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Prime considerazioni sulla Risoluzione n. 106/E del 17 novembre 2016 e sul trattamento IVA dei servizi di servicing nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione

7 Dicembre 2016

Marco Frulio e Francesca Staffieri, Gianni Origoni Grippo Cappelli & Partners

Di cosa si parla in questo articolo

Un recente chiarimento dell’Agenzia delle Entrate (Risoluzione n. 106/E del 17 novembre 2016; cfr. contenuti correlati) fornisce lo spunto per qualche ulteriore riflessione sulla tematica, mai definitivamente chiarita, delle operazioni finanziarie esenti da IVA, con particolare riguardo alle operazioni di cartolarizzazione di crediti poste in essere ai sensi della Legge 130/1999 ed ai servizi di cassa e pagamento ad esse relativi.

Il chiarimento fornito con la Risoluzione in commento, qualificabile come atto di consulenza giuridica, risponde ad uno specifico quesito avanzato da un’associazione di categoria, relativo all’assoggettamento (o meno) ad esenzione da IVA, ai sensi dell’articolo 10, comma 1, del D.P.R. n. 633/72, delle attività c.d. di servicing, svolte – nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione ex lege 130 – dalla stessa banca cedente.

Al fine di meglio comprendere la portata del chiarimento in esame, si ritiene opportuna una breve premessa in merito alle operazioni di cartolarizzazione ex lege 130 ed ai servizi di riscossione dei crediti ceduti, nonché ai servizi di cassa e di pagamento, menzionati dalla stessa Legge n. 130/1999.

1. Le operazioni di cartolarizzazione dei crediti

Come noto, le operazioni di cartolarizzazione sono disciplinate dalla legge n. 130 del 30 aprile 1999 (la “Legge 130”).

In estrema sintesi, si tratta di operazioni di finanza strutturata che prevedono la cessione di crediti (ed il connesso trasferimento dei diritti ad essi connessi) da parte di una società – definita, nella prassi, come “originator” – ad un veicolo appositamente costituito (l’“issuer” o la SPV[1]), il quale (normalmente) finanzia l’acquisto degli stessi tramite emissione di titoli di debito[2] destinati a determinate categorie di investitori.

Per espressa previsione di legge:

  1. le società cessionarie hanno per oggetto esclusivo la realizzazione di una o più operazioni di cartolarizzazione dei crediti;
  2. i crediti relativi a ciascuna operazione (per tali intendendosi sia i crediti vantati nei confronti del debitore o dei debitori ceduti, sia ogni altro credito maturato dalla società cessionaria – o emittente – nel contesto dell’operazione), i relativi incassi e le attività finanziarie acquistate con i medesimi costituiscono patrimonio separato a tutti gli effetti da quello della SPV e da quello relativo alle altre operazioni;
  3. su ciascun patrimonio non sono ammesse azioni da parte di creditori diversi dai portatori dei titoli emessi per finanziare l’acquisto dei crediti stessi;
  4. le somme corrisposte dal debitore o dai debitori ceduti sono destinate in via esclusiva, dalla SPV, al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi per finanziare l’acquisto di tali crediti, nonché al pagamento dei costi dell’operazione.

In sostanza, quindi, la cartolarizzazione realizza una segregazione patrimoniale della massa creditoria ceduta, destinata a soddisfare prioritariamente (i) i sottoscrittori dei titoli emessi dalla SPV per finanziare l’acquisto dei crediti stessi, (ii) altri creditori della SPV che possano vantare diritti di credito specificamente inerenti le singole operazioni di cartolarizzazione effettuate, e (iii) solo in via residuale, eventuali altri soggetti portatori di interessi (di natura debitoria o partecipativa) nella SPV.

Al fine di preservare il meccanismo di funzionamento appena descritto, la Legge 130 e le disposizioni di carattere regolamentare emanate in seguito all’entrata in vigore della stessa[3] stabiliscono alcune “regole di comportamento” volte ad assicurare che i vincoli sopra sintetizzati siano, di fatto, rispettati, disponendo che la SPV e la società emittente (ove diversa dalla società cessionaria) prestino particolare attenzione ad assicurare costantemente la separatezza dei patrimoni delle varie operazioni di cartolarizzazione tra loro e con i beni della società, a garantire la trasparenza dell’operazione nei confronti degli investitori e del mercato, ed a porre in essere solo operazioni pertinenti alla gestione dell’operazione di cartolarizzazione.

Funzionali al perseguimento di tali obiettivi sono anche una serie di indicazioni fornite dall’Autorità di vigilanza in ordine alla struttura dei sistemi informativo-contabili, alle comunicazioni che le società in questione devono inviare alla stessa Banca d’ Italia ed alla iscrizione delle medesime società nell’ elenco speciale.

2. La figura del servicer nell’ambito delle operazioni di cartolarizzazione

Nell’ambito di dette tutele (sia legislative che regolamentari) si inserisce la riserva disposta dall’articolo 2, comma 6, della Legge 130, relativamente all’attività di riscossione dei crediti ceduti ed ai servizi di cassa e di pagamento (tipicamente definita come attività di “servicing”).

La norma dispone, infatti, che i servizi sopra menzionati (funzionali al soddisfacimento dei crediti vantati verso la SPV dai sottoscrittori dei titoli emessi, e necessariamente affidati ad un terzo per via della natura “bankrupcy remote” della SPV[4]) possano essere svolti solo da banche o da intermediari finanziari iscritti nell’albo previsto dall’articolo 106 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (il Testo Unico Bancario, o “TUB”).

A tali soggetti (che definiremo, in ossequio alla prassi operativa, “servicer”) è, peraltro, demandato anche il compito di verificare che le operazioni svolte siano conformi alla legge ed al prospetto informativo redatto in base alla stessa.

Al servicer fanno, pertanto, capo sia compiti di natura operativa, sia funzioni di “garanzia” circa il corretto svolgimento delle operazioni di cartolarizzazione nell’interesse dei portatori dei titoli e, in generale, del mercato.

Detti compiti vanno, peraltro, considerati in modo unitario, in quanto finalizzati, nel loro insieme, a permettere il funzionamento della cartolarizzazione ed ad assicurare il rispetto delle posizioni dei vari soggetti coinvolti.

Ad ulteriore chiarimento del dettato legislativo, le istruzioni della Banca d’Italia indicano alcuni principi ai quali gli intermediari in questione devono fare riferimento nell’esercizio della loro attività. In particolare, è fatto loro obbligo di verificare che:

  1. le somme rivenienti dalla riscossione degli attivi cartolarizzati affluiscano nei conti della SPV dedicati all’operazione e che non si creino situazioni di confusione con i beni della società veicolo o con patrimoni relativi ad altre operazioni di cartolarizzazione;
  2. gli interessi dei portatori dei titoli siano assicurati in ogni fase delle operazioni di cartolarizzazione;
  3. gli incassi avvengano nel rispetto delle scadenze programmate.

L’attività del servicer può comprendere svariati adempimenti di diversa natura, alcuni dei quali sono senz’altro inerenti alla gestione amministrativa dei crediti ceduti e volti a favorirne l’incasso da parte delle SPV, ivi inclusi, a titolo esemplificativo:

  • l’amministrazione dei crediti con cura, diligenza e professionalità;
  • la possibilità di dare, in nome e per conto della SPV, assenso all’eventuale accollo del debito, alla riduzione, restrizione, liberazione, frazionamento, cancellazione delle ipoteche;
  • il servizio di riscossione dei pagamenti (effettuati nei termini dai debitori) e i servizi di cassa;
  • l’aggiornamento dello stato dei crediti e delle scadenze;
  • il monitoraggio degli incassi effettuati;
  • il rilascio delle quietanze liberatorie ai debitori adempienti;
  • il controllo della rispondenza nello svolgimento del rapporto a qualsiasi legge e regolamento applicabile ai crediti;
  • il controllo del rispetto della legislazione contro l’usura;
  • il controllo del rispetto della normativa di vigilanza;
  • la custodia della relativa documentazione e la gestione dei doveri informativi;
  • la predisposizione dei mezzi informatici necessari;
  • l’osservanza degli obblighi amministrativi e contabili;
  • il mantenimento del c.d. “Archivio unico informa­tico” previsto dalla normativa antiriciclaggio;
  • l’assolvimento delle indagini finanziarie promosse ai fini fiscali.

Qualora si tratti di crediti “in sofferenza” (rectius, di crediti scaduti e perfettamente esigibili, per i quali siano state attivate procedure esecutive) il servicer potrà svolgere anche funzioni relative al recupero dei crediti stessi da parte dei debitori ceduti.

Nella prassi, per motivi di ordine gestionale, il ruolo di servicer può essere affidato allo stesso originator (nella misura in cui quest’ultimo rispetti i requisiti di legge previsti). Essendo l’originator il creditore originario, infatti, lo stesso è in possesso di un set di informazioni rilevanti (sia anagrafiche che finanziarie) relative ai debitori ceduti, circostanza che facilita il processo di raccolta e gestione delle informazioni ai fini di cui sopra e permette, di conseguenza, un risparmio di costi connessi al processo. Inoltre, la continuità del rapporto tra il debitore ceduto ed il creditore originario, agevola di fatto il procedimento di gestione del credito e del rapporto stesso.

Sia in un caso che nell’altro, il servicer percepisce una commissione a titolo di remunerazione dei servizi prestati. Tale commissione può essere (in tutto o in parte) parametrata, su base annua, all’ammontare residuo dei crediti amministrati, ovvero all’ammontare dei crediti incassati, calcolato alla scadenza di un determinato periodo di riferimento.

Ebbene, il regime IVA applicabile a tale remunerazione ha costituito (e continua, a nostro parere, a costituire, anche a seguito della pubblicazione della Risoluzione in commento) argomento di discussione tra gli operatori del settore, a causa del dubbio, tuttora irrisolto, circa l’applicabilità della norma di esenzione di cui all’articolo 10, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972 ad una fattispecie così complessa.

3. Il regime IVA applicabile alle operazioni de quo

Per una disamina puntuale della normativa IVA applicabile occorre partire dalle relative disposizioni comunitarie che “ispirano” la normativa nazionale.

I servizi finanziari, per quanto di interesse ai fini della presente trattazioni, sono regolati dall’art. 135 della Direttiva del Consiglio dell’Unione Europea n.2006/112/CE che dispone: “Gli Stati membri esentano le operazioni seguenti:

(…)

b) la concessione e la negoziazione di crediti nonché la gestione di crediti da parte di chi li ha concessi;

(…)

d) le operazioni, compresa la negoziazione, relative ai depositi di fondi, ai conti correnti, ai pagamenti, ai giroconti, ai crediti, agli assegni e ad altri effetti commerciali, ad eccezione del recupero dei crediti; (…)”

La citata norma comunitaria è stata implementata dal legislatore nazionale nell’art.10, comma 1, numero 1), del D.P.R n.633 del 27 ottobre 1972 il quale dispone: “Sono esenti dall’imposta: le prestazioni di servizi concernenti la concessione e la negoziazione di crediti, la gestione degli stessi da parte dei concedenti e le operazioni di finanziamento; (…) le dilazioni di pagamento , le operazioni compresa la negoziazione , relative a deposito di fondi, conti correnti,, pagamenti, giroconti, crediti ed ad assegni o altri effetti commerciali, ad eccezione del recupero dei crediti; (…)”

Giova rilevare, inoltre, che secondo giurisprudenza costante della Corte di Giustizia Europea (CGE), le esenzioni della direttiva IVA costituiscono nozioni autonome di diritto dell’Unione che mirano ad evitare divergenze nell’applicazione dell’imposta nei differenti Stati membri[5] e, pertanto, i termini che designano le esenzioni devono essere interpretati restrittivamente[6].

Per comprendere la portata delle esenzioni, che potrebbero interessare la trattazione de quo, occorre effettuare una disamina interpretativa delle seguenti nozioni:

a) gestione di crediti da parte di chi li ha concessi;

b) le operazioni… relative … a pagamenti;

c) il recupero crediti.

Senza voler procedere con una trattazione approfondita della natura delle richiamate disposizioni, si delineano nel seguito le caratteristiche fondamentali, alla luce delle interpretazioni prevalenti, delle suddette attività che possono sintetizzarsi come segue.

Per quanto riguarda la nozione di “gestione di crediti da parte di chi li ha concessi”, da una lettura sistematica della disposizione in esame, sembra potersi dedurre che:

(a) la nozione di “gestione del credito” richiama un’attività amministrativa diversa ed ulteriore rispetto alla concessione e negoziazione dei crediti stessi (di cui alla prima parte della disposizione), attività di natura più squisitamente finanziaria;

(b) la norma sembra, tuttavia, limitare l’esenzione da IVA alle sole attività amministrative connesse alla gestione dei crediti operate dal soggetto che li ha concessi.

Appare, quindi, evidente che l’esenzione trova un vincolo soggettivo di continuazione dell’attività amministrativa in capo al concedente del credito stesso, ovvero al soggetto che effettua l’operazione finanziaria sottesa.

Per quanto riguarda la nozione sub b), al contrario, trattandosi di operazioni aventi tout court natura finanziaria, l’esenzione da IVA ha carattere oggettivo, essendo applicabile in funzione della natura del servizio prestato indipendentemente dalla qualificazione del prestatore o committente. Ne consegne che la portata dell’esenzione per tali attività è da individuare avendo riguardo alla natura intrinseca della prestazione resa.

Quanto ai servizi di pagamento, in particolare, per interpretazione costante[7], gli stessi appaiono caratterizzati dal mutamento del rapporto giuridico ed economico in essere (i) tra mandante e beneficiario, da un lato, e (ii) tra costoro e le rispettive banche o istituti finanziari, dall’altro.

Inoltre, è stato specificato che la nozione relativa a servizi di pagamento non esclude a priori che il servizio possa comporsi di servizi distinti che in qualche modo possano rappresentare operazioni relative a servizi di pagamento. In tali casi, tuttavia, i diversi servizi devono essere idonei a svolgere la funzione specifica di servizi di pagamento qualificati dal trasferimento di fondi che incida sulla posizione giuridica ed economica dei soggetti coinvolti.

In tale accezione per esempio sono state escluse dai servizi di pagamento le prestazioni tecniche ed amministrative che consentono di raccogliere informazioni relative ai pagamenti e la loro trasmissione alle banche con ricevuta di conferma che consentono di realizzare una vendita e di ricevere i relativi fondi ma che, tuttavia, non comportavano la modificazione delle situazioni giuridiche sottese.

Quanto, infine, al “recupero crediti”[8], lo stesso è rappresentato da un’operazione volta ad ottenere il pagamento di un debito in denaro. In materia, tuttavia, si riscontrano posizioni differenti tra la prassi ufficiale dell’amministrazione finanziaria italiana e l’interpretazione resa in sede giudiziale dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee (la “CGCE”).

Infatti, mentre secondo alcune interpretazioni dell’Agenzia delle Entrate[9] l’attività di recupero crediti sarebbe unicamente quella rivolta alla soddisfazione coattiva delle ragioni del creditore, essendo la stessa limitata a crediti scaduti e di difficile esigibilità, la CGCE ritiene indifferente ai fini qualificatori la circostanza che i crediti siano o meno scaduti (cfr., da ultimo, sentenza CGCE del 28 ottobre 2010, C-175/09)[10].

Ne consegue che, al fine di verificare se l’esenzione risulta applicabile a determinati servizi posti “al servizio” della cartolarizzazione (sopra brevemente richiamati), occorrerà prima di tutto inquadrare detti servizi nell’una o nell’altra categoria.

4. La Risoluzione n. 106/E del 2016

Venendo alla problematica che qui interessa, nella prassi di settore si è, storicamente, effettuata una summa divisio tra:

  1. le attività di gestione dei crediti in bonis (ivi inclusi i servizi di riscossione e pagamento degli stessi, effettuati dal servicer per conto della SPV titolare del credito ceduto), e
  2. le attività di “recupero crediti”, ossia attività di gestione dei crediti scaduti e giudicati di difficile recuperabilità, per i quali siano state poste in essere, inutilmente, tutte le sopra menzionate attività e si sia quindi resa necessaria un’attività ulteriore (normalmente successiva a specifici atti di messa in mora, formale o informale, da parte del servicer odi altri fornitori di servizi).

Mentre la prima è sempre stata considerata attività esente da IVA ai sensi dell’articolo 10, comma 1, numero 1), (in quanto espressiva di operazioni di pagamento diverse da quelle di recupero di crediti), la seconda è stata considerata – in ossequio alla specifica eccezione disposta dalla norma – imponibile e conseguentemente assoggettata ad imposta.

Tale ricostruzione è stata, tuttavia, revocata in dubbio da alcune pronunce della CGCE (sopra brevemente riportate), secondo le quali l’espressione “recupero crediti” deve essere interpretata nel senso di ricomprendervi qualsiasi servizio prestato al fine di procurare il pagamento di crediti pecuniari spettanti ad un terzo, indipendentemente dalla loro natura, grado di esigibilità o avvenuta scadenza, ovvero dall’esecuzione di azioni di natura coattiva.

In questo scenario l’istante – premettendo che non ritiene comunque applicabile la sentenza richiamata, perché relativa a fattispecie diversa da quella esaminata – chiede di conoscere se i servizi svolti dalla banca cedente in qualità di servicer di una cartolarizzazione possano essere qualificati come (i) operazioni di pagamento (trattandosi di attività strumentale ad un’operazione avente un’indubbia natura finanziaria), o – in subordine – come (ii) gestione dei crediti da parte del concedente.

L’Agenzia, pur non escludendo che alcuni dei servizi prestati dall’originator (i.e., dal servicer) possano costituire servizi di pagamento esenti da IVA (comportando, di fatto, un effetto dispositivo nella sfera giuridica ed economica dei soggetti coinvolti), sottolinea – tuttavia – che questi costituiscono solo un segmento della più complessa attività svolta dal servicer, funzionale all’adempimento spontaneo del debitore ceduto.

In questa prospettiva, l’Agenzia ritiene di non poter confermare in generale l’inquadramento di tale attività (globalmente considerata) nella definizione “servizi di pagamento”, qualificando invece il rapporto esistente come di natura complessa e meglio riconducibile alla “gestione dei crediti effettuata da parte del concedente”, così riconoscendo alla fattispecie in esame l’esenzione da IVA senza necessità di effettuare un’analisi caso per caso dei servizi svolti. Nell’interpretazione fornita con la Risoluzione in esame, infatti, l’Agenzia delle Entrate ritiene che il “concedente”, nel caso di specie, corrisponda al creditore originario – e non alla SPV che ha formalmente acquistato il credito[11] – e che quindi l’attività svolta dal servicer possa essere parificata a quella svolta ordinariamente dal finanziatore (esente IVA ove ne ricorrano tutte le condizioni).

5. Conclusioni

Benché apprezzabile da un punto di vista teorico, la Risoluzione lascia quindi irrisolto il dubbio relativo al corretto trattamento da riservare, ai fini IVA, alle commissioni di servicing pagate nell’ambito delle operazioni di cartolarizzazione diverse da quelle ivi specificamente considerate, concentrandosi sulle sole operazioni di gestione dei crediti effettuate dallo stesso originator.

Auspichiamo, quindi, un ulteriore chiarimento da parte dell’Amministrazione finanziaria, che sia possibilmente organico e che tenga in debita considerazione le peculiarità della cartolarizzazione di crediti effettuate ai sensi della Legge130 (ivi inclusa la natura dell’operazione in esame e la struttura tipica dei soggetti potenzialmente coinvolti).

Nelle more di un chiarimento ufficiale, ci sia, peraltro, permesso sottoporre all’attenzione di chi legge alcuni spunti di riflessione:

  • le operazioni di cartolarizzazione sono, normalmente, caratterizzate da una natura prettamente finanziaria – conferma ne sia il fatto che la loro esecuzione è riservata a determinati operatori sul mercato, che devono rispettare, per legge, specifici requisiti soggettivi ed oggettivi;
  • per i motivi brevemente citati in premessa, la SPV non può svolgere autonomamente alcune funzioni “operative” e “commerciali”, che sono tuttavia essenziali ed irrinunciabili al completamento dell’operazione stessa. In particolare, tutto ciò che attiene ai rapporti con i debitori ceduti (che siano essi in bonis o meno) è affidato per legge ad un soggetto diverso dalla SPV, individuato a priori dalla SPV ed avente (anch’esso) determinate caratteristiche legate al carattere finanziario dell’operazione;
  • ne consegue che, senza l’intervento del terzo (servicer) ed indipendentemente dal fatto che questo sia l’originator o altro soggetto appositamente nominato, la SPV non potrebbe in alcun modo interfacciarsi con i debitori ceduti.

Ci sembra che le riflessioni sopra esposte rendano l’attività del servicer, da chiunque svolta, e considerata nel suo complesso, come un servizio strettamente connesso e funzionale all’operazione di cartolarizzazione. Estremizzando, si potrebbe sostenere che senza tali servizi l’operazione di cartolarizzazione non potrebbe esser posta in essere, in considerazione del fatto che tali attività sono precluse alla SPV.

Ne consegue, che ad avviso di chi scrive, il trattamento IVA dei servizi prestati in esecuzione dei contratti di servicing nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione non possa essere valutato in maniera distinta dall’operazione nel suo complesso, ma debba considerarsi attratto al novero dei servizi finanziari esenti indipendentemente dalla qualificazione soggettiva del prestatore del servizio.

 


[1] Acronimo per Special Purpose Vehicle.

[2] Benché non rientrante nell’ambito della presente trattazione, per pura chiarezza espositiva, si rileva che normalmente i titoli emessi dalle società di cartolarizzazione non sono qualificabili come “obbligazioni” o “titoli similari alle obbligazioni” ai sensi della normativa tributaria italiana; gli stessi sono, peraltro, assoggettati ad un regime fiscale specifico, tipico dei titoli obbligazionari aventi determinate caratteristiche, in virtù di un rinvio espresso operato dalla Legge 130 al Decreto Legislativo n. 239 del 1996.

[3] Cfr. il Provvedimento del Governatore di Banca d’Italia del 20 agosto 2000 recante “Disposizioni per le società di cartolarizzazione”.

[4] Che, come noto, richiede il mantenimento di una struttura organizzativa e di personale pressoché inesistente al fine di diminuire eventuali responsabilità della stessa verso soggetti non strettamente coinvolti nell’operazione, per come configurata dalla legge.

[5] Sentenze C-540/09 del 10 marzo 2011; C-264/14 del 22 ottobre 2015.

[6] Sentenze C-350/10 del 28 giugno 2011; C-264/14 del 22 ottobre 2015.

[7] Sentenze C-2/95 del 5 giugno 1997, C-276/09 del 2 dicembre 2010, C-350/10 del 28 giugno 2011, c-607/14 del 26 maggio 2016.

[8] Sentenza 175/09 del 28 ottobre 2010.

[9] Cfr. Risoluzione n. 139/E del 17 novembre 2004 e Risoluzione n. 32/E dell’11 marzo 2011.

[10] Giova, peraltro, sottolineare – ai fini della presente trattazione – come nelle sentenze il credito non forma oggetto di trasferimento dal creditore originario al prestatore del servizio.

[11] Non è ben chiaro, peraltro, se questa assimilazione – che riteniamo vada limitata ai soli fini dell’IVA – sia dovuta alle particolari modalità con cui sembra fosse strutturata l’operazione di cartolarizzazione in oggetto (che prevedeva l’emissione di obbligazioni bancarie garantite dalla banca in concomitanza della stessa cartolarizzazione dei crediti) ovvero sia estensibile tout court a tutte le operazioni di cartolarizzazione.

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