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Giurisprudenza

Responsabilità del cessionario d’azienda per debiti derivanti da azione revocatoria

26 Luglio 2018

Sara Addamo, Dottoranda in Studi Giuridici Comparati ed Europei presso l’Università di Trento

Cassazione Civile, Sez. Un., 28 febbraio 2017, n. 5054 – Pres. Amoroso, Rel. Bernabai

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Le Sezioni Unite della Suprema Corte si sono pronunciate sull’interpretazione dell’art. 2560 c.c. ed in particolare sull’ambito di applicazione del secondo comma, mirando a scongiurare un’eccessiva dilatazione della responsabilità solidale dell’acquirente per le obbligazioni sorte successivamente al trasferimento d’azienda, in virtù dell’accoglimento di un’azione revocatoria fallimentare.

Le Sezioni Unite, mediante un’interpretazione che tenesse conto del dato letterale, oltre che della ratio dell’art. 2560 c.c. – protettiva del legittimo affidamento del cessionario d’azienda – nonché considerata l’ormai consolidata natura costitutiva dell’azione revocatoria, hanno escluso che possa ritenersi inclusa nel trasferimento d’azienda anche una “situazione non già di debito, bensì di soggezione ad una successiva azione revocatoria promossa dal curatore del fallimento del solvens”.

Infatti, il debito risultante dall’accoglimento di una domanda revocatoria avente ad oggetto pagamenti eseguiti in favore di un imprenditore che aveva conferito la propria azienda in una società – ma il problema si sarebbe posto negli stessi termini in caso di cessione – era, all’epoca del trasferimento d’azienda, un mero rischio di sopravvenienza passiva per la stessa società conferitaria (o cessionaria), anziché un debito già maturato ed annotato nei libri contabili, come testualmente previsto dalla norma.

La responsabilità del cessionario d’azienda deve essere ricondotta nell’alveo dell’evidenza diretta, risultante dai libri contabili obbligatori dell’impresa, a tutela del suo legittimo affidamento, essenziale per il corretto svolgimento della circolazione di beni di particolare rilievo commerciale.

Stante la delineata ricostruzione ermeneutica dell’ambito applicativo dell’art. 2560, cpv., c.c., la Suprema Corte ne precisa un limite fondamentale, ovvero quello della carenza di un’effettiva alterità soggettiva delle parti titolari dell’azienda, che si realizza “nell’ipotesi di trasformazione, anche eterogenea, della forma giuridica del soggetto (artt. 2498 e segg. cod. civ.) – stante la continuità dei rapporti giuridici pendenti – ed in quella di conferimento dell’azienda di un’impresa individuale in una società unipersonale (che non costituisce una trasformazione in senso tecnico): in cui, pure, è ravvisabile una perdurante identità soggettiva – sostanziale, se non formale – significativa di una conoscenza diretta dei rapporti giuridici in fieri, estranea alla ratio protettiva del successore a titolo particolare nell’azienda, sottesa all’art. 2560 c.c.”.

Per l’effetto, non sussistendo nel caso in esame una reale differenza soggettiva tra l’imprenditore individuale conferente e la società conferitaria dell’azienda, quest’ultima è considerata responsabile anche per le obbligazioni future risultanti da azione revocatoria.

Infine, le Sezioni Unite hanno ribadito il consolidato principio giurisprudenziale per cui “nelle procedure concorsuali di liquidazione coatta amministrativa ed amministrazione straordinaria (si) àncora il decorso del periodo sospetto alla dichiarazione di insolvenza della società: giacché, diversamente opinando, l’esito delle azioni revocatorie riuscirebbe compromesso dal ritardo nell’emanazione di un provvedimento amministrativo, in una situazione non più di sospetta, ma di già accertata insolvenza (Cass., sez. I, 19 gennaio 2016 n. 803; Cass., sez. I, 9 aprile 2008 n. 9177)”.

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