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Giurisprudenza

Distinzione tra reato di riciclaggio e reato di reimpiego di denaro

6 Ottobre 2016

Francesca De Simone

Cassazione Penale, Sez. II, 15 Aprile 2016, n. 30429

Di cosa si parla in questo articolo

L’impiego diretto di denaro di provenienza illecita in attività economiche o finanziarie in grado di “ripulirlo” non costituisce riciclaggio e va sanzionato sulla base dell’articolo 648 ter del codice penale. La sostituzione, invece, di questo denaro e il suo successivo reimpiego è punito per riciclaggio ai sensi dell’art 648 bis c.p.

 

Con l’arresto in commento la Cassazione, chiamata a pronunciarsi su una sentenza emessa della Corte di Appello de L’Aquila, ne ha contestato le conclusioni considerando non corretta la qualificazione del fatto posta alla base della decisione. La ricostruzione che a sua volta avevano effettuato i giudici del Tribunale di primo grado comportava che gli amministratori di una società a responsabilità limitata fossero coscienti di utilizzare denaro proveniente dai reati di usura contestati ad altri soggetti in una pluralità di capi di imputazione, nonché del reato di esercizio abusivo di attività finanziaria. Su tali premesse, la Corte di Cassazione ha chiarito la questione dal punto di vista giuridico ma sul punto di fatto ha lasciato aperta l’interpretazione soprattutto per quanto riguarda la circolazione dei flussi finanziari e l’impiego di danaro proveniente da attività illecite nella gestione della società. Orbene, la Corte ritiene che il reato di cui all’art. 648 ter c.p. (Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) contenga una clausola di sussidiarietà, per la quale non risulta applicabile tale norma in ipotesi di concorso nel reato presupposto, ed anche allorché siano presenti le fattispecie di ricettazione o riciclaggio. Non a caso, la stessa Corte, con sentenza n. 4800 del 2009, aveva avuto già modo di precisare che la ricettazione (art. 648 c.p.) ed il riciclaggio (art. 648 bis c.p.) prevalgono solamente qualora si sia in presenza di più azioni distinte: azioni di ricettazione o riciclaggio e, successivamente, di impiego; invece, appare corretto configurare il delitto ex art. 648 ter c.p. in ipotesi di condotte realizzate in un contesto unitario volto già inizialmente all’impiego. Tanto sintetizzato, “sono esclusi della punibilità ex art. 648 ter c.p. coloro che abbiano già commesso il delitto di riciclaggio o ricettazione e che, successivamente, con determinazione autonoma, abbiano poi impiegato quello che era già frutto del delitto a loro addebitato; sono, invece, punibili colore che, con unicità di determinazione teleologica originaria, hanno sostituito o ricevuto denaro per impiegarlo in attività economiche o finanziarie”.

In base a tale costrutto, la distinzione tra il reato di riciclaggio ed il reato di reimpiego di denaro risiede, principalmente, nella unicità o pluralità di comportamenti. In virtù della «clausola di sussidiarietà» prevista nell’art. 648 ter c.p., la fattispecie incriminatrice del reimpiego illecito non è applicabile a coloro che abbiano già commesso il delitto di ricettazione o di riciclaggio e che, solo successivamente, con determinazione autonoma (al di fuori, cioè, della iniziale ricezione o sostituzione del denaro), abbiano poi impiegato ciò che era frutto di delitti a loro addebitati (in tal caso il reimpiego del denaro si atteggia, infatti, come “post factum” non rilevante). Per converso, la norma incriminatrice del reimpiego è applicabile a coloro che, con unicità di determinazione teleologica originaria, abbiano ricevuto o sostituito denaro di provenienza illecita per impiegarlo in attività economiche o finanziarie.

È certo che la linea di confine tra le due diverse fattispecie di reato non è facile e, nel caso di specie trattato dalla Suprema Corte, non è stato svolto con proporzionata riflessione dalla Corte d’appello. Secondo la Cassazione, infatti, “deve rilevarsi che l’apparato argomentativo della sentenza impugnata non offre elementi sufficienti per una corretta qualificazione del fatto contestato”.[1] La linea di confine passa allora attraverso il criterio della pluralità o della unicità delle azioni e delle scelte ad esse sottese, per cui sul piano giuridico: nel caso di unicità dell’azione, l’imputato risponde di riciclaggio con l’esclusione dell’impiego di denaro o utilità; nel secondo caso, soltanto a titolo di articolo 648 ter, venendo assorbita in questa fattispecie anche la precedente attività di sostituzione o di ricezione.

 

[1] Per tali ragioni, la Corte incentra la propria lente d’indagine sulla portata della clausola di riserva contenuta nell’art. 648 ter c.p. che condiziona la punibilità per il delitto di reimpiego dei capitali di provenienza illecita al mancato concorso nei delitti di ricettazione o di riciclaggio ed all’insussistenza dei presupposti di fatto per un’incriminazione a tali titoli.

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