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Giurisprudenza

Compatibilità del “doppio binario” sanzionatorio in materia di abusi di mercato rispetto al divieto di bis in idem: la Cassazione dispone il rinvio pregiudiziale della questione alla Corte di Giustizia UE

17 Ottobre 2016

Federico Urbani, Attorney Trainee presso Orrick, Herrington & Sutcliffe LLP

Cassazione Civile, Sez. Tributaria, 13 ottobre 2016, n. 20675

Di cosa si parla in questo articolo

Il Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo Unico della Finanza o TUF), prevede un “doppio binario” sanzionatorio in materia di abusi di mercato, reprimendo gli illeciti di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato con sanzioni sia penali, sia amministrative, in forza di quanto disposto dagli articoli 180 ss. TUF.

Ciò, in particolare, dando attuazione alla disciplina europea sul market abuse – recentemente riformata dal Regolamento (UE) n. 596/2014 e dalla Direttiva 2014/57/UE, che hanno sostituito la precedente Direttiva 2003/6/CE – che impone agli Stati Membri di prevedere sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive al fine di garantire il corretto comportamento degli operatori e degli investitori, a tutela del buon andamento del mercato interno e dei risparmiatori.

Tuttavia, in relazione a tale “doppio binario” sanzionatorio, con la nota sentenza Grande Stevense altri c. Italia, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha sancito la natura sostanzialmente penale delle sanzioni formalmente “amministrative” previste dal TUF, evenienza da cui la Corte ha fatto discendere l’incompatibilità di tale struttura repressiva rispetto al divieto di bis in idem. Infatti, l’articolo 4 del VII Protocollo della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo stabilisce che “nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato”.

A tale riguardo, la Corte EDU ha applicato i cosiddetti “criteri Engel” (sviluppati nel caso Engel e altri c. Paesi Bassie consolidati in svariate pronunce), in base a cui la natura penale di una disposizione sanzionatoria deve essere determinata a prescindere dalla mera qualificazione formale o nominalistica (nel caso di specie “amministrativa”), dovendosi dare rilievo, da un lato, alla reale natura sostanziale dell’illecito e, dall’altro, al grado di severità (rectius, afflittività) della sanzione.

Il principio del ne bis in idem è ripreso, in ambito UE, dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (Carta di Nizza), ove, all’articolo 50, si prevede un diritto analogo a quello della CEDU, secondo cui “nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge”.

Ed è con riferimento a quest’ultima norma che la Suprema Corte ha disposto un rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, cui ha domandato se, alla luce della citata norma della CEDU e della giurisprudenza della Corte di Strasburgo:

  • l’articolo 50 della Carta di Nizza osti alla possibilità di celebrare un procedimento amministrativo avente a oggetto gli stessi fatti per cui il medesimo soggetto abbia già riportato una condanna (irrevocabile) in sede penale, ove la sanzione amministrativa abbia natura sostanzialmente penale in base ai “criteri Engel”; e
  • il giudice nazionale possa dare applicazione diretta al principio europeo di cui all’articolo 50 della Carta di Nizza in materia di divieto di bis in idem.

In particolare, la Corte di Cassazione desidera comprendere dai giudici di Lussemburgo se la mancata previsione, nell’ordinamento nazionale, del divieto di doppio procedimento amministrativo-penale, ove il primo abbia natura sostanzialmente penale, violi i diritti fondamentali dell’Unione Europea cristallizzati nella Carta di Nizza.

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