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Giurisprudenza

Storno di assegno bancario e violazione degli obblighi di buona fede da parte della banca

12 Febbraio 2013

Avv. Filippo Maria De Stefano Grigis

Giudice di Pace di Ottaviano, 26 ottobre 2012

Di cosa si parla in questo articolo

Massima

La Banca negoziatrice che, a distanza di mesi dalla presentazione per l’incasso di un assegno bancario, regolarmente accreditato sul conto corrente del cedente all’incasso, storna l’operazione di accredito adducendo che il traente, a distanza di poco più di un mese dalla negoziazione del titolo, ne aveva denunciata l’alterazione dell’importo espresso sia in cifre che in lettere, risponde per violazione del canone di buona fede, ai sensi degli artt. 1374 e 1375 cod. civ., oltre che per violazione della misura della diligenza dell’accorto bancario ex art. 1176, comma 2, cod. civ. e, per l’effetto, è tenuta a restituire l’importo stornato al proprio correntista, maggiorato degli interessi.

Commento

Il tema riguarda l’annoso rapporto quadrilaterale nel caso di un assegno bancario negoziato, accreditato sul conto corrente del cedente all’incasso e che, decorso il noto termine interbancario di tre giorni lavorativi dalla presentazione (per cui scatta la presunzione assoluta di “pagato”) viene poi denunciato contraffatto/smarrito/sottratto da parte del titolare del conto corrente di traenza. Dico “rapporto quadrilaterale”, perché i soggetti in campo sono almeno quattro: il titolare del c/c di traenza (che, per brevità, chiamerermo “traente”, pur non essendolo nel caso di falsità della firma di traenza), la Banca trattaria, il cedente all’incasso (o girante per l’incasso) e la Banca negoziatrice. Prendiamo, però, le mosse dal caso di specie, per dare un volto a questi soggetti e per descrivere meglio, sia pure in modo semplificato, le operazioni bancarie che sono un po’ in ombra nella sentenza in commento, mentre sono dirimenti in termini di responsabilità restitutoria/risarcitoria.

Il giorno 17 aprile 2000 Tizio si reca presso la Banca Alfa (Banca negoziatrice) e cede all’incasso un assegno bancario di Lire 5.640.000= (€ 2.912,82=) tratto da Caio (traente) sulla Banca Beta (Banca trattaria). La Banca Alfa accredita l’assegno sul c/c di Tizio, salvo buon fine del medesimo, ed addebita la Banca Beta per l’importo di Lire 5.640.000=. La Banca Beta, a sua volta, addebita il c/c di Caio per lo stesso importo, ed il cerchio – chiamiamolo così – delle operazioni di accredito e di addebito si chiude. Gli è, però, che l’11 maggio 2000 Caio denuncia alla locale Stazione dei Carabinieri che l’assegno sarebbe stato contraffatto nell’importo espresso sia in cifre che in lettere. A questo punto non appare succedere nulla (o nulla, comunque, risulta dalla sentenza) e si arriva al 23 marzo 2001, allorquando la Banca Alfa storna l’operazione di accredito sul c/c di Tizio per l’importo di Lire 5.640.000=. Tizio ne chiede la restituzione alla Banca Alfa in sede giudiziale. La Banca resiste, ma è condannata a restituire questo importo, maggiorato degli interessi. Questo è il caso, che il GdP risolve ricorrendo ai principi generali di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto, oltre che alla dovuta misura della diligenza professionale da parte del buon bancario che, se non deve essere un esperto calligrafo, deve, però, essere in grado di rilevare ictu oculiuna alterazione, pur se non grossolana, come sarebbe rilevante in sede penale. Tutto risolto? Solo all’apparenza.

Dico solo all’apparenza, perché il GdP avrebbe dovuto, in realtà, risalire alla filiera delle operazioni di accredito e di addebito, e, alla luce di questa, approfondire il tema delle possibili responsabilità, da un lato, della Banca trattaria nei confronti del traente, dall’altro, della Banca negoziatrice nei confronti sia della Banca trattaria che del proprio cliente/cedente all’incasso. Tutto ciò sul presupposto che il noto termine di tre giorni lavorativi dalla presentazione per la presunzione assoluta di pagamento sia ormai decorso e tale presunzione sia, quindi, operativa. Quanto al rapporto tra Banca trattaria e traente, è pacifico che si tratti di un rapporto contrattuale in forza del contratto di c/c e della annessa convenzione assegno, e che

la Banca trattaria sia tenuta alla verifica del titolo prima dell’addebito al traente secondo la misura della diligenza professionale del buon bancario. Ciò posto, nel momento in cui il traente si avvede dell’avvenuto addebito di un assegno bancario contraffatto; denuncia, quindi, tale contraffazione e chiede alla propria Banca il risarcimento dei danni subiti, questi non fa altro che agire ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., con tutte le conseguenze in termini di onere della prova a carico della stessa Banca; la quale, per andare esente da responsabilità, dovrebbe dimostrare che l’inadempimento “è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”, avendo assolto alla misura della suddetta diligenza. Probatio (molto spesso) diabolica(!) per la Banca, che dovrà risarcire il proprio cliente con tante scuse. Per questo risarcimento, però, sono possibili due scenari.

Primo scenario. La Banca trattaria dialoga con la Banca negoziatrice (dialogo ovviamente telematico) per ottenere dal cedente all’incasso un riconoscimento di debito (capitale+interessi). Il cedente riconosce di essere debitore; in forza di tale riconoscimento, la Banca negoziatrice può addebitare il c/c del medesimo (stornando, di fatto, l’originaria operazione di accredito) ed accreditare la Banca trattaria, che, a sua volta, accrediterà il c/c del traente.

Secondo scenario. La Banca trattaria dialoga con la Banca negoziatrice per quanto sopra. Il cedente all’incasso, però, non riconosce di essere debitore. A questo punto, la Banca negoziatrice deve prendere atto del vincolo contrattuale di c/c, e che, quindi, non può, senza l’autorizzazione del proprio cliente, stornare l’operazione di accredito dell’assegno, che è ormai perfetta. Vero è che esistono, da un lato, il mandato all’incasso conferito dal cedente alla Banca negoziatrice, e, dall’altro, il sub mandato conferito dalla Banca negoziatrice alla Banca trattaria, per adempiere al mandato all’incasso. Ma il sub mandato si esaurisce con l’originario addebito al traente, mentre il mandato si esaurisce con l’originario accredito al cedente all’incasso e la presunzione assoluta di pagato; di talchè l’ipotesi di un successivo storno a carico del cedente all’incasso resta tutta nell’alveo della disciplina del contratto di c/c che, per l’appunto, presuppone un ordine di addebito impartito dal cliente alla Banca negoziatrice.

Né, peraltro, il rischio dell’addebito può essere sopportato direttamente dalla Banca negoziatrice, con un addebito unilaterale da parte della Banca trattaria. Ciò in quanto la Banca negoziatrice si limita a negoziare il titolo in nome e per conto del cedente all’incasso, salvo il buon esito del medesimo; ed essendo viceversa la Banca trattaria unica ed esclusiva responsabile, nei confronti del proprio cliente/traente, della verifica del titolo secondo il maggior grado di attenzione e prudenza richiesto dalla professionalita` del servizio espletato.

Ciò posto, se il cedente all’incasso non autorizza la scrittura di storno, non si vede proprio come possa superarsi la disciplina contrattuale del rapporto di c/c, con storno motu proprioda parte della Banca negoziatrice. A quest’ultima non resterà altro che comunicare alla Banca trattaria il rifiuto del proprio cliente; la quale Banca trattaria, per un verso, stornerà l’addebito al traente, con una scrittura in AVERE sul c/c del medesimo; per l’altro, manterrà una partita aperta in DARE, potendo agire per il suo recupero nei confronti del cedente all’incasso, vuoi sul piano penale, vuoi sul piano civile, quantomeno per arricchimento senza causa exart. 2041 cod. civ..

In questo quadro, è senz’altro vero che uno storno dell’accredito, a distanza di tempo, da parte della Banca negoziatrice sul c/c del cedente all’incasso è contrario a correttezza e buona fede, perché si è “[…] di fronte al fatto del lasso di tempo sicuramente notevole, e tale […] da ingenerare nell’ignaro mandante [il cedente all’incasso] la convinzione dell’avvenuto buon esito dell’operazione affidata alla mandataria” (Cass. civ. Sez. I, 22.06.2001, n. 8524).  Ma la questione è – come si è visto – ancora più a monte e prescinde dal lasso temporale intercorso tra l’accredito dell’assegno salvo buon fine e lo storno (tanto più che la citata giurisprudenza di legittimità riguardava ricevute bancarie cartacee, per le quali non sussiste alcuna presunzione assoluta di pagato). Si tratta, cioè, di stabilire se, una volta decorso il termine di tre giorni lavorativi dalla presentazione del titolo, essendo ormai operativa la presunzione assoluta di pagato dell’assegno, possa ancora la Banca negoziatrice, sulla base della disciplina del contratto di c/c e della annessa convenzione assegno, addebitare il c/c del proprio cliente anche in assenza di una sua esplicita autorizzazione o, peggio, di fronte al suo netto rifiuto. La risposta, per tutto quanto sopra, è negativa e rimette alla Banca trattaria (che abbia stornato l’addebito al traente) ogni eventuale iniziativa di recupero nei confronti del cedente all’incasso, che, per l’appunto, si sarebbe arricchito senza causa a danno, in ultima istanza, della Banca trattaria.

 

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