolo 1, lett. b) – senza alcuna specificazione ulteriore, potrebbe generare alcuni dubbi considerata la natura di tale istituto, che non ha una sua specifica regolamentazione nel diritto italiano e, come sottolineato dalla Consob, può comportare “il depotenziamento della trasparenza degli assetti proprietari” (si veda il documento di consultazione della Consob del 21 giugno 2013 relativo a “Comunicazione di carattere generale in materia di obblighi di trasparenza delle partecipazioni rilevanti riconducibili ai trust”).

Rinnovata anche la definizione di “PMI” che, nella nuova proposta, si riferisce a società (i) con un fatturato di trecento milioni di euro (dato numerico rimasto invariato rispetto al precedente assetto normativo) anche quando questo non sia riscontrabile dal bilancio approvato relativo all’ultimo esercizio, come invece richiede la disposizione vigente; o (ii) con una capitalizzazione di mercato inferiore ai cinquecento milioni di euro, eliminando dunque il riferimento al requisito della capitalizzazione media nell’ultimo anno solare. Le modifiche proposte ridurrebbero le difficoltà di quelle PMI di nuova costituzione che non hanno ancora un bilancio approvato o che non possono calcolare la capitalizzazione media di mercato. Peraltro, viene demandata alla Consob la predisposizione di un regolamento che disciplini, tra l’altro, le modalità informative cui sono tenuti gli emittenti in relazione all’acquisto o alla perdita della qualifica di PMI che, si ricorda, ai sensi dell’art. 120, comma 2 del TUF, consente di effettuare le comunicazioni per le partecipazioni rilevanti al raggiungimento della soglia differenziata del 5% invece che del 2% del capitale sociale.

Tra le proposte di modifica più rilevanti spicca quella all’art. 113-ter TUF, che consente agli emittenti di evitare la pubblicazione delle informazioni regolamentate sui quotidiani nazionali, mantenendo i soli obblighi di comunicazione col mezzo informatico (SDIR, meccanismo di stoccaggio autorizzato della Consob e sito dell’emittente). La modifica proposta, oltre ad essere opportuna per la più rapida e meno costosa circolazione delle informazioni che è garantita dal mezzo informatico, si rende necessaria in quanto la normativa vigente, che prevede la pubblicazione sulla stampa, viola il c.d. divieto di goldplating, ossia il divieto di introdurre o mantenere, nel recepimento di direttive comunitarie, livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse. Tali limite è superabile solo in presenza di circostanze eccezionali che devono essere adeguatamente motivate. Nel caso in esame, la pubblicazione delle informazioni regolamentate sulla stampa non comporta maggiore garanzia per i risparmiatori in quanto le informazioni sono ampiamente rese disponibili con i mezzi informatici di cui sopra.

Altra modifica di rilievo concerne la proposta di innalzamento della soglia di partecipazione minima dal 2% al 3%del capitale sociale per le comunicazioni sulle partecipazioni rilevanti ai sensi dell’art. 120 TUF. Sul punto, si ricorda che la Direttiva Transparency fissava un obbligo di comunicazione al raggiungimento della soglia minima del 5%, con possibilità di deroga di cui il legislatore nostrano ha fatto ampio uso (prevedendo una soglia minima per la comunicazione al 2%). Conformemente, la Direttiva 2013/50/UE (considerando n. 12) rileva che gli Stati membri non dovrebbero essere autorizzati ad adottare norme più restrittive rispetto a quelle disposte nella Direttiva Transparency concernenti il calcolo delle soglie di notifica. Tuttavia, la possibilità di derogare a tali soglie minime per il singolo Stato membro,è giustificata dal diverso grado di concentrazione della proprietà azionaria e dalle differenti modalità di controllo degli emittenti (considerando il rapporto tra numero di azioni detenute e diritti di voto esercitabili) riscontrabili nei Paesi aderenti all’Unione Europea. Inoltre, la stessa Direttiva 2013/50/UE consente di derogare alle soglie minime previste dalla Direttiva Transparency per ipotesi critiche quali offerte pubbliche di acquisto, operazioni di fusione e altre operazioni che impattino sulla proprietà o sul controllo degli emittenti.

Nell’ottica di armonizzare la disciplina italiana con quella degli altri ordinamenti, pur tenendo conto delle specificità del nostro mercato azionario, il MEF ha proposto un innalzamento della soglia minima rilevante per le comunicazioni delle partecipazioni rilevanti dal 2% al 3% del capitale sociale. Così facendo, da un lato si allineerebbe la disciplina italiana a quella della maggioranza dei Paesi europei (attualmente le soglie di rilevanza riscontrabili in Europa sono le seguenti: Regno Unito: 3%; Germania: 3%; Spagna: 3%; Olanda: 3%; Portogallo: 2%; Repubblica Ceca: 3%; Irlanda: 3%; Italia: 2%; Francia: 5%, Lussemburgo: 5%, Austria: 4%); dall’altro si favorirebbe l’afflusso di capitali sul mercato azionario da parte degli investitori istituzionali che, di norma, tendono a non superare le soglie di rilevanza in materia di comunicazione degli assetti proprietari, al fine di non rendere pubbliche le proprie strategie di gestione.La proposta di modifica pare congrua, soprattutto se si considera (come rilevato dal Presidente della Consob, Giuseppe Vegas, in occasione dell’audizione in Senato per il recepimento della Direttiva 2013/50/UE) che un innalzamento ulteriore della soglia minima (ad esempio al 5% per tutti gli emittenti) potrebbe costituire un rischio in termini di riduzione del livello di trasparenza, soprattutto nelle società a maggiore capitalizzazione in cui le soglie inferiori al 5% possono essere rilevanti ai fini degli assetti di governance. Ciò non toglie che, per evitare fenomeni di forum shopping legati alle diverse soglie previste dagli Stati membri, il recepimento della Direttiva 2013/50/UE dovrebbe tenere conto anche delle scelte operate negli altri ordinamenti europei.

Degne di nota le modifiche proposte all’art. 154-ter TUFrecante obblighi in materia di informativa periodica degli emittenti. Ai sensi della norma vigente, gli emittenti devono mettere a disposizione del pubblico (i) la relazione finanziaria annuale comprendente il progetto di bilancio di esercizio entro centoventi giorni dalla chiusura dell’esercizio; (ii) la relazione finanziaria semestrale entro sessanta giorni dalla chiusura del primo semestre di ciascun esercizio; e (iii) il resoconto intermedio di gestione entro i quarantacinque giorni successivi alla chiusura del primo e del terzo trimestre di esercizio. Nell’assetto attuale dunque, gli emittenti sono obbligati a predisporre e comunicare al mercato la documentazione finanziaria e contabile ogni tre mesi.

La modifica proposta lascia sostanzialmente invariato il termine di cui al punto (i) per quanto riguarda la relazione annuale (si prevede una mera modifica terminologica da “centoventi giorni” a “quattro mesi”);estende il termine di cui al punto (ii), prevedendo che la relazione semestrale dovrà essere pubblicata “non appena possibile e comunque entro tre mesi dalla chiusura del primo semestre dell’esercizio”; infine, elimina del tutto l’obbligo del resoconto intermedio di gestione lasciando alla Consob il potere di prevedere, con proprio regolamento, obblighi di disclosure aggiuntivi per la documentazione finanziaria, sempre in accordo a quanto previsto dalla Direttiva Transparencye dalla Direttiva  2013/50/UE.

La revisione della superiore disciplina trova giustificazione nel considerando (4) della Direttiva 2013/50/UE secondo cui la pubblicazione delle relazioni trimestrali rappresenta un onere significativo per molti piccoli e medi emittenti senza essere necessario per la tutela degli investitori. Ma la considerazione più rilevante è che tali obblighi incoraggerebbero il fenomeno del c.d. short-termism, ossia la maggiore attenzione per i risultati a breve termine, che devono essere comunicati al mercato ogni tre mesi, a scapito degli investimenti a lungo termine. In sostanza, l’obbligo di informativa trimestrale non solo non è ritenuto di alcuna utilità per gli investitori, ma sarebbe addirittura dannoso per l’impresa stessa. Tale interpretazione, certamente tranchant, è controbilanciata da alcune deroghe che consentono agli Stati membri di prevedere più stringenti obblighi di disclosurealle seguenti condizioni: (i) le informazioni finanziarie periodiche aggiuntive non devono comportare un onere finanziario sproporzionato nello Stato membro in questione, in particolare per i piccoli e medi emittenti interessati; (ii) il contenuto delle informazioni finanziarie periodiche aggiuntive richieste deve essere proporzionato ai fattori che contribuiscono alle decisioni di investimento assunte dagli investitori nello Stato membro d’origine. Di tali limiti la Consob dovrà tenere conto per l’emanazione delle disposizioni regolamentari sull’informativa periodica aggiuntiva. Inoltre, rimane ferma la facoltà, per ciascuno Stato membro, di imporre agli emittenti soggetti a vigilanza prudenziale la pubblicazione di informazioni periodiche aggiuntive.

Si sottolinea che la Consob ha già manifestato la sua preoccupazione per l’eliminazione tout court delle relazioni trimestrali (si veda la già citata audizione del Presidente Vegas), ritenendole necessarie per gli emittenti di maggiori dimensioni e per le società finanziarie. È dunque plausibile prevedere che la deroga alla pubblicazione dei resoconti intermedi di gestione verrà prevista solo per le PMI da apposite norme regolamentari che saranno emanate dalla Consob.

Infine, come anticipato, le modifiche suggerite includono la rivisitazione di alcune disposizioni in materia sanzionatoria, sulla scorta della Direttiva 2013/50/UE (considerando 16 e 17) che auspica: (i) l’adozione di sanzioni amministrative pecuniarie sufficientemente elevate per essere dissuasive; (ii) l’introduzione di sanzioni dirette ai componenti degli organi di amministrazione, gestione, sorveglianza o controllo per gli illeciti commessi dall’ente per cui agiscono; (iii) la previsione, per le violazioni più gravi, di sanzioni volte a sterilizzare il voto dei soggetti che non adempiono agli obblighi di notifica delle partecipazioni rilevanti; (iv) la pubblicazione delle sanzioni irrogate per garantire l’effetto deterrente sul grande pubblico.

Molti dei profili analizzati dalla direttiva in oggetto sono già regolamentati nel TUF, ciononostante il recepimento della direttiva recherebbe con sé un generale inasprimento (rectius: razionalizzazione) delle sanzioni connesse alla mancata disclosure circa:

(i) l’adesione o meno ai codici di autodisciplina (secondo il meccanismo di comply or explain di cui all’art. 123-bis, comma 2, lett. (a) del TUF);

(ii) le informazioni price sensitive di cui agli artt. 114 e 114-bis del TUF, le informazioni richieste dalla Consob ai sensi dell’art. 115, le informazioni relative ai registri insider (art. 115-bis), nonché le informazioni di natura finanziaria di cui agli artt. 154-bis, 154-ter e 154-quater (quest’ultimo, la cui introduzione è oggetto delle proposte di modifica, fa riferimento alla trasparenza dei pagamenti ai governi);

(iii) l’acquisizione o la perdita di partecipazioni rilevanti e/o reciproche;

(iv) l’esistenza di patti parasociali.

Nel caso di omessa informativa su uno degli elementi appena descritti, le nuove sanzioni prevedrebbero: (a) una dichiarazione pubblica indicante la persona giuridica responsabile della violazione nonché la natura della stessa; (b) un ordine di eliminare le infrazioni contestate, eventualmente corredato dalle misure da adottare e dai relativi termini; (c) una sanzione amministrativa pecuniaria per l’ente, da euro diecimila a euro dieci milioni o, se superiore, commisurata al 5% del fatturato annuo complessivo; (d) una sanzione amministrativa pecuniaria da euro diecimila a euro due milioni per gli esponenti aziendali e il personale della società quando la loro condotta ha inciso in modo rilevante sulla complessiva organizzazione o sui profili di rischio aziendali, ovvero ha provocato un grave pregiudizio per la tutela degli investitori o per l’integrità ed il corretto funzionamento del mercato (la medesima sanzione è applicabile alle persone fisiche che omettano di comunicare l’acquisizione di partecipazioni rilevanti o di adesione a patti parasociali).

Nel complesso, le proposte di modifica poste in consultazione sembrano congrue rispetto a quanto prescritto dalla Direttiva2013/50/UE nonché rispetto alle disposizioni della legge di delegazione europea (legge n. 114/2015) che demanda al governo l’emanazione di decreti legislativi per il recepimento della suddetta direttiva.

L’innalzamento della soglia per le comunicazioni di partecipazioni rilevanti avvicina il nostro ordinamento a quello dei “concorrenti” europei, tuttavia è bene ricordare che alcuni diritti fondamentali degli azionisti sono collegati alla titolarità di una partecipazione pari a un quarantesimo del capitale sociale (2,5%) (si pensi al diritto di chiedere l’integrazione dell’ordine del giorno e di fare proposte nella fase preassembleare come previsto dall’art. 126-bis del TUF, al diritto di presentare una lista per la nomina degli amministratori ai sensi dell’art. 147-ter TUF, o anche alla possibilità – pur molto sporadica nella pratica – di esercitare l’azione sociale di responsabilità ai sensi dell’art. 2393-bis c.c.). La nuova soglia proposta per le comunicazioni (3%) potrebbe dunque consentire a determinati soci di influenzare la governance societaria pur non obbligando gli stessi a comunicare al mercato la propria partecipazione, ove compresa tra il 2,5% e il 3% del capitale sociale.

Per quanto concerne l’affievolimento degli obblighi di informativa periodica, pur osservandosi una effettiva riduzione degli oneri amministrativi in capo agli emittenti, la valutazione complessiva del nuovo assetto normativo, allo stato, rimane incompleta in attesa degli appositi regolamenti che la Consob dovrà predisporre.
Encomiabile pare, infine, la proposta atta ad eliminare l’obbligo di pubblicazione delle informazioni regolamentate sulla stampa nazionale, così come il generale riassetto di alcune sanzioni amministrative con nuovi limiti edittali diversificati in base al soggetto che commette l’illecito (persona giuridica o persona fisica).

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