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Attualità

Giurisprudenza tributaria attuale in tema di abuso e riqualificazione degli atti ai fini della imposta di registro. Il caso dei fondi immobiliari.

23 Ottobre 2017

Federico Trutalli, Socio e coordinatore del Dipartimento tributario di Nctm Studio legale

CTP di Milano, 18 aprile 2017, n. 3681/22/2017 – Pres. Giucastro, Rel. Miceli

Di cosa si parla in questo articolo

La Commissione Tributaria di Milano ha recentemente rigettato il tentativo della Agenzia delle Entrate di riqualificare – in base all’art. 20 del D.pr. n. 131/1986 (Testo unico in materia di imposta di registro) – il trasferimento di immobili ad un fondo immobiliare, contestuale al trasferimento di un ramo aziendale ad una società partecipata dal fondo medesimo, in una cessione unitaria di azienda, eseguita dallo stesso trasferente a favore del fondo. Secondo la Commissione (sentenza n. 3681/22/2017 – presidente Giucastro, relatore Miceli), ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, l’articolo 20 consente unicamente di tassare il singolo atto in base ai relativi effetti giuridici propri, ma non di contestare l’elusività del comportamento tenuto, né di tassare gli atti da registrare in base agli effetti economici altrimenti prodotti.

La decisione è di rilievo, e ridimensiona una tendenza oramai ricorrente dei verificatori – specie in tema di imposte d’atto – a rileggere in chiave puramente “sostanzialistica” i comportamenti (anche del tutto lineari) dei contribuenti, al fatidico scopo del recupero del gettito. Secondo la recente Commissione tributaria provinciale di Milano, le Entrate non possono infatti riqualificare in uno – come cessione d’azienda immobiliare unitaria a favore del fondo trasferitario – l’atto di conferimento di azienda, seguito dalla cessione della totalità delle quote e il trasferimento degli immobili realizzato, a propria volta, tramite distinto atto, allorché non sia provata una manipolazione ed alterazione dello schema negoziale e degli atti distinti sottostanti. Né potrebbe, l’Agenzia, riqualificare l’oggetto del trasferimento quale unica azienda, allorché la parte immobiliare risulti – in valore – nettamente prevalente rispetto al comparto aziendale oggetto di distinto trasferimento.

Il caso sottoposto ai Giudici

La fattispecie ha riguardato una complessa operazione di riassetto, inerente un investimento immobiliare, realizzato da una società a favore di un fondo immobiliare attraverso una serie di atti – si è detto – distinti; vale a dire, in stretta sequenza: il conferimento di un ramo di azienda e di licenze immobiliari in una società neocostituita; la cessione della partecipazione totalitaria della neocostituita al detto fondo immobiliare; la cessione – ancora con atto separato – degli immobili di un complesso commerciale al medesimo fondo immobiliare.

Più in particolare, l’avviso di liquidazione emesso dall’Agenzia delle Entrate ipotizzava una riqualificazione dei negozi posti in essere da una società trasferente, allo scopo di procedere:

  1. ad una cessione di immobili a favore di un fondo comune di investimento immobiliare riservato, gestito, ai sensi di legge, da una società di gestione del risparmio indipendente, soggetta – al pari del fondo – alla vigilanza di Banca d’Italia; e
  2. ad un conferimento, ad una società neocostituita, di licenze commerciali e contratti con terzi fornitori relativi la gestione e lo sfruttamento degli immobili, le cui partecipazioni venivano da ultimo cedute al medesimo fondo trasferitario.

Secondo l’Ufficio, gli atti indicati sub (i) e (ii) dovevano essere riqualificati ai fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, come una unica operazione di cessione al fondo di un “ramo di azienda con immobili”, in base all’art. 20 richiamato. Con la conseguenza di rideterminare – evidentemente al rialzo – le imposte originariamente assolte, in via separata, sugli atti di trasferimento degli immobili e di conferimento delle licenze, secondo le aliquote applicabili alla fattispecie unitaria di cessione di un ramo di azienda al fondo.

Merita svolgere alcune considerazioni e distinzioni preliminari inerenti, anzitutto, la fattispecie, che deve essere letta avendo cura per alcuni accenti che sono probabilmente decisivi.

Come noto, in base al D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, Testo Unico della Finanza (TUF), e normativa correlata, il fondo può dirsi un “coacervo patrimoniale”, gestito da un soggetto terzo indipendente (la SGR) nell’interesse dei quotisti partecipanti, titolare di soliasset immobiliari e privo di attività imprenditoriale. Quanto all’apporto delle licenze nella conferitaria neocostituita (newco), nella fattispecie si trattava di un disegno volto a costituire in capo a questa ultima una piattaforma segregata per la gestione attiva del complesso delle licenze, e le partecipazioni in newco sonostate da ultimo cedute al fondo, per aggiungersi agli immobili quale ulteriore e distinto cespite (di natura finanziaria,peraltro nettamente minore, per valore, rispetto ai cespiti immobiliari detenuti dal fondo).

Il riassetto in discorso – in certa misura ricorrente sulla piazza finanziaria attuale – prevedeva dunque che il Fondo, in quanto fondo “immobiliare”, detenesse unicamente “immobili”, e casomai partecipazioni in società immobiliari, ferma la estraneità del fondo rispetto allo svolgimento di attività d’impresa commerciale; principio, quest’ultimo, ricavabile agevolmente ex lege, per i fondi immobiliari e gli organismi di investimento collettivo in generale, in ragione della natura propria di quell’istituto giuridico, quale strumento congegnato per lo svolgimento di attività di gestione collettiva del risparmio[1]. Tramite il Fondo, la SGR svolge nell’interesse degli investitori interessati all’investimento nelle quote dell’organismo (anziché alla proprietà diretta di singoli asset immobiliari), una attività di valorizzazione di tali beni nell’ambito della gestione collettiva del risparmio da essa istituzionalmente svolta.

L’Agenzia, non curante della distinzione tra fondo e newco – e della parallela distinzione tra immobili e licenze – notificava alle società disponente avviso di liquidazione che riqualificava i diversi negozi giuridici sottoscritti dalle parti quali atti costituivi, in uno, di “cessione d’azienda immobiliare”, con conseguente applicazione dell’imposta di registro in misura proporzionale. Il contribuente resisteva all’accertamento – svolto i chiave prettamente sostanzialistica (e non necessariamente in chiave antielusiva; v. infra) – rilevando che le distinte operazioni rispondevano a precise ragioni economiche e organizzative, connesse – specie per quanto riguarda la segregazione delle attività aziendali in newco – alla impossibilità del fondo di esercitare l’attività di gestione immobiliare[2], e sollevando eccezioni in ordine alla effettiva portata dell’articolo 20 del D.p.r. 131/86 azionato dal’Ufficio, che – a rigore – non consente di riqualificare gli atti in base a elementi esterni, e comunque in ragione di una loro asserita natura elusiva.

La decisione della Ctp di Milano

La Commissione ha annullato gli avvisi di liquidazione, ribadendo a latere l’impossibilità di considerare l’articolo 20 quale norma generale antielusiva.

Segnatamente, secondo i Giudici, l’Ufficio non può, nell’esercizio del suo potere di riqualificazione interpretativa derivante dall’art. 20, operare una artificiosa ricostruzione della fattispecie imponibile, assumendo a riferimento i presunti effetti economici degli atti esaminati e, soprattutto, senza dimostrare minimamente il presunto disegno elusivo del contribuente, specie laddove lo schema negoziale utilizzato non è frutto di alterazione o manipolazione, o irragionevole rispetto alle logiche di mercato, e le operazioni sono poste in essere nell’ambito di una concreta e apprezzabile operazione di riassetto.

Più attentamente, i motivi sottesi – inter alia – alla condivisibile posizione di cui sopra – tesa innuce a negare la esistenza di una cessione unitaria di ramo d’azienda, riqualificata in base agli effetti economici, ex art. 20 – possono essere distinti come segue.

Stando alla tipologia degli atti portati a registrazione e dei soggetti coinvolti, la prima questione a porsi è quella della (corretta) lettura – e casomai ricostruzione – dei fatti, delle circostanze e delle norme imperative di settore sottesi a quegli atti ed ai relativi effetti. Al riguardo si consideri che, sulla base della normativa civilistica e regolamentare ad esso applicabile, il fondo immobiliare è uno strumento tramite il quale la SGR svolge professionalmente l’attività di gestione collettiva del risparmio ed il suo patrimonio non può essere utilizzato per lo svolgimento di una attività d’impresa. Il fondo – o la SGR che agisce per suo conto – non può quindi risultare acquirente di un ramo d’azienda, ossia di un complesso di beni organizzati per l’esercizio di impresa. Una differente soluzione presupporrebbe la violazione della riserva di attività sancita per le società di gestione del risparmio dall’art. 33 del TUF.

D’altra parte, va osservato che, nella fattispecie, occorre ad ogni modo operare una corretta identificazione – e distinzione – dei soggetti coinvolti nell’operazione. Newco e SGR sono soggettivamente distinte, ed il fondo si colloca a latere di questa ultima come distinto coacervo patrimoniale, si è detto. Non esiste dunque una identità dei soggetti acquirenti, e quindi non esiste una unicità della cessione. Per l’effetto, non sono dunque applicabili alla fattispecie quei (noti, oramai) principi di diritto ricavabili da precedenti giurisprudenziali della Corte di Cassazione, che ammettono la riqualificazione di distinte operazioni (di conferimento in newco e di cessione totalitaria della relativa partecipazione), in quanto accomunati dalla presenza di un singolo cessionario (della partecipazione nella società neocostituita mediante l’apporto di un ramo d’azienda, ovvero dei singoli beni formanti un unico ramo d’azienda).

Circa la portata ed applicazione dell’art. 20 citato, su di un piano giuridico, avendo riguardo per la fattispecie, va precisato brevemente quanto segue. Stando alla disposizione citata, la reale portata di quella – per cui, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, tipica imposta d’atto, rilevano gli effetti giuridici dei distinti negozi posti in essere tra le distinte parti – esclude la indagine sugli effetti economici degli atti posti in essere. Di conseguenza, anche nella denegata ipotesi in cui si dovesse ritenere che una operazione come quella in esame avesse avuto come proprio effetto economico la cessione di un ramo d’azienda al fondo, ciò non sarebbe sufficiente ad operare la riqualificazione dell’operazione quale cessione di ramo d’azienda ai sensi di tale disposizione, stante la natura giuridica distinta degli attide quibus.

La asserita riqualificazione si pone – poi – in potenziale contrasto, ed è in qualche modo confusa, rispetto alla normativa tributaria in materia di elusione e abuso del diritto. Il disconoscimento degli effetti fiscali degli atti posti in essere dal contribuente – operata dall’Ufficio esclusivamente sulla base di una asserita similarità del risultato conseguito da un punto di vista economico – implica infatti una ricostruzione “sostanziale/correttiva” che, nell’attuale contesto normativo, sarebbe estranea all’art. 20 citato, poiché presuppone, piuttosto, la presenza delle condizioni e dei requisiti prescritti dall’art. 10-bis dello Statuto del Contribuente in materia di abuso, ossia il compimento di operazioni prive di sostanza economica che realizzano essenzialmente vantaggi tributari indebiti. Solo la puntuale dimostrazione, a valle di contraddittorio, della effettiva presenza di tali condizioni e requisiti può comportare la dimostrazione dell’abuso e casomai la riqualificazione, ma in un contesto ben diverso da quello previsto dall’art. 20 in discorso, che nella fattispecie sembra dunque inconferente.

Per quanto sopra, ne deriva che:

  • fino a che non sia dimostrato che gli atti registrati contengano elementi che ne mutino la natura intrinseca rispetto al nomen iuris (come potrebbe essere, ad esempio, nel contratto di comodato in cui si rilevi la presenza di un corrispettivo, a dispetto del fatto che la esistenza stessa di un corrispettivo sia del tutto confliggente rispetto alla natura giuridica propria del comodato, tipicamente gratuito), allora l’art. 20 non può trovare applicazione in termini di riqualificazione degli atti ai fini impositivi, nemmeno ove si vogliano operare ricostruzioni rispetto alla natura economica degli effetti da ultimo raggiunti tramite quegli atti;
  • laddove invece la indagine, ai fini impositivi, sugli effetti economici ultimi raggiunti, voglia deviare rispetto agli effetti giuridici propri degli atti registrati, allora occorrerà casomai ipotizzare la applicazione di norma diversa dall’art. 20 in materia di imposta di registro, ossia dell’art. 10bis già citato in materia di anti-abuso, fermo tuttavia l’onere – in capo alla Amministrazione finanziaria – di tenere in considerazione tutte le tutele ivi previste a favore del contribuente e delle operazioni economiche da questo intraprese.


[1] E’ pacifica la impossibilità del fondo immobiliare di esercitare l’attività di gestione immobiliare, così come previsto dalla direttiva 2011/61/Ue e dal provvedimento della Banca d’Italia del 19 gennaio 2015.

[2] Cfr. nota 1 prec..

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