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Azioni e strumenti finanziari nelle “nuove” società a partecipazione pubblica: primi spunti sul Testo Unico di riforma

6 Ottobre 2016

Antonio Morello

Di cosa si parla in questo articolo

La questione

Il recente D. Lgs. n. 175/2016 meglio noto come Testo Unico di riforma delle società a partecipazione pubblica, segna un importante punto di svolta nella disciplina delle c.d. “partecipate pubbliche”: dando una prima sistemazione organica ad alcune norme “sparse” nel nostro ordinamento (di cui ne viene, quindi, confermata la vigenza) ed introducendo significative novità in tema di organizzazione, funzionamento e mantenimento in esistenza delle partecipate pubbliche.

Tra le norme di ultima introduzione ve ne è una alla quale intendo dedicare questa breve nota di commento: si tratta dell’art. 2.1.f che, nel definire il concetto di partecipazione, richiama – testualmente – la titolarità (da parte della pubblica amministrazione) di rapporti comportanti la qualità di socio“o” di strumenti finanziari che attribuiscono diritti amministrativi.

Il Testo Unico pone, quindi, un distinguo tra la pubblica amministrazione-azionista e la pubblica amministrazione­­ che assume la veste di finanziatore con diritti amministrativi e, quindi, passando dalle qualifiche soggettive agli strumenti di investimento, tra la partecipazione-azionaria e la partecipazione-non azionaria: per superficiale deduzione ci dovremmo, allora, aspettare che le disposizioni del Testo Unico che “a parole” si rivolgono al socio trovino applicazione solo in relazione al primo e non al secondo tipo di partecipazione (pubblica) e, cioè, solo nei confronti della pubblica amministrazione titolare (per sottoscrizione o per acquisto) di azioni o quote di capitale: sennonché, il punto di domanda è proprio questo in quanto talune disposizioni del Testo Unico, pur contenendo riferimenti espliciti al socio, ben si prestano ad essere lette “estensivamente” e, cioè, potrebbero trovare applicazione anche l’ipotesi di partecipazione-non azionaria.

La partecipazione pubblica azionaria e non-azionaria

Prima di passare in rassegna le norme il cui testo solleva il nostro interrogativo di fondo, conviene spendere qualche parola introduttiva sull’art. 2.1.f  visto che all’origine della nostra questione c’è la scelta che il legislatore delegato ha operato in quella disposizione di considerare unitariamente quale forme di partecipazione l’investimento in quote di capitale e l’investimento in altri strumenti finanziari attributivi di diritti amministrativi.

L’art. 2.1.f., distingue, quindi, la titolarità di azioni (o quote di capitale) e la titolarità di (altri) strumenti finanziari che assegnano, alla pubblica amministrazione, diritti di partecipazione nella vita amministrativa della società: strumenti che, allora, potremmo chiamare “partecipativi” traendo spunto dal lessico del Codice Civile e, segnatamente, dalla sezione V del Capo sulle società per azioni che, come noto, detta la disciplina “delle azioni e di altri strumenti finanziari partecipativi” (così, testualmente, la rubrica).

La pubblica amministrazione può, dunque, partecipare quale socio (ipotesi che per vero rimane paradigmatica) ovvero quale finanziatore con diritti amministrativi, in entrambi i casi trovandoci di fronte – tecnicamente – ad una partecipazione pubblica.

Il contenuto di questi diritti “di partecipazione” può essere il più vario: si pensi al diritto di intervenire in assemblea, al diritto di voto su argomenti specifici, al diritto di chiedere la convocazione, l’integrazione delle materie da trattare o il rinvio dell’adunanza dei soci, al diritto di impugnare deliberazioni assembleari, al diritto di denunciare al collegio sindacale fatti censurabili, ai diritti di nomina di singoli componenti dell’organo gestorio, ai diritti speciali di controllo sull’andamento della gestione con specifico riferimento all’investimento effettuato dal finanziatore (e naturalmente il catalogo degli esempi potrebbe allungarsi giacché, su questa materia, guiderà l’autonomia – per non dire la discrezionalità – statutaria).

In definitiva, il legislatore delegato ha fatto proprio un concetto di partecipazione “ampio” ma nel contempo “attuale” perché abbraccia quelle forme di apporto attributive di diritti amministrativi ed alternative al tradizionale “conferimento di capitale” che il Codice Civile già “conosce” e cataloga: avremo, quindi, nel genus delle “società a partecipazione pubblica”, l’ente pubblico-socio e l’ente pubblico-finanziatore titolare di diritti amministrativi che in ultima istanza potremmo chiamare particolari sì da distinguerli da quelli che ordinariamente entrano nel contenuto di un’azione (resta naturalmente ferma l’eventualità che queste due qualifiche possano cumularsi in capo al medesimo soggetto).

Il socio (pubblico)

Il vocabolo – socio – non è espressamente definito nel Testo Unico sebbene, come è naturale aspettarsi, venga in più passaggi impiegato.

Come anticipato in apertura alcune precetti del Testo Unico si prestano ad essere applicati tanto nel caso di “partecipazione azionaria” quanto nel caso di partecipazione rappresentata da (per non dire “incorporata” in) un diverso strumento finanziario attributivo di diritti amministrativi, malgradol’enunciato normativo si rivolga solo al “socio pubblico”: diversamente opinando – e, cioè, qualora si opti per una rigorosa interpretazione restrittiva basata sulla lettera della disposizione, finiremmo, infatti, con l’assoggettare a trattamenti disciplinari ingiustificatamente differenti fattispecie che, come vedremo, reclamano le medesime istanze di tutela.

In questo gruppo di norme che si rivolgono testualmente solo al socio pubblico ma la cui applicazione, per le specifiche ragioni che ci accingiamo ad illustrare, ha senso pratico e giuridico estendere anche al caso di amministrazione pubblica-finanziatore partecipativo, includo gli art. 9, 12 e 25. Segnatamente: 

  • l’art. 9 chiarisce quali sono i soggetti chiamati ad esercitare “i diritti del socio” per conto dello Stato, delle Regioni, degli enti locali e per ogni altro ente titolare di una partecipazione pubblica: il riferimento testuale alla figura del socio deve essere qui inteso in senso lato si da riconoscere, in capo a quei medesimi soggetti, il potere di esercitare anche gli altri diritti amministrativi che, eventualmente, uno strumento finanziario diverso dalle azioni potrebbe assegnare all’ente pubblico che gli stessi rappresentano;  
  • rimanendo all’art. 9, il paragrafo 7 prevede che quando il “socio pubblico” ai sensi dell’art. 2449, cod. civ., ha facoltà di nominare o revocare direttamente uno o più componenti di organi interni della società, il relativo atto di nomina e revoca è efficace dalla data di ricevimento da parte della società: movendo dal presupposto che anche gli strumenti finanziari diversi dalle azioni potrebbero assegnare diritti speciali di pari contenuto a quelli tipicamente postulati dalla titolarità di una partecipazione azionaria, la regola stabilita dal paragrafo 7 deve poter operare anche nel caso di nomina o revoca compiuta in forza di uno strumento finanziario diverso dalle azioni; il riferimento testuale al socio pubblico, se non interpretato nel senso appena detto, rischierebbe, infatti, di generare un difetto di coordinamento tra questa norma del testo unico ed il “principio” (mi sia permesso considerarlo tale) secondo cui i diritti di nomina e revoca possono essere implicati anche dalla titolarità di una partecipazione-non azionaria; a questo aggiungo (ma solo quale veloce spunto di riflessione dato che la questione, per la sua complessità, richiederebbe approfondimenti di altra consistenza) che l’art. 9.7 va letto nel senso che andiamo dicendo anche al fine di coordinare la relativa disciplina con quanto previsto dall’art. 2449, cod. civ. cui la nostra norma fa, peraltro, espresso rinvio: l’art. 2449, cod. civ., contempla, invero, i casi in cui “lo Stato o gli enti pubblici hanno partecipazioni in una società per azioni” là dove – questo è il punto – il concetto di partecipazione va inteso nel senso voluto dall’art. 2.1.f del Testo Unico (che, come ricordato in apertura, declina il concetto di partecipazione in azioni, quote e altri strumenti finanziari dotati di diritti amministrativi);
  • l’art. 12.2 nel qualificare il danno erariale richiama il pregiudizio, patrimoniale o non patrimoniale, subito dagli enti partecipanti anche in conseguenza della condotta dei rappresentanti delle amministrazioni pubbliche che abbiano trascurato di esercitare i propri “diritti di socio” così nocendo al valore della partecipazione: a meno di non voler legare questa previsione esclusivamente al diritto di dare impulso all’azione sociale di responsabilità, anche gli altri strumenti finanziari nei quali la partecipazione pubblica può prendere corpo potrebbero assegnare diritti amministrativi il cui mancato esercizio è capace potenzialmente di determinare un danno erariale nell’accezione sopra spiegata; oltretutto anche sul piano pratico ha senso ed utilità riferire la norma in esame anche al caso di mancato esercizio di diritti amministrativi diversi da quelli propri del socio se solo rammentiamo l’elenco di prerogative lato sensu di controllo che questi strumenti finanziari diversi dalle azioni potrebbero assegnare alla pubblica amministrazione che li detiene: prerogative che, quindi, dovrebbero parimenti responsabilizzare (nel senso voluto dall’art. 12.2) il rappresentante dell’ente pubblico chiamato ad esercitarle;
  • l’art. 25.1 stabilisce che devono essere alienate le partecipazioni che, a seguito di apposita ricognizione, risultino “fuori norma” (mi sia consentita solo per esigenza di sintesi l’espressione generica): in caso di mancata adozione dell’atto ricognitivo ovvero di mancata alienazione il “socio pubblico” (recita il comma 5) non può esercitare i diritti sociali nei confronti della società: anche qui, sebbene il testo rechi esclusiva menzione del socio pubblico non vi è ragione di impedire che la sanzione del “congelamento” dei diritti sociali funzioni anche in relazione a quei diritti di partecipazione assegnati da altri strumenti finanziari illegittimamente detenuti. 

Accanto a queste norme per le quali si renderebbe opportuna un’interpretazione, nel senso sopra chiarito, “estensiva” il Testo Unico ne contiene altre che parimenti contengono un riferimento al “socio” ma per le quali, diversamente da quanto sin qui osservato, si impone un’interpretazione letterale; il legislatore delegato ha, infatti, impiegato il vocabolo “socio” in senso proprio, vale a dire per intendere esclusivamente l’ente pubblico titolare di azioni o quote di capitale, nelle seguenti disposizioni:

  • l’art. 13, nel delimitare i presupposti applicativi dell’istituto del “controllo giudiziario” nell’ambito della gestione di società a controllo pubblico, facoltizza ciascuna “amministrazione pubblica socia” a denunziare al tribunale il sospetto di gravi irregolarità: rammentando i presupposti applicativi e l’ambito operativo dell’art. 2409, cod. civ., il riferimento al socio va qui letto in senso “esclusivo”;
  • l’art. 16, sulle società in-house, nomina il socio pubblico quale soggetto titolato a ricevere, dallo statuto, “particolari diritti” ai sensi dell’art. 2468, comma 3, cod. civ.: disposizione replicata, nell’art. 17, anche per le società a partecipazione mista (pubblica e privata) per le quali è altresì prevista la possibilità di derogare all’art. 2479, primo comma, cod. civ. nel senso di “eliminare o limitare la competenza dei soci”: in virtù dei due citati rinvii al Codice Civile i particolari diritti sono quelli implicati dalla titolarità di una partecipazione azionaria mentre la competenza “eliminabile o limitabile” di cui parla l’art. 17 è quella corrispondente alle decisioni dei soci;
  • l’art. 16.2 prevede la possibilità, per le Spa, di integrare lo statuto con una clausola in deroga agli artt. 2380-bis e 2409-novies, cod. civ. (disposizioni che, come noto, fissano la “titolarità” del potere gestorio in capo agli amministratori): la medesima regola viene riproposta dall’art. 17 per le società miste sebbene con la precisazione (contenuta nel paragrafo 4) che l’eventuale clausola statutaria “in deroga” deve essere impiegata per consentire il controllo interno del socio pubblico sulla gestione dell’impresa: anche in questo caso, il riferimento al socio quale soggetto titolare di una quota di capitale “qualificata” ai fini del controllo non rende possibile interpretazioni estensive.

L’acquisto di azioni quotate e di altri strumenti finanziari

In chiusura, dedico qualche breve osservazione all’art. 8 che, per le ragioni che diremo, merita, appunto, separata considerazione rispetto alle norme fin qui passate in rassegna: secondo questa disposizione l’acquisto di partecipazioni (e, quindi, di azioni, di quote e di altri strumenti finanziari attributivi di diritti amministrativi) deve essere deciso all’esito del medesimo procedimento deliberativo valevole (ai sensi dell’art. 7) in sede di costituzione di una “nuova” società e questo procedimento si applica anche all’acquisto di partecipazioni in società quotate “unicamente” – specifica l’ult. cpv. dell’art. 8 – nei casi in cui l’operazione comporti l’acquisto della qualità di socio: l’avverbio sopra virgolettato che leggiamo nel testo della nostra disposizione frena, allora, ogni tentativo di interpretazione estensiva e, cioè, a meno di non voler forzare oltremisura il dato normativo, il riferimento particolare all’acquisto della qualità socio contenuto in questa disposizione va inteso come esclusivo.

Preso atto che, per esplicita opzione legislativa, le formalità procedurali previste dall’art. 7 per la costituzione di una nuova società vanno osservate, sul mercato quotato, solo in caso di acquisto di azioni, va detto che la scelta di affrancare dall’applicazione della “disciplina generale” dettata dall’art. 7  l’acquisto di strumenti finanziari quotati, mal si concilia, anzitutto, con la scelta opposta formulata nel primo capoverso dello stesso art. 8 il quale – giova ripeterlo – parla tout court di “partecipazioni” così (opportunamente) uniformando, nel caso di prodotti non quotati, il procedimento di acquisto (che, quindi, è il medesimo sia per le azioni che per gli altri strumenti finanziari partecipativi); dall’altro, un’assimilazione sul piano del trattamento disciplinare tra l’acquisto sul mercato quotato di azioni e altri strumenti finanziari partecipativi si sarebbe preferita vista, anche, la prossimità, sul piano dei contenuti amministrativi ed anche (non lo si può escludere) della rischiosità intrinseca del “prodotto”, tra queste tra due forme di investimento, prossimità di cui troviamo traccia nello stesso Codice Civile (si pensi alla già citata sezione V intitolata “delle azioni e di altri strumenti finanziari partecipativi”).

In definitiva, la “divaricazione”, sul piano delle regole procedimentali, tra il caso di acquisto di azioni quotate ed il caso di acquisto di altri strumenti finanziari “partecipativi”, presta il fianco ad una serie di rilievi critici alla luce dei punti di contatto che, non solo il Codice Civile, ma anche lo stesso legislatore delegato ha riconosciuto esistenti tra queste due “strumenti” di partecipazione dell’amministrazione pubblica al finanziamento ed alla gestione dell’impresa privata.

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