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Editoriali

Gli accordi di ristrutturazione nella legge delega

13 Novembre 2017

Giuseppe Bozza

già Presidente del Tribunale di Vicenza

Di cosa si parla in questo articolo

Il tiepido successo, sicuramente inferiore alle aspettative, finora riscontrato dagli accordi di ristrutturazione è facilmente spiegabile con il maggiore appeal che ha avuto il concordato preventivo, perché non soggetto al più elevato limite di consenso (almeno il 60% del monte crediti) previsto per gli accordi e perchè in grado di produrre i suoi effetti anche rispetto ai creditori dissenzienti, diversamente dagli accordi, inapplicabili ai creditori estranei, se non per quanto attiene ad un modesto slittamento dei termini di pagamento contrattualmente previsti.

Queste difficoltà erano state ben colte dal legislatore del 2015 quando, con l’art. 9 del d.l. n. 83 del 2015, convertito dalla legge n. 132 del 2015, ha introdotto gli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari (e la convenzione di moratoria) di cui all’art. 182-septies, che consente al debitore che abbia un indebitamento bancario, in misura non inferiore alla metà dell’indebitamento complessivo, di percorrere la strada dell’accordo di ristrutturazione, rendendo obbligatorio l’accordo raggiunto con il 75% dei creditori bancari inseriti in apposite categorie omogenee anche per gli altri creditori bancari non aderenti facenti parte della stessa categoria.

Questo tentativo di avvicinare gli accordi di ristrutturazione al concordato preventivo, limitato nel 2015 alle imprese in crisi fortemente esposte verso creditori finanziari e con effetti espansivi soltanto per banche e altri intermediari finanziari, è stato generalizzato dalla Legge Delega 19/10/2017, n. 155, che tende a rendere vincolante la volontà della maggioranza per la minoranza attraverso l’estensione della procedura di cui all’arti. 182-septies “all’accordo di ristrutturazione non liquidatorio o alla convenzione di moratoria conclusi con creditori, anche diversi da banche e intermediari finanziari, rappresentanti almeno il 75% dei crediti di una o più categorie giuridicamente ed economicamente omogenee (art. 5, lett. a). Avvicinamento ulteriormente attuato con l’assimilazione della disciplina delle misure protettive degli accordi di ristrutturazione dei debiti a quella prevista per la procedura di concordato preventivo (art. 5, lett. c) e con l’estensione degli effetti dell’accordo ai soci illimitatamente responsabili, alle medesime condizioni previste nella disciplina del concordato preventivo (art. 5 lett. d).

Il riferimento, sia nel DLD che nell’art. 182-septies, alle categorie per esprimere lo stesso concetto delle classi utilizzato nell’art. 160, co. 1, lett. c) si spiega con l’intento di sottolineare la differenza dello scopo cui è finalizzata la formazione delle classi nel concordato e negli accordi di ristrutturazione; nella prima procedura la classazione ha lo scopo di consentire trattamenti differenziati tra soggetti che, pur avendo la stessa posizione giuridica (in linea di massima i chirografari), hanno interessi economici diversificati, nel mentre nella ristrutturazione, ove non vige un obbligo di parità di trattamento tra creditori che si trovano nella medesima condizione in quanto la definizione delle singole posizioni è lasciata alla libertà delle parti, la formazione di categorie ha il più limitato scopo di creare dei gruppi omogenei, in modo da poter estendere l’accordo raggiunto con la maggioranza del gruppo anche ai non aderenti appartenenti alla stessa categoria.

Mancando, infatti, l’espressione di un voto dei creditori, che consente l’applicazione del principio maggioritario che automaticamente vincola la minoranza, l’effetto di vincolare i non aderenti all’accordo alla volontà della maggioranza in deroga sia al principio che il contratto ha forza di legge solo tra le parti (art. 1372 c.c.), sia al principio che la stipulazione a favore di terzi può avere effetto nei loro confronti solo quando accettino di profittarne (art. 1411 c.c.), diventa giustificabile, sotto il profilo costituzionale, solo ove ciascun creditore sia chiamato ad esprimere la sua volontà in un contesto di omogeneità, ove vi sia, cioè, una comunanza di interessi che, da un lato, spinge i creditori ad esprimere una adesione all’accordo non influenzato decisivamente da fattori particolari, (non inquinata cioè da vicende singolari) e, dall’altro, consenta alla volontà dei più di trasformarsi fisiologicamente in una decisione adottata nell’interesse dell’intero gruppo di creditori che si trovano nelle medesime condizioni.

La direttiva di estendere la procedura di cui all’articolo 182-septies all’accordo di ristrutturazione, contenuta nella lett. a) dell’art. 4 del DLD, comporta un generale rinvio alla disciplina dettata per gli accordi di ristrutturazione bancaria (su cui non mi soffermo) e, quindi, il legislatore delegato dovrà riprodurre le disposizioni procedurali dettate da detta norma, con i dovuti adattamenti in quanto i creditori interessati dalla ristrutturazione con effetti vincolanti anche per le minoranze non aderenti non sono soltanto le banche e gli intermediari finanziari, ma, potenzialmente, tutti i creditori e, in concreto, tutti i creditori riuniti in una o più categorie per i quali il debitore chieda di applicare il principio maggioritario, dato che non è prevista la obbligatorietà della formazione delle classi.

Il nuovo istituto, così come quello di cui all’art. 182-septies, è destinato, tuttavia, ad operare entro la medesima area di applicazione degli accordi di ristrutturazione di cui all’art. 182-bis, per cui è comunque necessario che il debitore raggiunga un accordo con i creditori che rappresentino almeno il 60% dell’intera massa dei crediti, tant’è che il DLD prevede l’eliminazione o, comunque, la riduzione di questa soglia ove il debitore non proponga la moratoria del pagamento dei creditori estranei, di cui al primo comma del citato articolo 182-bis, né richieda le misure protettive previste dal sesto comma del medesimo articolo, quali, ad esempio, la sospensione delle azioni esecutive o cautelari durante le trattative (art. 5, lett. b, DLD). Il limite oggi esistente, quindi, rimane ove il debitore chieda la moratoria o misure protettive, nel mentre, per rivitalizzare la procedura, potrà essere ridotto, o addirittura eliminato, dal legislatore delegato ove il debitore non presenti alcuna di queste richieste.

Premessa la necessità che si arrivi ad una quota di adesioni che raggiungano il limite attuale o quello che sarà fissato nelle fattispecie rappresentate, il debitore con indebitamento bancario qualificato può, a norma dell’art. 182-septies, classare solo i creditori bancari e chiedere di estendere obbligatoriamente a tutti i creditori bancari di una categoria l’accordo raggiunto con il 75% degli appartenenti alla stessa categoria; il nuovo istituto dà a qualsiasi debitore in crisi che intenda accedere alla ristrutturazione la possibilità di raggruppare tutti o alcuni dei creditori in classi, ciascuna costituita da creditori che abbiano fra loro posizione giuridica e interessi economici omogenei, ma dà anche la libertà di non fare alcuna classazione o farla solo per alcuni creditori, con la conseguenza che, per i creditori raggruppati in categorie, il debitore potrà chiedere di estendere gli effetti dell’accordo raggiunto almeno con il 75% degli appartenenti a ciascuna classe anche ai creditori dissenzienti inseriti nella stessa classe, nel mentre per gli altri creditori non raggruppati in categorie rimangono applicabili le regole ordinarie di cui all’art. 182-bis con il relativo obbligo del loro pagamento integrale.

La possibilità di rendere obbligatorio l’accordo anche per i creditori non aderenti stravolge la struttura degli accordi come oggi li conosciamo.

Modifica, infatti, i comportamenti del debitore fin dall’inizio, in quanto, mentre nella ristrutturazione ordinaria non occorre che il debitore raggiunga un unico accordo con i creditori, l’estensione dell’efficacia dell’accordo anche ai non aderenti presuppone, invece, che questo accordo sia unico all’interno di ciascuna categoria, essendo del tutto evidente che, se si ammettesse all’interno della categoria la possibilità per il debitore di concludere accordi separati e differenziati con ciascun creditore, non si saprebbe a quale fra i tanti accordi conclusi riconnettere l’estensione dell’efficacia. Tutto ciò spiega perché il debitore debba, a norma del primo comma dell’art. 182-septies, che costituisce lo schema per il futuro, informare i creditori di ciascuna categoria dell’avvio delle trattative e perché questa non possa esaurirsi in una formale comunicazione dell’intento di voler procedere alla ristrutturazione del proprio passivo, ma, proprio perchè l’effetto finale è quello di estendere un accordo anche a chi non vi ha dato adesione, la comunicazione debba essere molto più precisa e diretta a mettere i creditori in condizione di partecipare attivamente alle trattative,che, quindi, non possono più essere individuali ma per categorie.

Modifica i contenuti dell’attestazione dell’idoneità dell’accordo alla soddisfazione integrale degli altri creditori estranei alle trattative, perché questa, nel caso di abbassamento della soglia del 60%, dovrà estendersi anche alla tempestività dei pagamento, dato che l’eliminazione del livello indicato presuppone, come visto, che il debitore non proponga la moratoria del pagamento dei creditori estranei.

Modifica, infine, i compiti del Tribunale. Tutta la prima parte della procedura continuerà a svolgersi come adesso e, in conformità anche alla proposta di direttiva europea del 22/11/2016, liberamente senza alcun controllo sul debitore da parte del giudice, salvo il caso che venga chiesta la sospensione delle azioni esecutive già nel corso delle trattative, ma quando si arriva al giudizio di omologa le cose cambieranno radicalmente. Mentre, infatti, in questa fase dell’ordinaria ristrutturazione è riservata al giudice, in mancanza di opposizioni, sostanzialmente la verifica che la relazione redatta sia congruamente motivata, con riferimento alla veridicità dei dati aziendali ed all’attuabilità dell’accordo di ristrutturazione del debito, nonché alla idoneità dello stesso ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei, la forzosa estensione dell’accordo anche ai non aderenti e la formazione delle categorie comporterà che il tribunale verifichi che i creditori non aderenti ai quali si chiede l’estensione dell’accordo abbiano posizione giuridica e interessi economici omogenei rispetto a quelli degli altri creditori collocati nella stessa categoria, che abbiano ricevuto complete ed aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore nonchè sull’accordo e sui suoi effetti, e siano stati messi in condizione di partecipare alle trattative e che, infine, “possano risultare soddisfatti, in base all’accordo, in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili”, anche se non è agevole individuare le situazioni satisfattive alternative da mettere a confronto con la proposta di accordo. E questo apre nuovi scenari sui poteri dell’organo giudiziario che saranno sicuramente più penetranti rispetto ad oggi, in linea, del resto, con la nuova disciplina del concordato che attribuisce al giudice la verifica della fattibilità economica del piano.

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