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Giurisprudenza

Bancarotta fraudolenta documentale e ricostruzione aliunde della documentazione contabile

23 Settembre 2019

Marianna Geraci, Avvocato presso Tonucci & Partners e Dottore di Ricerca in Diritto Penale presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria

Cassazione Penale, Sez. V, 16 gennaio 2019 (udienza del 26 settembre 2018), n. 1925 – Pres. Zaza, Rel. Riccardi

Di cosa si parla in questo articolo

A seguito della pronuncia di conferma della Corte d’Appello di Milano della condanna emessa in primo grado per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale nei confronti dell’amministratore unico di una S.r.l. dichiarata fallita e di una collaboratrice nella gestione della società con poteri di firma sui conti correnti societari, i difensori degli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione.

Rispetto alla contestazione riguardante in particolare la falsificazione dei libri e delle scritture contabili attraverso l’istituzione di una contabilità parallela ed occulta, la difesa lamentava – tra i motivi dedotti – violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla bancarotta documentale. Al riguardo, si contestava la mancata considerazione da parte degli organi giudicanti della circostanza per cui la documentazione parallela fosse in realtà “ulteriore” a quella ufficiale e che, inoltre, proprio quella documentazione, insieme alle dichiarazioni dell’imputata nel corso di un interrogatorio reso davanti alla Guardia di Finanza, avrebbe consentito di ricostruire il patrimonio e il movimento degli affari della società.   
Ancora – hanno osservato i difensori nel ricorso proposto – la sentenza impugnata non avrebbe valutato che la contabilità parallela – necessaria per le operazioni “in nero” per l’acquisto di forniture – non avrebbe aggiunto né sottratto nulla rispetto all’attività di ricostruzione patrimoniale, risultando essere i valori di bilancio della contabilità ufficiale i medesimi di quella parallela.

I Giudici di legittimità, nel ritenere la doglianza de qua infondata, ripercorrono alcuni importanti principi relativi alla ricostruzione del patrimonio e degli affari nell’ambito della fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale prevista all’art. 216 – comma 2, quarta ipotesi – della Legge fallimentare.
Nella sentenza in commento si rammenta come il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice sia l’interesse dei creditori alla conoscenza del patrimonio dell’imprenditore destinato a soddisfare le loro ragioni, che viene leso dalla tenuta della contabilità in modo da non rendere possibile o rendere difficile la ricostruzione del patrimonio. Sul punto, si ribadisce quindi il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale “la ricostruzione aliunde della documentazione non esclude il reato in esame, atteso che la necessità di acquisire presso terzi la documentazione costituisce la riprova che la tenuta dei libri e delle altre scritture contabili era tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento di affari della società”.

Nel caso di specie, la contabilità “ufficiale” era tenuta in modo da impedire la ricostruzione patrimoniale e i movimenti degli affari della società e la contabilità “in nero”, oltre a connotare la fraudolenza della condotta (e ad essere finalizzata a coprire il sistema di evasione di imposta ed il drenaggio di risorse finanziarie verso i conti correnti personali), non può escludere il reato in quanto istituita “non già a supporto, in aggiunta alla contabilità ufficiale, ma proprio quale documentazione parallela, destinata a restare clandestina e non ostensibile ai creditori; tant’è che la contabilità “in nero”“ – aggiungono i Giudici – “non è stata esibita agli organi fallimentari (…), ma è stata rinvenuta dalla G.d.F. in sede di indagini preliminari, e sottoposta a sequestro; né la collaborazione prestata da [ll’] autrice della contabilità parallela, nella successiva individuazione dei movimenti finanziari può essere ritenuta suscettibile di elidere l’offesa, già perfezionata, al bene tutelato”.

Infatti, precisa la Corte, il più risalente indirizzo che sosteneva l’insussistenza del reato di bancarotta fraudolenta documentale quando la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari veniva attuata con ricorso a documenti e dati provenienti dal fallito (senza necessità di far ricorso a fonti di documentazioni esterne pubbliche o private) è stato superato sulla base della preminenza attribuita al bene giuridico tutelato dal reato che, “non è circoscritto ad una mera informazione sulle vicende patrimoniali e contabili dell’impresa ma concerne una loro conoscenza documentata e giuridicamente utile”, dovendosi invece ritenere che una tale conoscenza venga meno qualora gli accertamenti da parte degli organi fallimentari siano ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza.

 

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