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Operazioni di prestito titoli e pronti contro termine aventi ad oggetto partecipazioni societarie: interazione tra le misure anti-ibridi e la norma anti-elusiva interna

12 Aprile 2019

Dott. Luca Rossi e Avv. Vincenzo Maiese, Studio Tributario Associato Facchini Rossi & Soci

SOMMARIO: Premessa – 1. I trasferimenti ibridi 2. La norma antielusiva interna – 3. Interazione tra le misure anti-ibridi e la norma antielusiva interna – 3.1. Il prestito titoli – 3.2. I pronti contro termine.

Premessa

Il D.Lgs. 29 novembre 2018, n. 142, in attuazione della Direttiva ATAD[1], ha introdotto in ambito domestico le misure di contrasto ai cosiddetti “disallineamenti da ibridi” (hybrid mismatches)[2], categoria con cui vengono identificati gli arbitraggi fiscali che, in ambito internazionale, sfruttano le differenze esistenti tra le varie giurisdizioni nella qualificazione giuridica di determinate fattispecie.

La categoria degli hybrid mismatches comprende, in particolare, i cosiddetti “trasferimenti ibridi”, nel cui ambito si collocano gli arbitraggi fiscali che possono essere realizzati tramite le operazioni finanziarie di prestito titoli e di pronti contro termine. Tali operazioni formano già oggetto della specifica disciplina antielusiva recata dall’art. 2, comma 3, del D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461; l’interprete è dunque chiamato a interrogarsi su come la disciplina anti-ibridi di matrice comunitaria si coordini con la norma antielusiva interna.

Dopo aver avere illustrato, in termini generali, i presupposti e i meccanismi applicativi delle due discipline, tramite alcune esemplificazioni pratiche si procederà a verificare in che modo, e con quali effetti, esse operano e possono interagire vicendevolmente nel caso delle operazioni di prestito titoli e pronti contro termine aventi ad oggetto partecipazioni societarie[3].

1. I trasferimenti ibridi

Nel contesto delle misure anti-ibridi le operazioni di prestito titoli e di pronti contro termine possono assumere la connotazione di “trasferimenti ibridi”, che l’art. 6, comma 1, lett. n), del D.Lgs. n. 142/2018, definisce come “qualsiasi accordo di trasferimento di uno strumento finanziario in cui il rendimento sottostante è considerato, ai fini fiscali, come conseguito simultaneamente da più di una delle parti dell’accordo ovvero il cui rendimento sottostante è rilevante per la determinazione della sua remunerazione”.

Tale fattispecie si caratterizza, in particolare, per il fatto che il rendimento dello strumento finanziario oggetto di trasferimento è attribuito simultaneamente a più soggetti, per effetto dei diversi criteri adottati dalle giurisdizioni coinvolte per qualificare giuridicamente l’operazione.

Si prenda in considerazione, ad esempio, un’operazione di pronti contro termine, in cui un determinato soggetto (il cedente a pronti), al fine di procurarsi un finanziamento, trasferisce titoli azionari a un altro soggetto (l’acquirente a pronti) con l’impegno di riacquistare, alla data convenuta, titoli della stessa specie e quantità; secondo le previsioni contrattuali che regolano l’operazione, i dividendi distribuiti durante la durata del contratto vengono riconosciuti al cessionario a pronti.

Tale operazione, se svolta in ambito transnazionale, può essere qualificata dalle giurisdizioni coinvolte secondo criteri diversi: da un lato, lo Stato di residenza del cedente a pronti, valorizzando gli aspetti sostanziali, può trattare l’operazione alla stregua di un finanziamento garantito dai titoli azionari; dall’altro lato, lo Stato del cessionario a pronti può considerare la stessa operazione, in coerenza con la sua forma giuridica, come una vera e propria cessione di titoli.

Si verificano così i seguenti effetti:

  • a ciascuna delle parti (sia al cedente che al cessionario a pronti) viene attribuita, nella rispettiva giurisdizione, la titolarità giuridica dei titoli azionari e del relativo rendimento (i dividendi);
  • il cedente a pronti (in qualità di soggetto finanziato) deduce dal proprio reddito imponibile, a titolo di onere finanziario dell’operazione, un importo corrispondente ai dividendi distribuiti che vengono contrattualmente riconosciuti alla controparte (il cessionario a pronti); dal canto suo, tale ultimo soggetto considera gli stessi dividendi come il rendimento diretto dei titoli azionari acquisiti, trattandoli alla stregua di un provento esente o escluso da imposizione.

Da quanto sopra emerge che il disallineamento che può originarsi dai trasferimenti ibridi assume la forma della “deduzione senza inclusione” (c.d. D/NI), che l’art. 6, comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 142/2018, definisce come “la deduzione di un componente negativo di reddito in qualsiasi giurisdizione in cui lo stesso sia sostenuto ovvero si ritiene sia sostenuto, ossia la giurisdizione del pagatore, senza la corrispondente inclusione, a fini fiscali, del correlato componente positivo di reddito nella diversa giurisdizione del beneficiario”.

In linea con quanto prescritto dalla Direttiva ATAD, il D.Lgs. n. 142/2018 contrasta i fenomeni di deduzione senza inclusione tramite due misure (la “reazione primaria” e la “reazione secondaria”) ordinate secondo un criterio gerarchico.

La reazione primaria opera nel caso in cui l’Italia sia lo Stato del pagatore, ovvero del soggetto che effettua il pagamento ai sensi del trasferimento ibrido ed è, in linea di principio, legittimato a una deduzione dalla propria base imponibile. In tal caso, la misura di contrasto consiste nel negare la deduzione del componente negativo di reddito, salvo che il disallineamento non sia neutralizzato in un altro Stato[4].

La reazione secondaria trova invece applicazione nel caso in cui l’Italia sia lo Stato del beneficiario, ovvero del soggetto cui viene attribuito il pagamento effettuato ai sensi del trasferimento ibrido, e presuppone che lo Stato estero del pagatore non abbia applicato la reazione primaria (consentendo, dunque, la deduzione del pagamento). In tale ipotesi la misura di contrasto che l’Italia deve attuare comporta l’inclusione nel reddito imponibiledel componente positivo di reddito, nei limiti dell’importo che genera il disallineamento e salvo comunque che il disallineamento non sia neutralizzato in un altro Stato[5].

Ciò detto, è opportuno sottolineare che i trasferimenti ibridi assumono rilevanza, ai fini delle misure di contrasto appena illustrate, solo in presenza di determinati presupposti soggettivi, ovvero solo ove vengano realizzati tra soggetti che si qualificano come “imprese associate” secondo i criteri normativamente previsti, o, in alternativa, se vengono posti in essere, anche tra parti terze, nel contesto di un accordo strutturato[6].

Una specifica esimente è prevista per i “trasferimenti ibridi sul mercato”, con ciò intendendosi “qualsiasi trasferimento ibrido posto in essere da un operatore finanziario nell’ambito della propria attività ordinaria e non nel quadro di un accordo strutturato”[7]. In tali ipotesi, la tassazione integrale del rendimento dello strumento finanziario esclude il verificarsi di un disallineamento, venendo così meno l’esigenza di applicare le misure anti-ibridi[8].

2. La norma antielusiva interna

L’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 461/1997, dispone che “nel caso dei rapporti di cui alle lettere g-bis) (pronti contro termine)e g-ter) (mutuo di titoli garantito) del comma 1 dell’articolo 44 del testo unico delle imposte sui redditi (…) e delle operazioni che producono analoghi effetti economici, al soggetto cui si imputano i dividendi, gli interessi e gli altri proventi, si applica il regime previsto dall’articolo 89, comma 2, del medesimo testo unico (…), ovvero spettano l’attribuzione di ritenute o il credito per imposte pagate all’estero, soltanto se tale regime, ovvero l’attribuzione delle ritenute o il credito per imposte pagate all’estero, sarebbe spettato al beneficiario effettivo dei dividendi, degli interessi e degli altri proventi”[9].

Secondo l’enunciato normativo, nel caso di operazioni di prestito titoli o pronti contro termine aventi ad oggetto partecipazioni societarie, il soggetto cui vengono imputati i dividendi – dunque il prestatario dei titoli o il cessionario a pronti[10] – può usufruire del regime previsto dall’art. 89, secondo comma, del TUIR (ovvero, l’esclusione dal reddito imponibile per il 95% dei dividendi), soltanto se tale regime sarebbe spettato al prestatore dei titoli o al cedente a pronti; ove tale condizione non venga rispettata, viene sancita l’imponibilità integrale dei dividendi.

Tale disciplina risponde a esigenze di simmetria fiscale: il regime di detassazione dei dividendi deve essere, in astratto, applicabile in capo al dante causa dell’operazione, onde essere da questi “trasferito” al prestatario dei titoli o al cessionario a pronti. Detto altrimenti, le operazioni in esame non devono essere strumentalmente preordinate a conseguire un beneficio che, in assenza di tali operazioni, non sarebbe stato riconosciuto in capo all’originario detentore delle partecipazioni[11].

Considerate le finalità della norma, sotto il profilo soggettivo l’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 461/1997, presuppone – affinché trovi applicazione il regime di detassazione dei dividendi – che il prestatore dei titoli o il cedente a pronti sia una società o un ente commerciale residente in Italia di cui all’art. 73, primo comma, lett. a) e b), del TUIR, oppure un soggetto non residente di cui alla successiva lett. d) avente una stabile organizzazione nel territorio dello Stato.

Diversamente, la regola dell’imponibilità integrale dei dividendi dovrebbe operare in presenza di soggetti ai quali è preclusa l’applicazione del regime di cui all’art. 89, comma 2, del TUIR, e, in particolare, tutte le volte in cui il prestatore dei titoli o il cedente a pronti sia un soggetto non residente in Italia e privo di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato[12].

Qualche specifica riflessione merita, a nostro avviso, il caso in cui, per i soggetti non residenti, possa trovare applicazione la ritenuta sui dividendi nella misura ridotta dell’1,20%[13]; si fa riferimento, nello specifico, alle società, e agli altri enti soggetti a un’imposta sul reddito societario, residenti in uno Stato membro dell’Unione europea o in uno Stato aderente allo Spazio Economico Europeo incluso nella white list di cui al D.M. 4 settembre 1996.

Una interpretazione della norma conforme ai principi comunitari imporrebbe di considerare il regime di ritenuta ridotta equivalente al regime di detassazione previsto dall’art. 89, comma 2, del TUIR; di conseguenza, nel contesto delle operazioni di prestito titoli e di pronti contro termine, la residenza estera del soggetto dante causa – ove questi soddisfi le condizioni soggettive per fruire, in astratto, della ritenuta ridotta – non dovrebbe precludere l’applicazione del citato art. 89, comma 2, in capo al prestatario dei titoli o al cessionario a pronti[14].

3. Coordinamento tra le misure anti-ibridi e la norma antielusiva interna

In via preliminare, si rileva che, secondo la Relazione illustrativa al D.Lgs. n. 142/2018, “le norme anti-hybrid del Decreto non trovano applicazione laddove altre norme dell’ordinamento italiano o di uno degli Stati esteri coinvolti nella transazione contrastino in modo specifico l’emersione del disallineamento da ibridi impendendo l’emersione di un effetto di doppia deduzione o di deduzione non inclusione”.

Di conseguenza, secondo i principi individuati dal relatore al provvedimento, la disciplina anti-ibridi interviene solo in via sussidiaria, ovvero trova applicazione solo nel caso in cui non esistano altre norme di contrasto che impediscano i fenomeni di deduzione senza inclusione (o di doppia deduzione).

A tale proposito, la norma antielusiva di cui all’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 461/1997, non può, a nostro avviso, essere considerata una misura specificamente indirizzata a colpire i disallineamenti da ibridi[15], stante la diversa finalità[16] e la diversa struttura applicativa[17] delle due discipline.

Di conseguenza, le due normative operano in modo autonomo l’una dall’altra; sulla base di queste premesse, è ora possibile fornire alcuni esempi[18] – con riferimento alle operazioni sia di prestito titoli sia di pronti contro termine su partecipazioni societarie – al fine di illustrare in che modo e con quali effetti tali normative si dovrebbero relazionare l’una con l’altra.

3.1 Il Prestito titoli

Esempio 1

Nell’esempio 1, A/Co, società residente in uno Stato UE, e B/Co, società residente in Italia, sono “imprese associate” ai fini delle disposizioni anti-ibridi; tra le due società viene concluso un contratto di prestito titoli per effetto del quale A/Co presta a B/Co le partecipazioni detenute nella società italiana C/Co.

B/Co corrisponde ad A/Co il manufactured dividend per un importo pari ai dividendi distribuiti da C/Co.

La normativa fiscale italiana imputa tali dividendi a B/Co, società prestataria dei titoli. Secondo la tesi interpretativa illustrata in precedenza l’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 461/1997, non dovrebbe operare (nel senso di imporre la tassazione integrale del dividendo), in quanto il soggetto prestatore, essendo una società residente in uno Stato UE, può beneficiare della ritenuta ridotta sui dividendi di fonte italiana e può, dunque, considerarsi soggetto a una tassazione equivalente a quella prevista dall’art. 89, comma 2, del TUIR. Di conseguenza, tale regime dovrebbe potersi conservare in capo a B/Co.

Il pagamento effettuato da B/Co a titolo di manufactured dividend genera un componente negativo di reddito deducibile, in linea di principio, in Italia; di converso, nello Stato estero, per effetto della diversa qualificazione dell’operazione, ad A/Co viene attribuita la titolarità della partecipazione in C/Co, e dei relativi dividendi. Ne consegue che il pagamento del manufactured dividend viene trattato, nello Stato di A/Co, alla stregua di un dividendo esente.

Si verifica così un fenomeno di “deduzione senza inclusione” rilevante ai fini delle disposizioni anti-ibridi; l’Italia, in qualità di giurisdizione del pagatore, dovrebbe essere tenuta ad applicare la reazione primaria, negando così la deducibilità del manufactured dividend in capo a B/Co.

In sintesi, dall’esempio prospettato è possibile trarre le seguenti conclusioni:

  • non trovando applicazione la disciplina antielusiva di cui all’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 461/1997, B/Co può usufruire del regime di detassazione dei dividendi previsto dall’art. 89, comma 2, del TUIR;
  • l’operazione dovrebbe rientrare nel campo di applicazione delle misure anti-ibridi, con l’effetto di determinare l’indeducibilità del manufactured dividend in capo alla società italiana.

Esempio 2

In questa variante dell’esempio 1, A/Co è una società residente in uno Stato extra-UE e, in quanto tale, non può beneficiare della ritenuta ridotta sui dividendi di fonte italiana ai sensi dell’art. 27, comma 3-ter, del D.P.R. n. 600/1973[19].

Non è dunque possibile disapplicare, in via interpretativa, l’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 461/1997, con la conseguenza che i dividendi erogati da C/Co diventano pienamente imponibili in capo a B/Co.

Tale regime di imponibilità integrale ha l’effetto indiretto di neutralizzare la deduzione del manufactured dividend, sollevando così la questione se le misure anti-ibridi abbiano ragione di trovare applicazione.

In primo luogo, è opportuno rilevare che la tassazione integrale dei dividendi dovrebbe escludere la configurabilità di un “accordo strutturato” in quanto verrebbe meno il vantaggio fiscale che costituisce un elemento essenziale di tale accordo.

Sarebbe tuttavia integrato l’ulteriore presupposto delle misure anti-ibridi laddove l’operazione venisse conclusa tra “imprese associate”, come si assume nel caso in esame.

In tale ipotesi, secondo l’Action 2 – 2015 Final Report non dovrebbe assumere rilievo il fatto che il rendimento dello strumento finanziario sia integralmente imponibile in capo al prestatario, essendo invece sufficiente, ai fini dell’applicazione delle misure anti-ibridi, che il manufactured dividend abbia generato una deduzione nella giurisdizione del prestatario senza una corrispondente inclusione nella giurisdizione del prestatore[20].

Seguendo i principi dell’Action 2, si verrebbe così a creare una situazione in cui la tassazione integrale dei dividendi si cumulerebbe con l’indeducibilità del manufactured dividend.

Occorre, tuttavia, evidenziare che la Direttiva 2017/952 (ATAD 2) riconosce valore interpretativo agli esempi dell’Action 2 nella misura in cui essi siano coerenti con le disposizioni della presente direttiva e con il diritto dell’Unione”[21].

La disciplina comunitaria, essendo improntata al principio di proporzionalità, adotta l’approccio del rischio effettivo, e contrasta i disallineamenti da ibridi nella misura in cui essi si siano effettivamente verificati. Nello stesso senso si esprime anche la Relazione illustrativa al D.Lgs. n. 142/2018 ove si precisa che “gli effetti di doppia deduzione ovvero di deduzione non inclusione avversati dalle disposizioni in commento non sono quelli potenziali bensì quelli effettivamente verificatisi”.

Seguendo tale impostazione, si potrebbe giungere alla conclusione che il regime di tassazione integrale dei dividendi assicurato dall’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 461/1997, neutralizzando di fatto la deduzione del manufactured dividend, valga ad inibire l’applicazione delle misure anti-ibridi[22].

Ove, invece, si ritenga che il fenomeno di deduzione senza inclusione si sia comunque manifestato e il manufactured dividend debba, pertanto, essere ripreso a tassazione, si porrebbe l’esigenza di disapplicare, tramite interpello ex art. 11, comma 2, della Legge n. 212/2000, la norma antielusiva interna onde evitare un’ingiustificata penalizzazione.

Esempio 3

In questa ulteriore variante dell’esempio 1, l’operazione di prestito titoli si realizza a parti invertite: è la società italiana B/Co, proprietaria delle partecipazioni in C/Co, che presta tali titoli alla società A/Co, residente in uno Stato estero (UE o extra-UE).

In via preliminare, si rileva che non può trovare applicazione l’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 461/1997, in quanto i dividendi distribuiti da C/Co sono fiscalmente imputati alla società estera.

Per quanto riguarda l’applicazione delle misure anti-ibridi, nell’esempio prospettato non sembrano verificarsi, almeno nell’ottica italiana, i presupposti per una “deduzione senza inclusione” da trasferimento ibrido.

Infatti, considerato il regime di imputazione del dividendo applicato in Italia, non risulta integrato il presupposto della titolarità plurima del rendimento dello strumento finanziario; a ben vedere, ove lo Stato di A/Co continuasse ad attribuire a B/Co la titolarità della partecipazione in C/Co e dei relativi dividendi, questi ultimi non assumerebbero rilevanza fiscale in alcuna delle giurisdizioni interessate dall’operazione.

In ogni caso è opportuno sottolineare che l’importo corrisposto dalla società estera alla società italiana secondo i termini contrattuali (il c.d. manufactured dividend) sarebbe ordinariamente imponibile in capo alla società italiana.

3.2 I pronti contro termine

Esempio 4

Nell’esempio 4 A/Co, società residente in uno Stato UE, e B/Co, società residente in Italia, sono “imprese associate” ai fini delle disposizioni anti-ibridi; tra le due società viene concluso un contratto di pronti contro termine per effetto del quale A/Co (cedente a pronti) trasferisce a B/Co (cessionario a pronti) le partecipazioni detenute nella società italiana C/Co.

La società estera si impegna a riacquistare, alla data convenuta, le partecipazioni trasferite riconoscendo alla controparte, a titolo di remunerazione dell’operazione, i dividendi distribuiti da C/Co.

Come noto, la normativa fiscale italiana imputa al cessionario a pronti i dividendi rivenienti dalle partecipazioni oggetto di trasferimento. Secondo la ricostruzione interpretativa illustrata in precedenza, l’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 461/1997, non dovrebbe operare (nel senso di imporre la tassazione integrale del dividendo), essendo il cedente a pronti una società residente in uno Stato UE[23].

Di conseguenza, B/Co dovrebbe poter tassare i dividendi erogati da C/Co nei soli limiti del 5%.

Nello Stato estero, per effetto dei diversi criteri di qualificazione ivi adoperati, l’operazione è trattata alla stregua di un finanziamento (erogato al cedente a pronti) con le azioni utilizzate come collateral, e di conseguenza:

  • ad A/Co viene attribuita la titolarità giuridica delle azioni e del relativo rendimento (i dividendi distribuiti da C/Co);
  • A/Co deduce dal proprio reddito imponibile interessi passivi sul finanziamento per un ammontare corrispondente ai dividendi trattenuti da B/Co.

Si genera così un fenomeno di deduzione senza inclusione rilevante ai fini delle misure anti-ibridi: alla deducibilità dell’onere finanziario in capo ad A/Co corrisponde un dividendo escluso da imposizione (per il 95% del suo ammontare) in capo a B/Co.

Nell’esempio prospettato l’Italia assume il ruolo della “giurisdizione del beneficiario”, incaricata di applicare la reazione secondaria e di correggere, dunque, il disallineamento ove difetti la reazione primaria.

Ne consegue che qualora nello Stato di A/Co venga consentita la deduzione dell’onere finanziario, in Italia i dividendi erogati da C/Co dovrebbero essere inclusi nel reddito imponibile di B/Co.

Esempio 5

In questa variante dell’esempio 4, A/Co è una società residente in uno Stato extra-UE e, in quanto tale, non può beneficiare della ritenuta ridotta sui dividendi di fonte italiana ai sensi dell’art. 27, comma 3-ter, del D.P.R. n. 600/1973.

Di conseguenza, in applicazione di quanto disposto dall’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 461/1997[24], i dividendi erogati da C/Co dovrebbero essere pienamente imponibili in capo a B/Co.

Nell’ottica italiana non si verifica, quindi, una “deduzione senza inclusione”: il regime di imponibilità integrale dei dividendi, che discende dalla norma antielusiva interna, opera quale presidio a fronte della deduzione che A/Co può far valere nella propria giurisdizione.

Rimane tuttavia da verificare cosa accade nello Stato estero, alla luce dei criteri ivi adottati per valutare l’esistenza di un disallineamento. In particolare, lo Stato estero, in conformità ai principi contenuti nell’Action 2[25], potrebbe guardare non al regime effettivamente applicato in Italia ma al regime ordinariamente applicabile (expected tax treatment) al pagamento dei dividendi.

Di conseguenza, anche se in Italia i dividendi sono integralmente imponibili, potrebbero verificarsi dei casi in cui per lo Stato estero si sia comunque manifestato un fenomeno di “deduzione senza inclusione” e, di conseguenza, in applicazione della reazione primaria venga ripresa a tassazione la deduzione effettuata dal cedente a pronti.

Esempio 6

In questo esempio, l’operazione si realizza a parti invertite: il cedente a pronti è la società italiana B/Co mentre il cessionario a pronti è la società A/Co residente in uno Stato estero (UE o extra-UE).

In via preliminare, si rileva che l’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 461/1997, non può trovare applicazione in quanto il dividendo è fiscalmente imputato alla società estera.

Per quanto attiene alle misure anti-ibridi, non sembra che si verifichi una “deduzione senza inclusione” da trasferimento ibrido, per le seguenti ragioni.

Ove la remunerazione dell’operazione sia rappresentata esclusivamente dai dividendi erogati da C/Co, tali dividendi non assumono rilevanza fiscale per B/Co né si genera alcuna deduzione in capo a tale società.

Per quanto riguarda, invece, A/Co, assumendo che nello Stato estero l’operazione venga inquadrata come un finanziamento, e non venga riconosciuto un trasferimento della titolarità delle partecipazioni (che rimane così in capo a B/Co), i dividendi erogati da C/Co dovrebbero assumere la natura di provento dell’operazione di finanziamento (si assume, ordinariamente imponibile)[26].

Parimenti, non dovrebbero sussistere i presupposti per l’applicazione delle misure anti-ibridi nel caso in cui emerga un differenziale negativo tra il prezzo di cessione a pronti e il prezzo di cessione a termine.

In tale ipotesi, infatti, per la società italiana il differenziale negativo rappresenta un onere finanziario deducibile secondo i criteri dell’art. 89, sesto comma, e art. 96 del TUIR, mentre per la società estera tale differenziale dovrebbe assumere rilevanza come interesse attivo (si assume, ordinariamente imponibile).

Di conseguenza, alla deduzione in capo a B/Co dovrebbe corrispondere una inclusione in capo ad A/Co.

 

 


[1] La Direttiva (UE) 2016/1164, cosìcome modificata e integrata dalla Direttiva (UE) 2017/952, introduce in ambito comunitario una serie di misure di contrasto alle pratiche di elusione fiscale, elaborate sulla base delle raccomandazioni dell’OCSE nell’ambito del Progetto BEPS. Gli hybrid mismatches formano oggetto dell’Action 2 del Progetto BEPS; nel 2015 èstato pubblicato il Final Report “Neutralising the Effects of Hybrid Mismatch Arrangements”mentre nel 2017 èstato pubblicato l’ulteriore Report “Neutralising the Effects of Branch Mismatch Arrangements”.

[2] Cfr. gli artt. da 6 a 11 del D.Lgs. n. 142/2018. Le disposizioni in materia di disallineamenti da ibridi si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019, ad eccezione di quelle relative all’art. 9 (“Disallineamenti da ibridi inversi”) che si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2021.

[3] Per un’analisi piùapprofondita delle tematiche affrontate nel presente scritto, ci sia consentito di rinviare a L. ROSSI – V. MAIESE, Operazioni di prestito titoli e pronti contro termine aventi ad oggetto partecipazioni societarie: coordinamento tra la direttiva ATAD e la norma antielusiva interna, in Boll. Trib., 2019, 420 ss..

[4] Cfr. art. 8, comma 2, lett.a), del D.Lgs. n. 142/2018.

[5] Cfr. art. 8, comma 2, lett.b), del D.Lgs. n. 142/2018.

[6] La nozione di “impresa associata”, contenuta nell’art. 6, comma 1, lett. u), del D.Lgs. n. 142/2018, mira a includere, nell’ambito applicativo delle misure anti-ibridi, le operazioni poste in essere all’interno del gruppo, che peraltro viene individuato secondo criteri molto piùampi rispetto a quelli che solitamente si riscontrano nella normativa fiscale; qui basti solo evidenziare che, ai fini della sussistenza del rapporto associativo, ai fini dei trasferimenti ibridi èrichiesta una soglia minima del 25% in termini di diritti di voto o di partecipazione al capitale sociale. La nozione di accordo strutturato, contenuta nella lett. q) del menzionato art. 6, comma 1, attribuisce invece rilevanza alle operazioni realizzate anche al di fuori dal gruppo, a condizione che i soggetti coinvolti abbiano consapevolmente fruito dei benefici fiscali derivanti dal disallineamento.

[7] Cfr. art. 6, comma 1, lett. o), del D.Lgs. n. 142/2018. Tale nozione va integrata con quella di “operatore finanziario”che la precedente lett. m) dell’art. 6 definisce come “un soggetto che esercita regolarmente lattivitàdi acquisto o di vendita di strumenti finanziari per proprio conto a scopo di lucro”.

[8] Come si evince dai lavori preparatori della Direttiva (UE) 2017/952, tale esimente risponde all’esigenza di non penalizzare i mercati finanziari, e poggia sul presupposto che le operazioni (infragruppo) realizzate dagli operatori finanziari presentano un rischio limitato di elusione fiscale, in quanto tali soggetti vengono tassati sul risultato complessivo netto dell’operazione e, dunque, nella base imponibile viene incluso anche il rendimento dello strumento finanziario trasferito.

[9] La norma in esame trova applicazione nei confronti sia dei soggetti OIC adopter che dei soggetti IAS adopter, posto che, in entrambi i casi, èidentico il criterio per imputare il rendimento dei titoli oggetto delle operazioni di pronti contro termine o di prestito titoli, come si evince dall’art. 3, comma 4, del D.M. 1°aprile 2009, n. 48.

[10] Cfr. la circolare dell’Agenzia delle Entrante n. 1/E del 19 gennaio 2007, secondo cui “nelle operazioni di pronti contro termine su partecipazioni il dividendo va imputato per intero allacquirente a pronti che provvede allo stacco della cedola e che in quel momento incorpora la qualifica di socio”.

[11] Soprattutto nel caso delle operazioni di prestito titoli, un’ulteriore finalitàperseguita dalla norma potrebbe essere altresìindividuata nell’esigenza di tutelare, quanto meno in certe situazioni, la base imponibile domestica: il regime di imponibilitàintegrale del dividendo determina, come effetto indiretto, quello di sterilizzare il costo sostenuto dal prestatario a titolo di manufactured dividend.

[12] Sul punto, cfr. la citata circolare n. 1/E/2007 ove si precisa che “la norma in commento si applica agli utili di fonte estera relativi a titoli oggetto di operazioni di pronti contro termine in cui il cedente a pronti o il mutuante siano soggetti esteri”.

[13] Ex art. 27, comma 3-ter, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.

[14] Non ci risulta che l’Amministrazione finanziaria si sia mai espressa sul punto; la circ. n. 1/E/2007, cit., èstata emanata in data precedente alla modifica normativa che ha introdotto il comma 3-ter nell’art. 27 del D.P.R. n. 600/1973: riteniamo quindi che la citata posizione ufficiale di commento al D.Lgs. n. 461/1997 possa ritenersi superata dall’evoluzione normativa richiesta dai principi comunitari di riferimento.

[15] Alla stessa stregua, per intenderci, dell’art. 44, comma 2, lett. a), del TUIR, che disciplina la qualificazione dei titoli e degli strumenti finanziari emessi da societànon residenti in Italia

[16] L’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 461/1997, mira a evitare che le operazioni di prestito titoli o pronti contro termine possano determinare un beneficio (il regime di detassazione dei dividendi) che altrimenti non sarebbe spettato in capo al dante causa dell’operazione; le misure anti-ibridi intendono, invece, colpire le operazioni cross-border che, facendo leva sulla differente qualificazione giuridica operata dalle giurisdizioni interessate, determinano fenomeni di deduzione senza inclusione.

[17] La norma antielusiva interna ha un ambito di applicazione ben piùampio delle disposizioni di matrice comunitaria, in quanto prescinde sia dalla differente qualificazione dell’operazione sia dalla transnazionalitàdella stessa e, in aggiunta, non èlimitata da quei criteri (in termini di imprese associate”o di “accordo strutturato”) che segnano, invece, la rilevanza dell’operazione ai fini delle misure anti-ibridi.

[18] Ove si assume che non trovi applicazione l’esimente prevista per i “trasferimenti ibridi sul mercato”.

[19] In questa sede non viene esaminato, per economia di trattazione, il tema relativo alla coerenza (o meno) di tale regime (ovvero, la non applicazione della ritenuta ridotta dell’1,20% sui dividendi distribuiti ai soggetti extra-UE) con i principi comunitari di libera circolazione dei capitali.

[20] Cfr. esempio n. 1.33 dell’Action 2 – 2015 Final Report.

[21] Considerando 28 della Direttiva (UE) 2017/952.

[22] A diverse conclusioni fa invece propendere la specifica deroga prevista dalla norma di recepimento per i soli trasferimenti ibridi sul mercato.

[23] Analogamente a quanto illustrato nell’esempio 1 con riferimento all’operazione di prestito titoli.

[24] Analogamente a quanto giàvisto nel precedente esempio 2.

[25] Cfr., in particolare, par. 33 del 2015 Final Report: “Because the hybrid financial instrument rule looks only to the expected tax treatment of the payment under the laws of the counterparty jurisdiction, rather than its actual tax treatment in the hands of the counterparty, it is not necessary for the taxpayer or tax administration to know the counterpartys tax status or how that payment was actually treated for tax purposes in order to determine whether the payment has given rise to a mismatch”.

[26] Nell’esempio prospettato, i dividendi erogati da C/Co non verrebbero imputati fiscalmente ad alcun soggetto, in quanto ciascuna giurisdizione attribuisce tali dividendi alla controparte dell’operazione.
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