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Giurisprudenza

Mark to market: ultimi orientamenti della Corte d’Appello di Milano

11 Dicembre 2019

Paolo Francesco Bruno, Partner, La Scala Società tra Avvocati, Team Contenzioso Finanziario

Corte d’Appello di Milano, 5 novembre 2019, n. 4389 – Pres. Rel. Meroni

Di cosa si parla in questo articolo

Ciò che rappresenta nel panorama Giurisprudenziale un elemento sul quale è ancora vivo il dibattito, sebbene (come vedremo) esistenti anche recenti interventi della Suprema Corte, è l’interpretazione del mark to market (o costo di sostituzione) del contratto derivato ed il suo ruolo all’interno del contratto medesimo, nella valutazione di meritevolezza di tutela dello stesso.

Volendo qui sintenticamente riassumere la posizione della Corte di Legittimità, in merito alla natura del costo di sostituzione, non possiamo non ricordare come la stessa Suprema Corte affermi che il mark to market non esprime un valore concreto ed attuale, ma esclusivamente una proiezione finanziaria basata sul valore teorico di mercato in caso di risoluzione anticipata [così Cass. Pen. Sez. II, 21-12-2011, n. 47421 [1]; conformi Cass. Civ., Sez. II, 11-5-2016, n. 9644 e Cass. Civ., Sez. II, 8-7-2016, n. 14059 [2].

Alcuna Dottrina [3], in relazione proprio alla necessità intepretativa del mark to market ed al fine di consentire un corretto esame della questione, ha posto sotto esame la distinzione tra “prezzo” e “valore” del contratto derivato, solitamente utilizzati come sinonimi.

In particolare, è stato sottolineato come: “Il pricing è il processo attraverso il quale vengono stabiliti i termini contrattuali, cioè il processo di definizione del tasso, dei parametri, delle durate e delle periodicità che servono alle parti per determinare le loro obbligazioni di pagamento. La valuation, invece, è il processo di determinazione del valore del contratto, del mark-to-market, cioè a dire il processo di valutazione di prestazioni e controprestazioni contrattualmente stabilite e definite. In particolare la valuation entra in gioco nel calcolo del valore dei flussi di cassa che un derivato è atteso generare una volta stabiliti i termini contrattuali (e tale valore è misurato con metodologie universalmente riconosciute che vanno dal c.d. discounted cash flow per i derivati più semplici alla Montecarlo simulation per i più complessi, passando per la Black & Scholes per le opzioni). “Valore di mercato” e “prezzo” sono due concetti che non possono essere confusi: il primo non è un elemento del contratto, né serve a determinare l’alea del contratto, mentre il secondo è indispensabile elemento del contratto senza il quale non si riesce a determinare l’oggetto del contratto (e l’alea nel caso in cui sia il contratto aleatorio)”.

Orbene, premesso ciò e venendo in nuce alla questione oggetto di esame da parte della Corte d’Appello di Milano, per la statuizione di rigetto della censura in merito alla nullità del contratto derivato per mancanza di determinabilità del mark to market, passa attraverso un complesso iter argomentativo che sintetizza gli argomenti di cui sopra.

Il Collegio d’Appello – recuperando una espressione che prima facie si ricorda in una recente decisione del Tribunale di Milano [4] – afferma inizialmente che “A prescindere dal carattere essenziale o meno della clausola, che introduce il mark to market (cioè l’obbligazione di pagamento, per il caso di cessazione anticipata del rapporto, di una determinata somma a carico di una delle parti in favore dell’altra, a seconda degli scenari probabilistici esistenti in quel momento sull’andamento complessivo del rapporto fino alla sua scadenza naturale), si evidenzia che ai sensi degli art. 1418, 1419 e 1346 c.c. la nullità della clausola sussiste, quando l’istituto introdotto non è determinato né determinabile”.

La locuzione «a prescindere» utilizzata (non a caso) dal Giudice d’appello deve essere valutata attentamente all’interno del contesto decisionale e, a parere dello scrivente, porta con sé una autonoma ratio decidendi, per la quale si assume il carattere non “essenziale” dello stesso.

Il subordinato ragionamento interessa tuttavia la questione dal punto di vista giuridico rispetto alla determinabilità del mark to market e, qui, la valutazione compiuta volgendosi è esplicitata in termini chiari riconoscendosi che esso “trattandosi di un valore che varia nel corso della durata del rapporto, in quanto dipende da scenari probabilistici futuri e quindi anch’essi variabili con il decorso del tempo, non può essere determinato nel suo ammontare al momento della conclusione del contratto, nel quale devono però essere indicati gli elementi che ne consentano la determinazione in un qualunque momento futuro; in altre parole è necessario che, in qualunque momento dovesse cessare, prima della sua scadenza naturale, il rapporto instaurato tra le parti con il contratto interest rate swap, sia oggettivamente possibile determinare il valore economico del mark to market”.

La Corte d’Appello riprende poi l’accertamento svolto dal Consulente Tecnico nella propria relazione laddove afferma che “In entrambi i casi sono desumibili con certezza gli elementi necessari per calcolare il MtM, prova ne sia che entrambi i CTP e il CTU hanno potuto calcolare il MtM, giungendo peraltro a valori di MtM tra loro allineati”; il consulente ha altresì indicato, nelle schede n. 1 e 2 dell’allegato A), gli elementi, desumibili dai due contratti, che consentivano la determinazione del mark to market; infine il consulente ha osservato “di non aver mai visto un contratto derivato che specifichi i criteri o i modelli matematici idonei a quantificare il MtM. Ciò vale anche nel caso dei due contratti oggetto di analisi. Inoltre, il CTU osserva che, sebbene nella prassi, soprattutto per taluni prodotti relativamente semplici, alcuni modelli/criteri siano più utilizzati di altri, è consuetudine che ciascun operatore utilizzi i modelli/criteri che ritiene più adatti. La maggior parte degli intermediari finanziari e diversi consulenti indipendenti utilizzano peraltro modelli proprietari, ovvero costruiti in autonomia, spesso mediante significativi investimenti. Ciò è premesso per dire che, sotto il profilo tecnico, la questione che riguarda l’esplicitazione nel contratto dei criteri di calcolo semplicemente non si pone”.

Ebbene, tornando a quanto sopra riferito da parte della Dottrina, con riferimento alla distinzione tra “valore di mercato” e “prezzo”, si deve ricordare che il primo è misurato con metodologie universalmente riconosciute che vanno dal c.d. discounted cash flow (per i derivati più semplici) alla Montecarlo simulation (per i più complessi) e, infine, la Black & Scholes (per le opzioni).

La determinabilità del mark to market è, quindi, offerta dall’utilizzo di tali metodologie di calcolo.

In conclusione, volendo provare a sintetizzare quanto sopra riportato, possiamo dire che non siamo dinnanzi ad una “formula di calcolo” dell’oggetto del contratto, ma semmai dinnanzi ad una metodologia di valutazione del valore del contratto ad un determinato momento, che tutte le parti sono in grado di apprezzare.

 



[1] Il mark to market “non esprime affatto un valore concreto ed attuale, ma esclusivamente una proiezione finanziaria basata sul valore teorico di mercato in caso di risoluzione anticipata”, essendo “influenzato da una serie di fattori ed è quindi sistematicamente aggiustato in funzione dell’andamento dei mercati finanziari”.

[2] “Mark to market è un’espressione che designa – in larga approssimazione – un metodo di valutazione delle attività finanziarie, che si contrappone a quello storico o di acquisizione attualizzato mediante il ricorso a indici d’aggiornamento monetario. Esso consiste nell’attribuire a dette attività il valore che esse avrebbero in caso di rinegoziazione del contratto o di scioglimento del rapporto prima della sua scadenza naturale. Il mark to market è detto anche costo di sostituzione, perchè corrisponde al prezzo, dettato dal mercato in un dato momento storico, che i terzi sarebbero disposti a sostenere per subentrare nel contratto stesso. Si legge in Cass. penale n. 47421/11 che il mark to market “non esprime affatto un valore concreto ed attuale, ma esclusivamente una proiezione finanziaria basata sul valore teorico di mercato in caso di risoluzione anticipata. Il valore del mark to market, infatti, è influenzato da una serie di fattori ed è quindi sistematicamente aggiustato in funzione dell’andamento dei mercati finanziari, dovendosi poi attrarre nell’ambito dei relativi parametri di determinazione anche l’up to front erogato e l’utile per la banca” […]il costo di sostituzione degli strumenti finanziari (derivati ed equiparati) non è un vero e proprio prezzo di mercato concreto ed attuale, ma una grandezza monetaria teorica che è calcolata per l’ipotesi in cui il contratto cessi prima della sua scadenza naturale. Essa tiene conto anche di fattori ulteriori, quali, ad esempio, i costi da sostenere, la maggiore o minore volatilità del prodotto e l’up-front, vale a dire “l’eventuale flusso di cassa dal portafoglio finanziario strutturato che viene regolato al momento della conclusione dell’operazione in derivati” così lo definisce l’art. 1, comma 3, lett. i) del Regolamento concernente i contratti relativi agli strumenti finanziari derivati sottoscritti da regioni ed enti locali, ai sensi del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 62, comma 3, convertito con modificazioni dalla L. 6 agosto 2008, n. 133 , così come modificato e integrato dalla L. 22 dicembre 2008, n. 203, art. 3, comma 1”.

[3] Così Caputo Nassetti, Funzione di copertura parziale di uno swap di pagamenti e mancanza della formula di calcolo del mark-to-market, in Giurisprudenza commerciale, 2017

[4] “Tale circostanza costituisce ragione più liquida di rigetto della domanda attorea siccome manifestamente e documentalmente infondata e ciò a prescindere dall’effettiva possibilità di individuare il mark to market come oggetto del contratto di IRS”e, la motivazione precedente così si formava: “A norma dell’art. 1346 c.c. l’oggetto del contratto deve essere determinato o determinabile. Il solo fatto che il mark to market sia specificamente indicato nel contratto di IRS titolo delle domande attoree rende irrilevante la mancata indicazione del modello per il suo calcolo: la determinabilità dell’oggetto del contratto è prevista, dall’art. 1346 c.c. come alternativa rispetto alla determinazione dello stesso, con la conseguenza che, non essendo contestata dall’attrice la correttezza della determinazione del mark to market del derivato titolo delle proprie domande, la sua espressa enunciazione rende tale parametro del tutto determinato”(così Tribunale di Milano, 14-2-2018, n. 1599).

 

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