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Giurisprudenza

Limiti all’annullabilità della delibera che pregiudica i diritti dei titolari di azioni di risparmio

22 Ottobre 2018

Manfredi Sclopis

Tribunale di Torino, 22 dicembre 2017, n. 6267 – Pres. Rizzi

Di cosa si parla in questo articolo

Il pregiudizio previsto dalla norma di cui all’art. 2376, primo comma, cod. civ., che impone l’approvazione da parte dell’assemblea speciale degli azionisti di risparmio, è ravvisabile allorquando la delibera dell’assemblea della società concerne solo gli azionisti di risparmio, apportando modifiche alla struttura dell’azionariato tali da alterare in maniera qualitativa o quantitativa il rapporto tra le categorie esistenti e non quando la delibera abbia inciso unitariamente su tutti i soci.

Nel caso di specie, il rappresentante comune degli azionisti di risparmio di una società per azioni aveva adito il Tribunale di Torino per ottenere l’annullamento della delibera assembleare con cui l’assemblea dei soci, nell’approvazione del bilancio, aveva deciso di destinare gli utili a riserva disponibile, così contravvenendo alle disposizioni statutarie che prevedevano invece l’obbligo di ripartire gli utili tra i titolari delle azioni di risparmio.

La società convenuta si costituiva regolarmente in giudizio, eccependo che la pretesa attorea sarebbe stata contraria al piano concordatario oggetto del concordato preventivo cui la società era stata ammessa. Più in particolare, la convenuta rammentava che la procedura concorsuale si era articolata in una fusione per incorporazione della società convenuta con la sua controllata e su un successivo aumento di capitale riservato ai creditori chirografari che avevano accettato di ricevere, in luogo di una parte dei propri crediti, azioni quotate della convenuta. A tal proposito, siccome l’utile dell’esercizio coincideva con la differenza tra il valore nominale dei debiti stralciati per effetto della falcidia concordataria ed il valore nominale dell’aumento di capitale deliberato in sede di concordato, e, dunque corrispondeva esattamente al sacrificio subito dai creditori per effetto dell’omologazione della proposta concordataria, tale utile non poteva certo essere distribuito in quanto incompatibile con la ratio stessa della proposta concordataria. La convenuta spiegava, inoltre, che era stata la stessa assemblea speciale degli azionisti di risparmio ad aver approvato la precedente assemblea straordinaria degli azionisti con cui si escludeva la ripartizione degli utili tra tutti gli azionisti e che, in ogni caso, è vietato ai soci di dividersi gli utili in caso di insolvenza della società.

Il Tribunale di Torino ha respinto la domanda attorea, dichiarandola infondata per le ragioni che seguono.

Anzitutto, occorre evidenziare che sia la dottrina più autorevole, sia la giurisprudenza sono concordi nel ritenere che le delibere assembleari sono annullabili quando pregiudicano i diritti dei soli azionisti di risparmio, ma non nella diversa ipotesi, com’è quella del caso che qui ci occupa, in cui vengano pregiudicati i diritti di tutti gli azionisti indistintamente. Detto in altri termini, ai fini dell’annullamento della delibera assembleare di cui all’art. 2377 cod. civ., il pregiudizio rilevante è da qualificarsi quale pregiudizio alla posizione di una categoria di azioni rispetto alle altre, circostanza questa che, come detto, non è propria del caso di specie.

In seconda analisi, come correttamente evidenziato dalla convenuta, l’assemblea speciale degli azionisti di risparmio aveva approvato la deliberazione dell’assemblea straordinaria precedente a quella di approvazione del bilancio che destinava gli utili a riserva disponibile. Era stata dunque la stessa parte attrice ad approvare la delibera dell’assemblea straordinaria, poi riversata interamente in quella successiva ordinaria di approvazione del bilancio. Alla luce di quanto sopra, è evidente che abusa del diritto di impugnativa assembleare chi impugni una delibera successiva a quella precedente sulla quale la prima si fonda, violando il divieto di venire “contra factum proprium”.

In terzo luogo, ai sensi dell’art. 2433, terzo comma, cod. civ., non può farsi luogo a ripartizione degli utili finché il capitale sociale non sia stato reintegrato o ridotto in misura corrispondente.

E’ dunque evidente che gli azionisti non avevano alcun diritto a ripartirsi gli utili sociali, tenuto conto dello stato di insolvenza in cui versava la società.

Infine, la distribuzione degli utili potrebbe ben rappresentare un inadempimento di rilevante importanza, tale da far risolvere il concordato ai sensi dell’art. 186, secondo comma, d.lgs. 267/1947, in considerazione del fatto che risulterebbe violato il generale principio della prevalenza dei diritti dei creditori su quelli dei soci in riferimento alla destinazione del capitale sociale.

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