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Giurisprudenza

Società in house providing e concordato preventivo

28 Febbraio 2017

Avv. Eliana Colarusso, dottoranda in Diritto Commerciale, Università degli Studi Roma Tre

Corte d’Appello dell’Aquila, 3 novembre 2016, n. 26

Di cosa si parla in questo articolo

La Corte d’Appello dell’Aquila, con sentenza del 3 novembre 2016, si è occupata di due reclami ex art 183 l.fall. proposti da più creditori di una società per azioni in house providing aventi ad oggetto la revoca del decreto di omologazione del concordato con continuità aziendale proposto da quest’ultima.

La Corte d’appello, dopo aver disposto la riunione dei due procedimenti, ha affrontato: (a) la questione preliminare in ordine alla soggezione di una società in house providing alle procedure concorsuali, e in particolare alla possibilità di accedere al concordato preventivo; (b) tre motivi di impugnazione inerenti (i) l’asserito obbligo di prevedere nel piano concordatario l’impegno di pagare i creditori in una determinata percentuale, (ii) la pretesa illegittimità della proposta di concordato nella parte in cui prospetterebbe il compimento di attività contra legem e conterrebbe considerazioni giuridiche errate, (iii) il supposto difetto di veridicità di talune informazioni fornite ai creditori.

La questione di maggiore interesse trattata dalla presente sentenza è, senza dubbio, quella concernente la disciplina da applicare alle in house providing in considerazione della loro natura giuridica peculiare e del recente d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, (attuazione della legge delega 7 agosto 2015, n. 124, delega al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche).

L’in house providing è un istituto di matrice comunitaria. Essa può accedere all’erogazione/gestione di servizi pubblici con affidamento diretto da parte dell’ente territoriale, senza procedura di evidenza pubblica[1], in quanto presenta i requisiti del capitale sociale interamente pubblico, del controllo analogo, ossia l’esercizio da parte dell’ente partecipante di un controllo “analogo” a quello esercitato sui propri servizi, e dello svolgimento della sua attività prevalente a favore dell’ente affidante[2].

La natura peculiare delle società in house aveva condotto a tre tesi interpretative diverse, prima del d.lgs. 175/2016.

Secondo la tesi “pan privatistica” l’in house providing, sarebbe stata assoggettabile al fallimento e avrebbe potuto accedere al concordato preventivo al pari di tutti gli altri tipi di società a partecipazione pubblica. Ciò in quanto le società pubbliche sarebbero state disciplinate integralmente dalla normativa societaria del codice civile, a tutela dei terzi contraenti cui riconoscere il diritto di attivare le procedure concorsuali ordinarie in caso di insolvenza.

Secondo un’altra opinione, c.d. funzionale, invece, si sarebbero dovuti escludere il fallimento e il concordato preventivo delle società pubbliche erogatrici di servizi pubblici essenziali.

Infine, il terzo orientamento intermedio, c.d. “tipologico”, ammetteva la fallibilità e l’accesso al concordato preventivo di tutte le società pubbliche, con l’eccezione delle in house providing. Tale orientamento era seguito dalla giurisprudenza prevalente, ivi compresa la stessa Corte d’Appello dell’Aquila, sentenza 304/2015. Esso era conforme a Cass., Sez. Un, 25 novembre 2013, n. 26283 che, in materia di responsabilità degli amministratori, aveva evidenziato come le in house perdano i connotati tipici delle società, essendo longa manus- articolazioni dell’ente pubblico partecipante, ed acquisiscano esse stesse la natura di pubblica amministrazione. Le Sezioni Unite avevano configurato il controllo analogo come una sorta di “controllo gerarchico” dell’ente-socio “che non lascia spazio a possibili aree di autonomia e di eventuale motivato dissenso”. Non essendovi rapporto di alterità, la distinzione tra l’ente e la società era considerato in termini di separazione patrimoniale, non di distinta titolarità. Ne conseguiva che gli amministratori della società in house erano considerati dipendenti dell’ente, il danno provocato da loro atti illeciti era arrecato a un patrimonio sociale configurato come patrimonio separato dello stesso ente pubblico ed era dunque un danno erariale[3]. Analogamente, la natura peculiare delle società in house providing portava la giurisprudenza a dubitare della loro fallibilità.

Tale orientamento giurisprudenziale è stato smentito dal d.lgs. 175/2016, come interpretato nella sentenza in esame.

La Corte d’Appello dell’Aquila muta pertanto il proprio precedente orientamento e sostiene che il testo unico 175/2016, aderendo alla tesi “panprivatistica”, impone di sottoporre al fallimento ed ammettere al concordato preventivo tutte le società a partecipazione pubblica, ivi comprese le società in house.

La Corte ritiene di dover tener conto del nuovo testo unico, perché, pur essendo entrato in vigore dopo la vicenda oggetto del reclamo e pur non essendo una norma di interpretazione autentica, detta una disciplina specifica per la “crisi di impresa di società a partecipazione pubblica” all’art. 14, al fine di chiarire i dubbi residui in giurisprudenza e dottrina. Un intervento di tale entità non può essere ignorato in una decisione inerente all’accesso alle procedure concorsuali di una in house providing.

La Corte d’Appello precisa che l’art. 14 nel disciplinare le crisi d’impresa non menziona espressamente le in house providing, ma le ricomprende implicitamente, come si deduce da numerosi elementi testuali del testo unico. In primo luogo, la stessa rubrica del d.lgs. 175/2016 “Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica” indica l’intento del legislatore di riformare tutte le società pubbliche. In secondo luogo, l’art. 2 del d.lgs. 175/2016 fornisce una definizione di società a partecipazione pubblica ad ampio spettro, idonea a ricomprendere le in house providing[4]In terzo luogo, l’art. 4 ricomprende le in house nel disciplinare le finalità perseguibili con l’acquisizione di partecipazioni pubbliche e l’art. 11 pone il divieto di istituire organi societari diversi da quelli previsti dalle norme generali in materia di società. In quarto luogo, il d.lgs. 175/2016 riconduce tutte le azioni di responsabilità nei confronti degli organi sociali nell’ambito della disciplina ordinaria delle società di capitali e della giurisdizione del giudice ordinario, salva la giurisdizione della Corte dei Conti per il danno erariale provocato da illeciti degli amministratori o degli altri organi di in house providing. L’art. 16, infine, specificamente dedicato alle società in house, pur stravolgendo la fisionomia societaria, risulta avere una portata specifica ed è volto esclusivamente ad introdurre deroghe alla concorrenza nei contratti pubblici mediante l’individuazione delle condizioni per l’affidamento diretto.

In conclusione, la Corte d’Appello è costretta a prendere atto della nuova impostazione privatistica del d.lgs. 175/2016: le società in house providing sono assimilate a tutte le società a partecipazione pubblica e, al pari di queste, da un lato, sono sottoposte alla distinzione tra danno al patrimonio della società, per cui è competente il giudice civile, e danno erariale, soggetto alla giurisdizione della Corte dei Conti, e, da un altro lato, sono soggette a tutte le procedure concorsuali.

Preme sottolineare che tale orientamento del legislatore si pone espressamente in contrasto, non solo con la giurisprudenza della Cassazione già citata, ma anche con il parere del 16 marzo 2016 reso dal Consiglio di Stato e con il parere della V Commissione Permanente Bilancio, Tesoro e Programmazione del 30 giugno 2016. Il Consiglio di Stato aveva chiaramente concluso che le caratteristiche organizzative peculiari delle in house providing escludono la possibilità di ricondurle al modello generale di società di diritto privato e l’applicabilità delle procedure concorsuali, imponendo l’introduzione di un sistema diversificato. La V Commissione Bilancio della Camera aveva evidenziato l’opportunità di distinguere le diverse tipologie di società, di elencare per ciascuna tipologia le norme del d.lgs. 175/2016 applicabili e di prevedere deroghe al codice civile di maggiore intensità nel caso delle società in house. Il legislatore, invece, nella relazione illustrativa al testo unico in materia di società a partecipazione pubblica puntualizza che non ha accolto le osservazioni circa l’opportunità di differenziare la disciplina delle crisi aziendali rispetto a diverse tipologie di società (in house e strumentali) perché le ha considerate contrastanti con l’impostazione privatistica della disciplina delle crisi d’impresa sposata.

 


[1] Gli enti pubblici possono fornire i servizi pubblici essenziali direttamente o tramite terzi. In quest’ultimo caso le forme di esternalizzazione, conformi al diritto dell’UE, sono: l’affidamento a società totalmente estranee alla p.a. mediante gara pubblica, l’affidamento diretto a società c.d. in house e l’affidamento a società con azionariato misto, in parte pubblico e in parte privato, a condizione che il socio privato dotato dei migliori requisiti tecnici specifici sia scelto con gara pubblica. La CGCE ha escluso la necessità di procedure di evidenza pubblica, quando la società affidataria presenti le caratteristiche dell’in house providing, ritenendo che in tal caso non occorre tutelare la concorrenza. V. Stadt Halle dell’11 gennaio 2005, n. C-26/03.

[2] V. per la definizione di in house providing: CGCE, 18 novembre 1999, C-107/98 – Teckal c. Comune di Viano; 10 novembre 1998, BFI Holding.Sui requisiti del controllo analogo e della partecipazione totalitaria la sentenza Stadt Halle dell’11 gennaio 2005, n. C-26/03 per la quale il controllo analogo non sussiste quando la società è partecipata da privati. Sul requisito dell’attività prevalente CGUE, 11 maggio 2006, C 340/04, Caboterno s.p.a. e Parking Brixen del 13 ottobre 2005, in causa C-458/03.

[3] Cass., Sez. Un., 25 novembre 2013, n. 26283 sancisce il principio di diritto: “La Corte dei Conti ha giurisdizione sull’azione di responsabilità esercitata dalla procura della repubblica presso la corte quando tale azione sia diretta a far valere la responsabilità degli organi sociali per i danni da essi cagionati al patrimonio di una società in house, così dovendosi intendere quella costituita da uno o più enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente i medesimi enti possano essere soci, che statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggetta a forme di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici.”. Vedi in senso conforme Cass. S.U. 19 dicembre 2009, n. 26806; Cass.Sez. Un. 10 febbraio 2015, n. 2505.

[4] Si noti che il d.lgs. 175/2016 definisce anche il “controllo analogo” come la situazione in cui l’amministrazione esercita su una società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, esercitando un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della società controllata. Tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall’amministrazione partecipante’.

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