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La valutazione dell’avviamento nella liquidazione della quota dei soci di società di persone

21 Luglio 2014

Avv. Prof. Stefano Loconte e Avv. Antonio Matarrese, Studio Legale e Tributario Loconte & Partners

Di cosa si parla in questo articolo

Nelle dinamiche societarie sono frequenti i casi in cui una società di persone “perda” alcuni dei suoi soci originari, venendo in luce la questione – particolarmente delicata – della liquidazione della quota del socio, sopratutto rispetto al valore di avviamento.

Questa problematica, che ha una grande rilevanza pratica (infatti è nella prassi che trova la più complete risposte), impone in prima battuta di inquadrare sommariamente i casi di scioglimento del rapporto sociale in relazione ad un solo socio, per poi analizzare le modalità previste dal legislatore per la definizione dei rapporti economici intercorrenti tra il socio stesso e la società.

La norma di riferimento è l’art. 2289 c.c., secondo cui: “Nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio, questi o i suoi eredi hanno diritto soltanto ad una somma di danaro che rappresenti il valore della quota. La liquidazione della quota è fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento. Se vi sono operazioni in corso, il socio o i suoi eredi partecipano agli utili e alle perdite inerenti alla operazioni medesime. Salvo quanto è disposto nell’art. 2270, il pagamento della quota spettante al socio deve essere fatto entro sei mesi dal giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto”.

Il rapporto sociale – limitatamentead un socio – può interrompersi innanzitutto a causa dello morte dello stesso: in questo caso la società dovrà liquidare agli eredi l’importo pecuniario corrispondente alla quota del de cuius, importo che dovrà rappresentare il valore della quota del socio defunto in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica il decesso stesso1.

Altra e diversa ipotesi è quella del recesso del socio che consiste nello scioglimento del rapporto sociale per iniziativa del singolo socio e non influisce sulla continuazione del rapporto sociale tra i soci superstiti. Il recesso è un atto unilaterale recettizio che costituisce diretta espressione di un diritto potestativo spettante ad ogni socio di società contratta a tempo indeterminato, per la vita di uno dei socio o, comunque, per un tempo superiore alla normale durata della vita umana. Oltre che in queste ipotesi, il socio può recedere negli altri casi individuati nel contratto sociale (ove previsti) o se ricorrere una giusta causa2.

Per completezza occorre anche ricordare che il socio può essere escluso dalla società per gravi inadempienze degli obblighi derivanti dalla legge o dal contratto sociale (art. 2286 c.c.); l’esclusione è deliberata dalla maggioranza dei soci3.

In tutti questi casi il rapporto sociale si scoglie limitatamente ad un socio, questi, o i suoi eredi, avranno diritto ad una somma di denaro che rappresenti il valore della quota senza alcuna possibilità di pretendere la restituzione dei beni conferiti in proprietà né, finché dura la società, la riconsegna dei beni conferiti in godimento4.

Per inciso, è doveroso sottolineare che è piuttosto controverso in dottrina e giurisprudenza l’individuazione del soggetto tenuto all’adempimento dell’obbligo della liquidazione: una parte minoritaria, infatti, ritiene che tale obbligo grava sui singoli soci; di contro, l’orientamento prevalente – al quale qui si aderisce – ritiene che sia la “società”, nella sua entità, il soggetto obbligato5.

Il problema che occorre comunque porsi, riguarda la concreta determinazione del valore della quota da liquidare in relazione alla quota di avviamento della società stessa, in considerazione del fatto che nel momento in cui il rapporto si scioglie la struttura societaria può aver acquistato valore nel corso del tempo, che deve essere riconosciuto anche al socio recedente (o defunto), dato che l’art. 2289 c.c. citato impone di tener conto dell'effettiva consistenza economica del patrimonio sociale.

La quota di avviamento è considerata “un fattore di redditività, derivante da un complesso di elementi che, se pure cronologicamente attualizzati al momento dello scioglimento del rapporto, si fondano sui risultati economici delle passate gestioni e sulle prudenti previsioni dei futuri rendimenti, e si traduce nella probabilità, proiettata eminentemente nel futuro, di maggiori profitti per i soci superstiti, derivanti dallapporto conferito dal socio recedente e consolidatosi come componente del patrimonio sociale (Cass. 7595-93)6.

L’utilità, dunque, andrà valutata al momento della cessazione del rapporto in ragione dei risultati ottenuti dalla società fino a tale momento. Pertanto, laddove la società – con i soci superstiti – decida di proseguire l’attività e, di conseguenza, di avvalersi di tali risultati e di tale fattore di redditività, dovrà riconoscere anche una somma di denaro pari a tale valore.

E’ opportuno domandarsi quali siano i criteri ed i meccanismi di calcolo della quota di avviamento, ove previsti dal legislatore o individuati dalla prassi commerciale: invero, il legislatore, oltre ad imporre la valutazione del valore dell’azienda al momento dello scioglimento, non giunge ad indicare dei criteri o delle formule per quantificare detto valore.

Nella prassi, dato che l’avviamento rappresenta un insieme di “qualità positive”, generalmente si procede alla capitalizzazione del surplus del reddito che rappresenta il soprareddito che l’azienda è in grado di produrre rispetto al reddito medio del settore in cui opera, e che, quindi, presenta le stesse caratteristiche di rischio in considerazione anche delle condizioni ambientali e di mercato.

In altri casi, si fa talvolta riferimento alla base finanziaria e non reddituale; generalmente questa scelta si riversa anche sull’intera modalità di calcolo del valore aziendale (in questa ultima ipotesi si discorre di Economic Value Added).

L’avviamento, nella prassi più diffusa, sarà determinato tenendo conto della differenza tra il prezzo d’acquisto dell’azienda o dell’esercizio commerciale ed il valore del patrimonio netto (pari alla differenza tra attivo e passivo patrimoniale): non è automatico che il valore risultante da questa operazione sia di segno positivo, ma ove questo accada si tradurrà in un maggior valore di attività liquidabili, potenzialmente riconducibile anche al maggior valore degli immobili e alle plusvalenze latenti. E’ inoltre importante sottolineare che la valutazione dell’avviamento della società non rimane assorbita nella valutazione della licenza d’esercizio, che è un distinto elemento di potenzialità economica7.

In generale, comunque, si dovrà tener conto dello stato reale ed effettivo della società al momento dello scioglimento: la potenzialità della stessa avrà, infatti, un valore tangibile per chi proseguirà nell’attività sociale, avvalendosi anche del contributo che il socio uscente ha dato e che deve essergli riconosciuto.

Si segnala infine, per completezza, che la disposizione dell’art. 2289 c.c. è derogabile con delle clausole che possono precisare o parzialmente limitare gli importi da liquidare: non è possibile, a rigore, escludere tout court il valore dell’avviamento dalla posta dal liquidare ma si possono prevedere – anche con patti sociali – determinati criteri anche più vantaggiosi per i soci superstiti (ad esempio prevedendo una decurtazione di una percentuale perché il socio che continuerà l’attività ha operato attivamente per la gestione della stessa; oppure l’imposizione di una percentuale predeterminata del valore dell’avviamento in rapporto agli utili o, ancora, prevedere di avere come parametro per la commisurazione dell’avviamento all’ultimo bilancio o al bilancio dell’ultimo esercizio).

L’opzione favorevole a clausole di questo tipo è diffusa in dottrina ma non pacifica: da un lato è riconosciuto che il rinvio ad una situazione patrimoniale ex art. 2289, comma 2, c.c. non sia da intendersi nel senso che debba essere predisposta esclusivamente una situazione conforme ai principi stabiliti in materia di redazione del bilancio (ex artt. 2423 e ss. c.c.), dato che il valore su cui commisurare la liquidazione deve in ogni caso tener conto del valore effettivo della società, tenendo conto anche dei plusvalori latenti e dell’avviamento stesso; dall’altro lato, non è del tutto pacifica la possibilità di prevedere criteri derogatori per la determinazione della quota di liquidazione che arrivino fino al punto di non tener conto dell’avviamento stesso8.

 

1

In termini generali si deve aggiungere che la soluzione prospettata non è la sola possibile. Infatti, a mente dell’art. 2284 c.c. possono essere adottata due differenti soluzioni: la prima che prevede lo scioglimento anticipato della società, nel cui caso la liquidazione della quota agli eredi viene ricompresa nella più generale liquidazione della società; la seconda che prevede la continuazione dell’attività sociale con gli eredi purché questi vi acconsentano e la decisione sia adottata all’unanimità degli altri soci, costituendo in ogni caso il sub ingresso degli eredi nella compagine sociale una modifica dell’atto costitutivo.


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2

Per giusta causa si fa riferimento a comportamenti illegittimi, tali da incrinare la reciproca fiducia, come violazioni degli obblighi contrattuali e dei doveri di fedeltà, lealtà, diligenza e correttezza o fatti oggettivi attinenti al recedente: la fattispecie è prevista disciplinata dall’art. 2285, comma 2, c.c., ed in questo caso il recesso ha effetto immediato, mentre negli altri casi va comunicato agli altri soci con un preavviso di almeno tre mesi.


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3

L’esclusione così decisa produrrà effetti decorsi trenta giorni dalla comunicazione al socio escluso, comunicazione che deve essere necessariamente motivata anche per la possibilità concessa a questi di proporre opposizione davanti al tribunale al fine di ottenere la reintegrazione.


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4

A meno che non risulti una diversa volontà dei soci espressa nell’atto costitutivo o in accordi successivi.


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5

Per una breve ricostruzione, si veda G. Di Plinio, La riduzione del capitale sociale nel procedimento di liquidazione della quota in caso di recesso, morte ed esclusione del socio di società di persone, Rivista del Notariato, fasc. 1, 2013.


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6

In termini si veda Cassazione civile, sez. I, 11.02.1998, n. 1403. In generale, sulla necessità che sia liquidato anche il valore di avviamento si legga Cassazione civile, sez. I, 16.01.2009, n. 1036; Cassazione civile sez. lavoro, 5.11. 2013 n. 24776 (sulla connotazione di avviamento in termini di portafoglio clienti).


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7

Cassazione civile, sez. I, 14.03. 2001, n. 3671.


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8

In termini si legga Gianluca Odetto, Enrico Zanetti, Il recesso del socio. Aspetti civilistici e fiscali, IPSOA, Wolters Kluwer Italia, 2008, pag. 39 e ss. Si vedano anche le seguenti massime: n. 74 del Consiglio Notarile di Milano: “la determinazione del valore di liquidazione delle quote o azioni, nelle ipotesi di cause convenzionali di recesso, può essere disciplinata da criteri liberamente stabiliti dall’atto costitutivo o dallo statuto, anche in totale deroga rispetto ai criteri di liquidazione fissati dalla legge per le cause legali di recesso”; ed ancora Massima I.H.13 dei Notai del Triveneto: “è possibile, in assenza di un metodo legale univoco di valutazione delle partecipazioni societarie, prevedere criteri statutari voltdeterminare in maniera oggettiva il valore di mercato della partecipazione, dovendosi ritenere illegittime solo quelle clausole che determinano il rimborso della partecipazione secondo criteri diversi dal valore di mercato. Sono quindi da ritenersi lecite le clausole volte a determinare il valore dell’avviamento secondo calcoli matematici rapportati alla redditività degli esercizi precedenti. Sono invece da ritenersi illecite le clausole che determinano il rimborso della partecipazione in misura pari al valore nominale della stessa o che tengano in considerazione i soli valori contabili”.


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