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Giurisprudenza

Il delitto di omessa dichiarazione sussiste anche in presenza di attività accessorie esenti dal regime IVA

29 Gennaio 2019

Avv. Mattia Miglio

Cassazione Penale, Sez. III, 28 marzo 2018, n. 46715 – Pres. Cavallo, Rel. Di Nicola

La presente pronuncia offre importanti spunti di riflessione in merito all’individuazione – ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs. 74/2000 – dei soggetti passivi di imposta obbligati alla presentazione della dichiarazione I.V.A., nelle ipotesi in cui le attività imprenditoriali svolte siano in parte esenti dall’imposizione fiscale.

Questa, in estrema sintesi, la vicenda: il G.i.p. di Venezia emetteva decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca nei confronti della Legale Rappresentante di una S.a.s. operante nel settore del trasporto pubblico, alla quale la Pubblica Accusa contestava il delitto di omessa dichiarazione ex art. 5 del D.Lgs. 74/2000 per non aver presentato la dichiarazione annuale I.V.A. con riferimento a tre annualità.

Il decreto di sequestro veniva confermato dall’ordinanza di riesame avverso la quale veniva presentato ricorso per cassazione, sull’assunto per cui le uniche attività svolte dalla S.a.s. riguardavano prestazioni di trasporto pubblico, le quali, come noto, fruirebbero del regime di esenzione I.V.A. ex art. 10, punto 14 del D.P.R. 633/1972, esonerando così i legali rappresentanti delle attività esenti dall’obbligo di presentare la dichiarazione annuale.

Sennonché, ove trovasse accoglimento tale soluzione, non resterebbe che prendere atto che non sussistono i presupposti necessari per integrare il delitto di omessa dichiarazione ex art. 5 D.Lgs. 74/2000, dal momento che, come noto a tutti, tale fattispecie delittuosa costituisce un reato proprio che può essere commesso solo dall’obbligato alla presentazione della dichiarazione dei redditi o I.V.A. o dal sostituto di imposta.

Tuttavia, la Suprema Corte respingeva i rilievi della difesa, prendendo, in prima battuta, spunto dal testo dell’art. 10, comma 1, punto 14 del D.P.R. 633/1972, il quale manda esenti dal regime I.V.A. “le prestazioni di trasporto urbano di persone effettuate mediante veicoli da piazza o altri mezzi di trasporto abilitati ad eseguire servizi di trasporto marittimo, lacuale, fluviale e lagunare.”

Tuttavia, proseguono le motivazioni, tale esenzione non opera tout court a favore di qualsivoglia soggetto che presti sempre e comunque servizi di trasporto, anche affiancato da attività sottoposte al regime I.V.A.

Restano infatti assoggettati alla presentazione della relativa dichiarazione annuale I.V.A. anche coloro che prestino tale servizio in via strumentale, accessoria o comunque non principale rispetto a una prestazione principale avente propria utilità economica e, quindi, non esente dal regime I.V.A.

Infatti, si legge nelle motivazioni, è proprio il parametro dell’eventuale accessorietà della prestazione in sé e per sé esente rispetto a una prestazione principale non esente, a costituire l’unico criterio in grado di distinguere i soggetti passivi di imposta dai soggetti esentati: “costituisce prestazione esente, ai sensi dell’art. 10, primo comma, n. 14, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 esclusivamente una prestazione accessoria ad una prestazione principale di trasporto […] in maniera che soltanto una operazione accessoria, ad operazioni non imponibili, può considerarsi anch’essa non imponibile, mentre, al contrario, laddove la prestazione offerta non sia accessoria, rispetto a quella collaterale esente, ma costituisce un’operazione economica a sé stante e irrilevante, nel caso di specie, per le prestazioni di trasporto urbano delle persone, l’attività economica esercitata, debordando dall’interesse pubblico, non può fruire del regime di esenzione stabilito per la prestazione di mero trasporto delle persone da un luogo ad un altro, dovendo essere assoggettata all’imposizione fiscale” (p. 6).

Peraltro, le ipotesi di esenzione previste dall’art. 10 del D.P.R. 633/972 sono tassativamente individuate, con la conseguenza “che l’elenco ivi proposto non può essere dilatato, ricorrendo ad interpretazioni di tipo analogico” (p. 7).

Sennonché, se si calano tali principi alla vicenda qui in esame, non si può non prendere atto che “l’attività di trasporto non rappresentava l’unica attività (e neppure la più importante) svolta dalla società, la quale offriva ai passeggeri un articolato pacchetto turistico (accompagnatrice turistica, ristorazione, biglietto di ingresso a musei, animazione di bordo ed altro) sicché tali prestazioni, anziché costituire il mezzo per fruire delle migliori condizioni del servizio principale offerto dal prestatore (ovvero del mero trasporto da un luogo ad un altro), rappresentavano invece prestazioni niente affatto accessorie e da considerare a se stanti per il fine profondamente lucrativo per il quale, anche attraverso pubblicità digitale, venivano offerte” (p. 6).

Detto altrimenti, la società offriva alla clientela un variegato pacchetto di servizi rispetto ai quali il servizio di trasporto aveva carattere meramente strumentale rispetto al pacchetto di servizi con finalità turistico-lucrativa previsti dai vari programmi di intrattenimento.

In particolare, la società non si limitava a trasferire i propri clienti da un luogo all’altro ma si impegnava a fornire “un diverso e più articolato servizio per il conseguimento di una finalità decisamente lucrativa e profondamente distorsiva della concorrenza delle imprese che svolgono analoga funzione assoggettandosi alla tassazione” (p. 7) e, pertanto, i legali rappresentanti restano soggetti all’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale: quindi, in caso di mancato adempimento alle scadenza previste, ben potrà configurarsi il delitto di omessa dichiarazione ex art. 5 D.Lgs. 74/2000.

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