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Giurisprudenza

Incostituzionale il regime di retroattività del privilegio dei crediti erariali nel fallimento

5 Luglio 2013

Corte Costituzionale, 04 luglio 2013, n. 170

Con sentenza n. 170 del 04 luglio 2013 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 23, comma 37, ultimo periodo, e comma 40, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, il quale, disponendo l’applicazione retroattiva del nuovo testo dell’art. 2752, primo comma, cod. civ., ha esteso il privilegio ai crediti erariali derivanti dall’IRES (imposta sui redditi delle società) e da sanzioni tributarie relative a determinate imposte dirette, superando così la preclusione “endo-procedimentale” che consegue alla formazione del cosiddetto giudicato fallimentare.

Il suddetto art. 23, comma 37, aveva stabilito che: «Al comma 1 dell’articolo 2752 del codice civile, le parole: “per l’imposta sul reddito delle persone fisiche, per l’imposta sul reddito delle persone giuridiche, per l’imposta regionale sulle attività produttive e per l’imposta locale sui redditi, diversi da quelli indicati nel primo comma dell’articolo 2771, iscritti nei ruoli resi esecutivi nell’anno in cui il concessionario del servizio di riscossione procede o interviene nell’esecuzione e nell’anno precedente” sono sostituite dalle seguenti: “per le imposte e le sanzioni dovute secondo le norme in materia di imposta sul reddito delle persone fisiche, imposta sul reddito delle persone giuridiche, imposta sul reddito delle società, imposta regionale sulle attività produttive ed imposta locale sui redditi”. La disposizione si osserva anche per i crediti sorti anteriormente all’entrata in vigore del presente decreto».

L’art. 23, comma 40, del medesimo decreto-legge, aveva poi previsto che: «I titolari di crediti privilegiati, intervenuti nell’esecuzione o ammessi al passivo fallimentare in data anteriore alla data di entrata in vigore del presente decreto, possono contestare i crediti che, per effetto delle nuove norme di cui ai precedenti commi, sono stati anteposti ai loro crediti nel grado del privilegio, valendosi, in sede di distribuzione della somma ricavata, del rimedio di cui all’articolo 512 del codice di procedura civile, oppure proponendo l’impugnazione prevista dall’articolo 98, comma 3, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nel termine di cui all’articolo 99 dello stesso decreto».

Come ricorda la Corte Costituzionale nelle proprie motivazioni, il divieto di retroattività della legge (art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale), pur costituendo valore fondamentale di civiltà giuridica, non riceve nell’ordinamento la tutela privilegiata di cui all’art. 25 Cost., riservata alla materia penale, con la conseguenza che il legislatore – nel rispetto di tale previsione – può emanare norme con efficacia retroattiva, anche di interpretazione autentica, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti motivi imperativi di interesse generale.

Tuttavia, occorre che la retroattività non contrasti con altri valori e interessi costituzionalmente protetti, tra cui il rispetto del principio generale di ragionevolezza, la tutela del legittimo affidamento, la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico, il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario. Del tutto affini, evidenzia la Corte, sono i principi in tema di leggi retroattive sviluppati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Nell’applicare tali principi la Corte Costituzionale ha ritenuto rilevanti, ai fini della declaratoria di illegittimità costituzionale, le seguenti circostanze: il consolidamento, conseguito con il cosiddetto giudicato “endo-fallimentare”, delle aspettative dei creditori incise dalla disposizione retroattiva; l’imprevedibilità dell’innovazione legislativa; l’alterazione a favore dello Stato – parte della procedura concorsuale – del rapporto tra creditori concorrenti, determinata dalle norme in discussione; l’assenza di adeguati motivi che giustifichino la retroattività della legge.

In ordine a quest’ultimo aspetto, la Corte evidenzia come, a differenza di altre discipline retroattive, le disposizioni censurate non sono volte a perseguire interessi di rango costituzionale, che possano giustificarne la retroattività. L’unico interesse è rappresentato da quello economico dello Stato, parte del procedimento concorsuale. Tuttavia, un simile interesse è inidoneo di per sé, nel caso di specie, a legittimare un intervento normativo come quello in esame, che determina una disparità di trattamento, a scapito dei creditori concorrenti con lo Stato, i quali vedono ingiustamente frustrate le aspettative di riparto del credito che essi avevano legittimamente maturato.

Pertanto, la disciplina impugnata palesa la sua illegittimità sia per violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., sia per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della CEDU, in considerazione del pregiudizio che essa arreca alla tutela dell’affidamento legittimo e della certezza delle situazioni giuridiche, in assenza di motivi imperativi di interesse generale costituzionalmente rilevanti.

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