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Giurisprudenza

La presunzione sui prelevamenti non opera automaticamente nei confronti dei soggetti terzi

10 Aprile 2014

Avv. Antonio Caramia

Comm. Trib. Prov. Genova, 06 agosto 2013, n. 160

Con la sentenza n. 160 depositata l’8 agosto 2013, la Sezione 10 della Commissione Tributaria Provinciale di Genova ha stabilito che l’applicazione delle presunzioni, previste dalla normativa in materia di accertamento bancario, non opera automaticamente con riferimento ai conti correnti intestati a soggetti terzi, ed ha ritenuto necessaria, in tali casi, la prova della sostanziale imputabilità al soggetto verificato.

La normativa vigente

Sia l’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973, riguardo alle imposte sui redditi, che l’art. 51 del D.P.R. n. 633 del 1972, in materia di Iva, autorizzano l’ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a soggetti terzi ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente sottoposto a controllo.

Il caso esaminato dalla sentenza in commento

Nel caso in esame, la Commissione Tributaria genovese è stata chiamata a decidere su di un ricorso avverso un avviso di accertamento che discende da un pvc della Guardia di Finanza fondato su indagini finanziarie estese anche ai figli del contribuente, in quanto facenti parte dell’impresa familiare.

Il ricorrente ha eccepito, in proposito, la violazione degli art. 32 del D.P.R. n. 600/1973 ed art. 51 del D.P.R. n. 633/1972, ritenendo che i verificatori avessero effettuato le indagini finanziarie anche nei confronti dei familiari senza dare, però, la prova dell’intestazione fittizia dei conti correnti a questi ultimi intestati, e senza considerare che, su tali correnti, operavano anche i coniugi dei figli del contribuente accertato.

Dal canto suo, l’Ufficio ha affermato, con le proprie difese, di essere legittimato ad utilizzare dati ed elementi risultanti da conti correnti intestati a soggetti terzi, ribadendo che “… spetta al contribuente l’onere di dimostrare che i dati rilevati dei conti correnti non si riferiscono ad operazioni imponibili, ovvero che ne ha tenuto conto in dichiarazione.”

In merito a tale problematica, i giudici genovesi hanno richiamato una non recentissima, ma significativa, pronuncia della Corte di Cassazione (Cass. Sez. V, 14 novembre 2003, n. 17243) secondo cui la possibilità di estendere l’accertamento anche a soggetti diversi dal contribuente è consentita solo quando emergono degli indizi “… che possano far presumere ricchezza o manifestazione di capacità contributiva da parte del soggetto verificato mediante ricorso all’imputazione formale a soggetti diversi” , e la possibilità di utilizzarne le risultanze sussiste solo se l’Ufficio sia in grado di provare che“… quei determinati movimenti risultanti sul conto corrente personale del socio siano in realtà riferibili ad operazioni poste in essere dalla società”.

In sostanza, secondo il collegio giudicante, l’esistenza di legami familiari o commerciali non autorizza l’automatica applicazione delle presunzioni nei confronti dei soggetti terzi, occorrendo, in tal caso, la “… prova della sostanziale imputabilità al soggetto verificato.”

E’ l’Ufficio verificatore, quindi, che deve dimostrare, anche per mezzo di presunzioni gravi, precise e concordanti, che la titolarità dei rapporti è fittizia e che essi sono invece riferibili al soggetto accertato.

Il recente orientamento della giurisprudenza di merito

La sentenza in commento sembra allineata con quanto sancito di recente dalla giurisprudenza di merito.

Si cita, ex pluris, la sentenza n. 159/1/13 della Commissione Tributaria Provinciale di Catania, secondo cui è in errore l’Ufficio che estende automaticamente le indagini finanziarie al conto corrente del coniuge del contribuente accertato se non è in grado di dimostrare, sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che il contribuente sottoposto a controllo bancario è l’effettivo intestatario del rapporto bancario gestito per interposta persona.

L’ utilizzo delle presunzioni previste dall’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1972 è, quindi, subordinato alla prova che il conto del terzo sia gestito di fatto dal contribuente soggetto ad accertamento.

La circolare n. 32/E/2006 della Agenzia delle Entrate

Al riguardo, anche l’Agenzia delle Entrate stessa ha chiarito, con circolare del 2006, che gli organi verificatori possono legittimamente estendere le indagini finanziarie a conti intestati a soggetti terzi, magari legati da vincoli familiari o commerciali con il soggetto accertato, purché “… dimostrino che la titolarità dei rapporti come delle operazioni è fittizia o, comunque, superata, in relazione alle circostanze del caso concreto, dalla sostanziale imputabilità al contribuente medesimo “.

Gli uffici procedenti, sotto il profilo operativo, devono astenersi da una valutazione degli elementi acquisiti particolarmente rigida e formale.

Pertanto, in ossequio alla prassi vigente, è auspicabile che l’Agenzia delle Entrate operi un ulteriore sforzo ricostruttivo che vada al di la dell’automatico trasferimento delle risultanze “patrimoniali” emerse in sede di indagini in capo al contribuente destinatario del controllo.

La posizione della Corte di Cassazione

Non è dello stesso parere la Corte di Cassazione che, di recente, ha chiarito la propria posizione sull’utilizzo da parte dell’Amministrazione Finanziaria di informazioni emerse da indagini bancarie relative a soggetti terzi.

I giudici di legittimità, con sentenza n. 3762 del 2013, hanno affermato la legittimità dell’estensione delle indagini finanziarie anche a soggetti terzi rispetto al soggetto verificato, ritenendo che il vincolo familiare sia sufficiente a giustificare la riferibilità dei conti correnti intestati a tali soggetti al contribuente accertato.

Spetterebbe, quindi, al contribuente sottoposto ad accertamento provare l’irrilevanza fiscale delle movimentazioni finanziarie dei parenti.

Conclusioni

Non ci si può esimere dall’osservare che non può essere privo di conseguenze giuridiche sostanziali, il fatto che il contribuente, sottoposto ad accertamento, sia formalmente terzo rispetto ai rapporti finanziari di altri soggetti, ed i cui movimenti si vogliono imputare al contribuente quali ricavi/compensi omessi.

Presumere, infatti, che tutte le movimentazioni relative al conto corrente di un soggetto terzo, seppur legato da un rapporto di parentela, siano dei ricavi/compensi del soggetto sottoposto ad accertamento significa, in sostanza, presumere un accadimento basandosi non su di un fatto certo ma su un’altra presunzione meramente indiziaria.

E’ un percorso argomentativo induttivamente debole che rischia di essere in aperto contrasto con i principi di ragionevolezza, uguaglianza e capacità contributiva.

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