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Giurisprudenza

Sale and lease back: non revocabile l’alienazione dell’immobile il cui corrispettivo è destinato al soddisfacimento di debiti per i quali si siano verificati gli effetti di mora

5 Dicembre 2016

Antonella Gentile

Cassazione Civile, Sez. I, 8 settembre 2016, n. 17766

Di cosa si parla in questo articolo

I giudici di legittimità statuiscono la non revocabilità dell’alienazione di un bene immobile il cui corrispettivo è destinato al soddisfacimento di debiti per i quali si siano verificati gli effetti di mora ex art. 1219 (v. da ultimo Cass., 19 aprile 2016, n. 7747).

Inoltre, l’onere della prova ricade su colui che sostiene l’irrevocabilità dell’atto di disposizione, in quanto elemento impeditivo all’accoglimento della revocatoria di cui è gravato il convenuto dell’azione revocatoria (Cass., 6 agosto 2002, n. 11764).

Infine, viene applicato il principio secondo il quale la mera trasformazione del patrimonio immobiliare in denaro, comportando un obiettivo impoverimento, integra il requisito dell’eventus damni per l’esercizio dell’azione revocatoria (tra le altre, Cass., 3 febbraio 2015, n. 1902).

 

Nel caso di specie, la ricorrente, dopo aver acquistato un bene immobile dalla società poi fallita, lo concedeva in leasing ad una terza società, che stipulava con la prima un contratto di locazione volto a permetterle la continuazione dell’esercizio della propria attività nei locali che erano stati di sua proprietà. Tale operazione, che era stata dichiarata inefficace in primo grado, veniva qualificata dalla Corte d’appello come sale and lease back, e la sua inefficacia veniva confermata.

La suprema Corte, respinge il ricorso, confermando l’applicazione del principio secondo il quale, se il prezzo corrisposto per l’alienazione di un bene immobile è destinato al soddisfacimento di debiti per i quali si sono verificati gli effetti della mora, l’alienazione non è revocabile, statuendo, al contempo, che nel caso di specie non vi sia stata la prova di tale destinazione.

Per quanto riguarda l’onere della prova circa la suddetta destinazione, si stabilisce che tale onere ricada su colui che afferma l’irrevocabilità dell’atto di disposizione, in quanto elemento impeditivo all’accoglimento della revocatoria. La suprema Corte sottolinea che tale doglianza, sebbene sollevata ex art. 360 n. 3-4, è, in realtà, volta a censurare la sufficienza delle motivazioni della Corte d’appello che, secondo la ricorrente, non avrebbe tenuto conto delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado. La censura in ordine all’insufficienza della motivazione è, come noto, inammissibile e, nel caso di specie, irrilevante, poiché manca la prova del fatto che l’alienazione del bene immobile fosse l’unico mezzo disponibile per ottenere il soddisfacimento dei debiti scaduti.

Quanto alla sussistenza dell’eventus damni, la suprema corte statuisce che la trasformazione del patrimonio immobiliare in denaro comporta un obiettivo impoverimento, essendo il denaro bene fungibile facilmente occultabile.

Ed infine in relazione al consilium fraudis, si ricorda cheil requisito della consapevolezza, da parte del terzo acquirente, del pregiudizio arrecato dall’atto dispositivo alle ragioni del creditore dell’alienante non necessita della specifica conoscenza del credito a tutela del quale l’azione revocatoria viene esperita.

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