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Giurisprudenza

Fallibilità delle società in house

21 Marzo 2019

Giuseppe Spataro

Cassazione Civile, Sez. I, 22 febbraio 2019, n. 5346 – Rel. Di Virgilio, Pres. Terrusi

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Con riferimento alla decisione della Corte d’Appello dell’Aquila con cui si revocava il fallimento sul rilievo che la società era da considerarsi in house, giacché in essa ricorrevano i requisiti (i) della partecipazione integrale al capitale degli enti pubblici territoriali, (ii) dello svolgimento di attività in favore dei comuni medesimi, (iii) della soggezione della società al cd. controllo analogo, la Suprema Corte, con il provvedimento in epigrafe, ha richiamato a sé un importante principio per cui la società di capitali con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché gli enti pubblici ne posseggano le partecipazioni, in tutto o in parte, non assumendo rilievo alcuno la persona dell’azionista, dato che la società, quale persona giuridica privata, opera comunque nell’esercizio della propria autonomia negoziale. Il rapporto tra la società e l’ente locale, si ribadisce, è di sostanziale autonomia al punto che non è consentito al soggetto pubblico, in questo caso il Comune, di incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto stesso mediante l’esercizio di poteri autoritativi o discrezionali.

Rimane cosi intatta la considerazione che nell’ordinamento nazionale non è prevista, per le società in house, alcuna deviazione rispetto alla comune disciplina privatistica delle società di capitali, visto che la posizione dei Comuni nella società è quella di socio in base al capitale conferito.

Si arrivare cosi ad enunciare il principio per cui la società di capitali con partecipazione pubblica (cd. “in house”) è assoggettabile a fallimento, atteso che, da un lato, l’art. 1 l.fall. esclude dall’area della concorsualità gli enti pubblici, non anche le società pubbliche, per le quali trovano applicazione le norme del codice civile nonché quelle sul fallimento, sul concordato preventivo e sull’amministrazione straordinaria, e che, dall’altro lato, la particolare relazione interorganica che lega l’ente societario all’amministrazione pubblica (c.d. controllo analogo) serve solo a consentire all’azionista pubblico di svolgere un’influenza dominante sulla società, se del caso attraverso strumenti derogatori rispetto agli ordinari meccanismi di funzionamento, senza tuttavia incidere sull’alterità soggettiva dell’ente societario rispetto all’ente pubblico controllante, restando il primo pur sempre un centro di imputazione di rapporti e posizioni soggettive autonomo rispetto al secondo.

Concludendo, la scelta del Legislatore, ossia quella di consentire l’esercizio di determinate attività a società di capitali e di perseguir cosi l’interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico, comporta che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza pena la violazione dei principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto.

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