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Editoriali

Ricordo di Paolo Baffi

14 Dicembre 2016

Rainer Masera

In occasione del Premio Letterario Internazionale Eugenia Tantucci per il 2016 (Roma, Biblioteca Nazionale, 13.12.2016), la Signora Anna Paola Tantucci e la Signora Maria Alessandra Baffi mi hanno chiesto di predisporre un breve ricordo personale di Paolo Baffi. Le ringrazio per questa opportunità di riflessione su temi sempre vivi nella mia memoria.

I. Paolo Baffi morì il 4 agosto 1989: era Vice Presidente della Banca dei Regolamenti Internazionali, Governatore Onorario della Banca d’Italia, Accademico dei Lincei. Era stato Governatore della Banca d’Italia fra il 1975 e il 1979; Presidente della Società Italiana degli Economisti fra il 1980 e il 1982.

Era nato a Broni il 5 agosto 1911 da Giovanni Baffi e Giuseppina Lolla. Il padre era mancato a soli 29 anni, nel 1915, cosicché la giovane vedova aveva avuto ad allevare il figlio e a sostenerlo negli studi con diuturno, gravoso lavoro in un Oltrepò pavese allora assai povero di beni materiali, ma «ricco nel rapporto con una natura incontaminata, nel sentimento di appartenenza a una comunità religiosa e civile».

Giovanni era rientrato, per difetto di fortuna, dall’Argentina dove era emigrato non ancora ventenne. Ricordando il carattere del padre, Baffi ne sottolineava i tratti della socievolezza e dell’inclinazione alla poesia; ne sono testimonianza queste righe scritte da Giovanni da Bahia bianca nel 1906:

«Quando penso alle ridenti colline che s’alzano dolcemente attorno al nostro paese e gli fanno corona, e dalle quali gli sguardi si distendono nell’immensa pianura fino all’azzurro dell’orizzonte, allora quasi piango… Qui non c’è l’usignolo né la rondine sublimi emblemi di castità e d’amore. Non si vedono fiori né leggiadre farfallette; anche il cielo par diverso dall’italiano: tutto sta a rovescio, non si vedono né il carro né la stella della speranza».

In Paolo Baffi coesistevano due tratti diversi: il duro lavoro e l’attenzione spasmodica al dettaglio ereditati dalla madre; la capacità di visione e l’intelligenza creativa ricevute dal padre. Comunque, si manifestava la volontà di aderire in maniera totale ai propri convincimenti, che mai erano dogmi, ma venivano sempre rivisitati dall’interno. Baffi era il primo critico di se stesso; l’insegnamento, l’eredità e la testimonianza risiedevano nel rigore etico, nella grande intelligenza e nel metodo di lavoro, che si basava sulla fiducia nelle proprie idee, pur nella consapevolezza che queste non avrebbero forse portato al proprio benessere.

Chi ebbe la fortuna di conoscere l’uomo Baffi sa quanto la sua personalità fosse segnata con uguale forza e profondità da questi elementi diversi, che richiamano l’Alexandros pascoliano. Al riserbo, alla naturale ritrosia e timidezza, alla lucida razionalità cartesiana, alla ricerca del modello matematico come vincolo logico-formale corrispondevano, sovrapponendosi, grande sensibilità umana, inclinazione per le arti, rispetto e amore per i giovani e i deboli, per la natura e per l’ambiente (e per l’amata Pineta monumentale di Fregene).

La vita e gli impegni di Paolo Baffi sono divisi fra Banca centrale e Accademia: i due percorsi si intersecano e si arricchiscono vicendevolmente.

Il profondo affetto e la gratitudine per la madre – che dedicò con impegno, forza d’animo, fiducia tipicamente lombardi ogni risorsa per consentire gli studi all’ingegno brillante e precoce – hanno contribuito a formare il giovane Baffi, che si guadagnò la Bocconi, divenendo a 19 anni collaboratore di Mortara, ancor prima della laurea conseguita nel 1932. Rimase a Milano, come assistente di statistica sia alla Bocconi, sia alla Statale, fino al 1936. In quell’anno, Azzolini lo chiamò alla Banca d’Italia, affidando a lui e a pochi altri giovani dotati di un brillante curriculum accademico – tra questi ricordo Campolongo e di Nardi – il compito di disegnare la struttura del Servizio Studi, che avrebbe dovuto assecondare l’azione dell’Ispettorato del credito, creato dalla nuova Legge Bancaria. Di fatto, l’Ispettorato non assunse mai configurazione autonoma, cosicché il Servizio Studi divenne parte integrante dell’Istituto di emissione, svolgendo un ruolo importante per la vita economica del Paese.

Al Servizio Studi Baffi rimase fino al 1956: ricoprì diversi incarichi, lo diresse dalla fine della guerra. Fu poi nominato Consigliere economico dell’Istituto di emissione (svolgendo al contempo analoga funzione alla Banca dei Regolamenti Internazionali insieme a Friedrich Lutz). Nel 1959 fu eletto socio corrispondente dell’Accademia dei Lincei; in quell’anno accademico insegnò e svolse ricerche alla Cornell University come Visiting Professor. L’anno successivo fu nominato Direttore Generale della Banca d’Italia e divenne, secondo la consuetudine di quegli anni, Vice Presidente dell’Istituto Mobiliare Italiano. A partire dal 1970 fu incaricato di storia e politica monetaria alla Facoltà di Scienze Politiche della Sapienza. Al di là del profondo legame intellettuale al mondo accademico, lo sollecitava e interessava l’incontro con i giovani, che necessariamente si rarefaceva in Banca. Tenne l’incarico per un decennio. Succedette a Guido Carli come Governatore nel 1975 e condusse la Banca fino al settembre 1979: i procedimenti giudiziari – in seguito riconosciuti privi di fondamento – avviati contro di lui e contro Mario Sarcinelli il 24 marzo 1979 per il caso della SIR lo ferirono profondamente, inducendolo a rassegnare le dimissioni, nonostante le toccanti testimonianze di solidarietà, segnatamente quelle degli economisti e dei banchieri centrali.

Accettò la carica di Governatore onorario dell’Istituto di emissione. Non ne accettò altre che potessero distoglierlo dagli studi economici, ripresi con impegno pieno. Fu eletto nel 1980 Presidente della Società Italiana degli Economisti per un triennio, Presidente dell’Ente Einaudi per gli Studi Monetari e, nel 1988, Vice Presidente della BRI.

Capacità di analisi, rigore intellettuale, indipendenza di giudizio, lucidità e rettitudine: sono tutte caratteristiche che hanno improntato il lavoro e l’operato costante di Baffi, economista insigne. La naturale sollecitazione all’esame dei problemi monetari e di cambio non fu mai disgiunta dall’analisi dei fenomeni reali e demografici: la sua visione dell’Economia era completa e sorretta da vasta e approfondita conoscenza della storia economica, da un lato, e dei metodi matematici, dall’altro. Mai, tuttavia, ne fece sfoggio.

Le ultime, sofferte Considerazioni finali testimoniano la profonda novità del suo operare, anche nei confronti dei Maestri Einaudi e Menichella. Trasparenza e piena informazione non solo nella condotta della politica monetaria, ma anche dell’esercizio della vigilanza furono indirizzi che sostenne anche al costo di sacrificarvi qualsiasi considerazione di carattere personale:

«Le azioni delle banche centrali sono uscite dal silenzio, forse per non più ritornarvi: se quel silenzio è stato in passato percepito come garanzia di indipendenza, oggi l’indipendenza si realizza nel rendere conto esplicito della propria azione in modi e tempi che non ne compromettano l’efficacia».

II. Nel mio ricordo di Paolo Baffi si affacciano prepotentemente alla memoria tre argomenti principali. Il primo è connesso alla mia collaborazione alle problematiche di avvicinamento all’Europa attraverso i meccanismi monetari, di finanza pubblica e di cambio. In particolare, ho avuto la fortuna di lavorare con il Maestro sulle questioni del Sistema Monetario Europeo, sia in Italia, sia a livello europeo. Su questo argomento ho, peraltro, già avuto modo di soffermarmi[1].

La seconda questione insiste proprio sulla vicenda giudiziaria di Paolo Baffi nel rapporto IMI-SIR. Le vergognose accuse caddero, due anni dopo l’incriminazione di Baffi e Sarcinelli, nel giugno 1981. I danni furono comunque irreparabili, ma l’ignobile storia giudiziaria SIR-IMI si riaprì nel 1982 con una citazione di Rovelli all’IMI per asseriti danni subiti. Si arrivò, nel 1994, a un incredibile, iniquo pagamento da parte dell’IMI (Presidente Luigi Arcuti e Direttore Generale Rainer Masera) di circa 1.000 miliardi di vecchie lire, sulla base di una sentenza della Cassazione, che confermava il giudizio avverso a IMI della Corte di Appello di Roma. Ma la vicenda giudiziaria si sarebbe riaperta, per concludersi nel 2006 con una sentenza definitiva che spiegava come quel pagamento era dipeso da decisioni prese da giudici corrotti. Si tratta di questioni sulle quali vorrò forse tornare.

Il terzo argomento insiste sulla memoria scritta da Paolo Baffi sui contorni dell’assalto alla Banca d’Italia. Il giornalista Massimo Riva aveva chiesto al Dott. Baffi di raccogliere e ordinare le sue memorie relative all’evento sciagurato dell’attacco alla Banca d’Italia. Paolo Baffi rispose a questa richiesta predisponendo una nota: “Cronaca breve di una vicenda giudiziaria”. La nota fu fatta avere nel marzo 1983 a Riva, con la indicazione, peraltro, di non pubblicare il documento. Dopo la sua morte, Riva prese contatto con la Sig.ra Baffi e con i figli, Giuseppina ed Enrico, chiedendo loro l’autorizzazione, accordata, a pubblicare la “Cronaca breve”, cosa che avvenne sulla rivista Panorama dell’11 febbraio 1990. Su questi temi svolgerò oggi qualche considerazione: il passaggio del tempo non ha stemperato lo sdegno per quanto avvenuto.

III. La nomina a Governatore di Paolo Baffi al momento delle dimissioni di Carli fu sofferta e difficile. Molti comprendevano, infatti, che essa avrebbe rappresentato una cesura sia sotto il profilo dei rapporti con il Tesoro e della politica monetaria, sia sotto l’aspetto della Vigilanza. Pertanto la osteggiarono.

Appare che lo stesso Carli avrebbe preferito e suggerito la nomina a Governatore di Ferdinando Ventriglia, molto vicino all’allora Ministro del Tesoro Emilio Colombo. L’ipotesi venne fermata principalmente per l’opposizione di Ugo La Malfa (e per le preoccupazioni all’interno della Democrazia Cristiana di una eccessiva concentrazione di potere nelle mani di Colombo), ma anche come conseguenza del sostegno offerto dal Banco di Roma – del quale Ventriglia era un Amministratore Delegato – alla Banca Privata di Michele Sindona, finita in bancarotta. Carli aveva affermato che la classe politica “si sarebbe accorta” della tempra di Baffi,ritenendo ormai compromessa l’indipendenza di azione della Banca d’Italia a fronte del dissennato deficit del Tesoro. Lo aveva teorizzato nelle sue Considerazioni Finali:

«Ci siamo posti e ci poniamo l’interrogativo se la Banca d’Italia avrebbe potuto o potrebbe rifiutare il finanziamento del disavanzo del settore pubblico astenendosi dall’esercitare la facoltà attribuita dalla legge di acquistare titoli di Stato. Il rifiuto porrebbe lo Stato nella impossibilità di pagare stipendi ai pubblici dipendenti dell’ordine militare, dell’ordine giudiziario, dell’ordine civile e pensioni alla generalità dei cittadini. Avrebbe l’apparenza di un atto di politica monetaria; nella sostanza sarebbe un atto sedizioso, al quale seguirebbe la paralisi delle istituzioni» (Considerazioni Finali del Governatore della Banca d’Italia per il 1973).

Sul monito formulato alla classe politica da Carli, Baffi così si espresse nella lettera a Riva con cui accompagnò la sua “cronaca”:

«Purtroppo, come la classe politica (e i potentati a essa legati nello scambio dei favori) ha dovuto accorgersi di me, io ho dovuto accorgermi della potenza del complesso politico-affaristico-giudiziario che mi ha battuto. Il monito di Carli avrebbe dunque dovuto essere rivolto anche a me in senso opposto. Del resto il modo in cui Carli giustificava (secondo quanto leggo nel suo articolo) la scelta di Cefis, come quella di Ventriglia per il governatorato, dimostra che egli giudicava senza speranza la battaglia contro questo apparato».

La rotta di collisione con “l’apparato” non sarebbe comunque stata riguardo alla politica monetaria e di cambio. In particolare, sul negoziato circa lo SME e nei rapporti con Francia e Germania (il Presidente Valéry Giscard d’Estaing e il Cancelliere Helmut Schmidt) si sarebbe registrato un sostegno di fatto, anche per la complessità tecnica della trattativa. Si manifestò, inoltre, l’atteggiamento tipico di molti politici ieri – ma ancora oggi –: sostenere l’esigenza di un vincolo esterno per l’Italia, come alibi per comportamenti incoerenti con l’appartenenza all’Europa.

Le questioni gradualmente divenute scottanti si imperniavano sulla condotta della Vigilanza. Tre erano i principali fronti aperti, aldilà della questione IMI-SIR, fondamentalmente strumentale nell’attacco a Baffi e Sarcinelli. I veri, profondi contrasti stavano nei rapporti: 1. con Sindona e la Banca Privata; 2. con Roberto Calvi, il Banco Ambrosiano e l’Istituto per le Opere della Religione (IOR) del Vaticano; 3. con Italcasse (ICCRI); nei fondi neri utilizzati dal Direttore Generale Giuseppe Arcaini emersi in un’ispezione, nonché nei rapporti con i fratelli Camillo, Gaetano e Francesco Caltagirone, con il Banco di Roma e con l’affare Generale Immobiliare, intrecciato con lo stesso Sindona e con la SIR. Questi furono i veri punti di contrasto alla radice della “infernale macchinazione”.

Nell’affaire Italcasse si intrecciano tutti gli elementi e i torbidi personaggi che diedero vita a un puzzle dell’orrore che verrà qui brevemente ricordato. Il puzzle non è stato ancora ricomposto e non sono stati ancora assegnati ruoli e responsabilità precisi. Il caso si aprì sul fronte “minore” dei fondi neri utilizzati dal Direttore Arcaini – in piccola parte per far fronte ai pagamenti per il sequestro del figlio. Ma Italcasse vantava crediti per ammontari di grande rilievo sia nei confronti della SIR di Rovelli, sia delle società dei fratelli Caltagirone. In questa vicenda si inserisce un giornalista, Carmine Pecorelli, che nella sua discussa rivista OP aveva messo in evidenza la esposizione (di dubbia sostenibilità) dei due gruppi sopra indicati nei confronti di Italcasse, formulando accuse nei confronti del Magistrato Claudio Vitalone per presunte pressioni volte a favorire la sistemazione dei debiti di Caltagirone verso l’Italcasse. In una cena riservata presso il Circolo della Famiglia Piemontese a Roma si sarebbe discusso, secondo gli elementi raccolti dalla Corte di Assise di Appello di Perugia, di queste vicende tra Walter Bonino, Presidente del Circolo, Carmine Pecorelli, Claudio Vitalone e pochi altri. Bonino aveva preso l’iniziativa di organizzare la cena perché riteneva che un incontro sarebbe stato gradito a tutte le parti per cercare di addivenire a un chiarimento. Non è dato sapere se l’incontro avesse portato alla soluzione auspicata. Di fatto gli attacchi di Pecorelli sulla sua rivista proseguirono in molteplici direzioni, compresa quella delle Brigate Rosse.

La sera del 20 maggio 1979 in Roma nei pressi della redazione di OP Carmine Pecorelli fu ucciso con quattro colpi di pistola esplosi da una stessa arma munita di silenziatore.

La questione Italcasse/Banca d’Italia si avviò, come detto, sull’accertamento dei fondi neri, che condusse al commissariamento dell’ICCRI. Ciò rese di fatto e de iure impossibile per la Banca d’Italia esaminare direttamente ipotesi di sistemazione del debito dei Caltagirone. Le pressioni al riguardo furono comunque pesanti, come indica lo stesso Baffi con riferimento al suo interrogatorio del 7 aprile 1978 da parte del Consigliere Achille Gallucci, Capo dell’Ufficio Istruzione presso la Procura della Repubblica di Roma (al quale erano presenti il Procuratore Infelisi che si occupava del sequestro di Aldo Moro e della strage della scorta, nonché il Giudice Pizzuti che seguiva la questione Italcasse).

I commissari chiesero il fallimento delle società dei Caltagirone con l’ipotesi di bancarotta fraudolenta. Il 21 marzo 1980 la Magistratura emise per i tre fratelli mandati di cattura, eseguiti all’estero. Il 29 gennaio 1984 la Corte di Cassazione revocò i mandati. Nel novembre 1989 fu deciso il completo proscioglimento. Ma a metà degli anni novanta i giudici di Mani Pulite sottolinearono che la sezione della Corte di Appello di Roma che aveva preso le decisioni a favore dei Caltagirone era la stessa che aveva deciso sul “risarcimento” di IMI nei confronti di Rovelli, come ho sopra ricordato.

La drammatica contrapposizione fra la Vigilanza della Banca d’Italia e l’apparato della finanza deviata e del complesso politico-giudiziario inquinato si manifestò in modo palese con i tragici accadimenti della Banca Privata e del Banco Ambrosiano.

Le difficoltà delle banche di Sindona erano già emerse con Carli governatore: la Banca Privata in dissesto fu commissariata. L’avvocato Giorgio Ambrosoli, esperto in diritto fallimentare, fu nominato nel 1974 Commissario liquidatore. Nel corso del 1975 Ambrosoli fece emergere, da un attento esame dello stato patrimoniale, l’insolvenza della Banca Privata (con l’incriminazione per bancarotta fraudolenta di Sindona). Baffi e Sarcinelli ne presero atto e lo sollecitarono a continuare nel proprio lavoro, nonostante forti pressioni e minacce per cercare di salvare la banca. Emersero con chiarezza gli intrecci di interessi fra Sindona e lo IOR, confluiti nella Finabank di Ginevra.

Il tragico epilogo avvenne l’11 luglio 1979. Ambrosoli, lasciato senza scorta nonostante l’evidente pericolo per la sua incolumità, fu ucciso sotto casa da un killer americano collegato alla mafia. Nei giorni successivi avrebbe dovuto consegnare le carte che certificavano la necessità di liquidazione della banca e mostravano le responsabilità di Sindona. La morte e i funerali avvengono in un assordante silenzio istituzionale. Il 14 luglio Baffi è solo alle esequie, “le istituzioni della Repubblica sono assenti”. Ma si apre un filone di indagine svolto da magistrati impegnati, competenti e indipendenti.

Si accertarono le responsabilità come mandante dell’assassinio da parte di Michele Sindona, che venne successivamente condannato all’ergastolo. Sindona a sua volta morì per veleno, in carcere, il 22 marzo 1986. Resta il dubbio se si trattò di un assassinio o di un suicidio.

Vengo al Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Era stato Sarcinelli, naturalmente con il pieno appoggio di Baffi, a promuovere l’ispezione al Banco che ne avrebbe posto in evidenza le malversazioni, le insormontabili perdite reddituali e le gravi carenze patrimoniali. Sarcinelli ha espresso il convincimento che sia stata proprio la questione Banco Ambrosiano a far scatenare l’attacco alla Banca d’Italia. Si ritrovano conferme nella sentenza dei giudici istruttori di Milano con la quale Sindona venne, come sopra ricordato, rinviato a giudizio. Le indagini sul Banco Ambrosiano fecero emergere gli intrecci perversi sia con il sistema di potere P2 (la Loggia massonica segreta retta da Licio Gelli come Gran Maestro), sia, nuovamente, con lo IOR e i finanziamenti da questo accordati alle banche off shore di Calvi. Anche in questo caso, le responsabilità di Calvi furono accertate dalla Magistratura. In libertà provvisoria riparò all’estero e fu trovato impiccato sotto il ponte dei Black Friars sul Tamigi a Londra il 17 giugno 1982. Suicidio od omicidio? Non si ha risposta definitiva.

Non posso concludere questa catena di orrori che Paolo Baffi dovette affrontare mostrando sempre fermezza, dignità e grande coraggio, senza ricordare che nel marzo del 1978, in collegamento con il sequestro di Aldo Moro (a lungo “interrogato” sulla questione Italcasse) apparvero elenchi di eliminazione delle Brigate Rosse che comprendevano il nome di Baffi. La testimonianza di lucido, ma disperato coraggio sta nelle sue stesse parole:

«È stato scritto che l’idea della propria morte concentra meravigliosamente la mente, ed è vero. Ho compreso questa annotazione per dare l’idea del sovraccarico che si determina nel dirigente, in questo caso responsabile di funzioni di Stato come la moneta e la vigilanza, quando deve attendere ai problemi del suo ufficio e al tempo stesso guardarsi dal fuoco incrociato del terrorismo e della magistratura».

IV. Mi sia consentito di chiudere ritornando alle questioni monetarie e di cambio con alcune notazioni di Paolo Baffi nelle sue ultime Considerazioni Finali che conservano una straordinaria attualità. L’integrazione monetaria (e l’unione monetaria oggi) avrebbe dovuto essere accompagnata da politiche di crescita economica sostenibile e di solidarietà dei paesi più forti, a complemento delle azioni di risanamento interno:

«L’istituzione del sistema monetario europeo è stata concepita… come elemento fondamentale di un rinnovato impulso all’integrazione economica e finanziaria europea: una maggiore stabilità monetaria e di cambio doveva essere perseguita quale parte di una azione comune per accelerare la crescita, per diminuire la disoccupazione e l’inflazione e per rafforzare le economie meno prospere della comunità» (Considerazioni finali delGovernatore della Banca d’Italia per il 1978).

 


[1] Cfr. ad esempio Rainer Masera (2015), “Grandi europei del nuovo millennio”, Laudatio per Valéry Giscard d’Estaing, Baraldini Editore, Mirandola. Si veda anche Paolo Baffi (1988), “Due momenti del negoziato sullo SME: la banda larga e l’adesione del Regno Unito”, Testimonianza al Convegno “Il Sistema Monetario Europeo a dieci anni dal suo atto costitutivo: risultati e prospettive”, Ministero degli Affari Esteri, Istituto Mobiliare Italiano, Roma, 5 dicembre 1988, e i miei lavori citati da Baffi nella sua testimonianza.

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