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Approfondimenti

L’analisi giuridica delle rinegoziazioni e dell’up front

26 Settembre 2017

Massimo Lembo, Professore a contratto di diritto dei prodotti bancari e assicurativi, Università di Udine

Di cosa si parla in questo articolo

SOMMARIO:1. La rinegoziazione del contratto derivato. – 2. L’up front – genesi. – 3. L’up front – aspetti contabili, fiscali e di Vigilanza. – 4. La causa dell’up front. – 5. L’up front nella giurisprudenza. – 6. L’up front in ambito concorsuale.

 

1. La rinegoziazione del contratto derivato

La rinegoziazione di un contratto derivato (o su un derivato) già in essere (detta anche rimodulazione o ricontrattazione) trae origine dal fatto che le parti dello stesso ad un certo punto della vita del contratto ritengono opportuno non attenderne la scadenza originaria per svariati motivi; tra questi, i più frequenti sono essenzialmente tre:

a. il contratto non serve più perché, ad esempio, il rischio che si voleva neutralizzare è venuto meno o si sono creati i presupposti per considerarlo di misura meno rilevante che in precedenza;

oppure

b. il valore del contratto assume una dimensione negativa – (mark to market o MTM, vale a dire il valore di mercato in un dato momento [1]) – per cui si vuole evitare che la stessa si espliciti in tutta la sua evidenza alla scadenza (ma anche durante la sua vita); in merito, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare come il MTM non esprima un valore reale ma sia una mera proiezione in termini di attualizzazione dei costi sostenuti dalla banca per l’operazione di finanza derivata ed a questa dovuti esclusivamente nel caso in cui il rapporto venga interrotto prima della sua naturale scadenza; non è, quindi, un costo occulto e non potrà mai avere un valore positivo durante il periodo di vigenza del contratto stesso [2];

o anche

c. il mercato, durante la vita del contratto, offre nuove e più interessanti opportunità.

Nel primo caso, si pensi ad un finanziamento di lunga durata su cui si fosse intervenuti per coprire un rischio di tasso (trasformando, in qualche modo, un rischio di tasso dell’intermediario in un rischio di credito del cliente dell’intermediario), nel secondo caso, si pensi ad un contratto che, alla scadenza, vedrebbe una parte dover sborsare una somma considerevole per fare fronte ai precedenti impegni contrattuali.

La prassi che si osserva ancora attualmente ma che si è notevolmente riscontrata nell’ultimo decennio, induce a focalizzare l’attenzione sulla seconda di queste ipotesi all’interno della quale si annidano le maggiori criticità a livello giuridico che, sembra, siano state in origine spesso, se non quasi sempre, sottovalutate.

Non pare vi sia alcun dubbio – a livello di principio – che tanto se il contratto sia nato con finalità di copertura [3], quanto lo sia per finalità meramente speculative, ove si intervenga con una ristrutturazione, la seconda operazione debba necessariamente avere finalità di speculazione se è vero, come è vero, che con la ristrutturazione si vuole differire nel tempo l’esplicitazione della perdita dell’operazione precedente [4] confidando in eventi futuri che – se si verificheranno – consentiranno l’assorbimento o la riduzione di detta perdita [5].

La reiterazione di più rinegoziazioni ha avuto in passato effetti abnormi. Ecco perché, con terminologia quasi surreale, i derivati sono stati autorevolmente definiti “strumenti finanziari di distruzione di massa” (derivatives are financial weapons of mass destruction) oltre che “bombe ad orologeria” [6] essenzialmente per la mancanza di etica nella ricerca quasi patologica del profitto o peggio (ed è qui che il conflitto, insito nella materia, da endemico diventa epidemico).

Un punto di interessante riflessione è costituito dal fatto se si interviene con una ristrutturazione su di un originario contratto stipulato tra le medesime parti oppure se ciò avvenga con una nuova controparte che subentra alla prima. Questo perché, nella seconda ipotesi, la nuova parte interviene – concettualmente – prima con una funzione di tipo consulenziale e poi proponendo lo strumento operativo, quasi a suggerire la medicina per guarire la malattia. Evidentemente, non ci saranno remore di sorta ad esplicitare sino in fondo il quadro attuale evidenziando i rischi in essere, i costi connessi e le prospettive di mercato. Per converso, prenderà consistenza la tematica connessa al conflitto di interessi in cui si trova chi analizza una situazione e si propone come parte contrattuale che fornisce lo strumento (il contratto derivato) con cui si cerca di risolvere il problema.

Sotto il profilo operativo, un contratto di ristrutturazione – o come si usa dire in gergo, la “struttura” che viene proposta al cliente – si muove normalmente su una delle seguenti linee:

a. allungamento (proroga) della scadenza dell’operazione originaria (anche se, a volte, ci si trova di fronte ad una riduzione della stessa diversamente compensata dagli altri due fattori seguenti),

b. aumento del capitale di riferimento dell’operazione (in gergo tecnico “nozionale”),

c. incremento della leva finanziaria [7] (con effetto potenzialmente micidiale amplificando l’esposizione rispetto all’andamento dei tassi di interesse o di cambio) [8],

d. modifica del sottostante [9],

o dalla possibile combinazione delle (o di alcune delle) stesse.

Il mancato buon fine delle aspettative ricrea le condizioni iniziali su basi normalmente ampliate sino al redde rationem che può derivare o da un atto di coraggio dell’intermediario che spiega finalmente alla controparte quegli aspetti e quelle realtà su cui si era magari sino a quel momento glissato temendo di incrinare il rapporto con il cliente (si tratta del malinteso concetto “commerciale”), oppure perché una specifica disciplina impone la valorizzazione a prezzi di mercato come nel caso del principio contabile dello IAS 39 che, una volta entrato in vigore [10], impone il criterio del fair value (o prezzo equo); in particolare, la disciplina dello IAS 39 – paragrafo 11 – impone la separazione – ai fini della valutazione – dello strumento finanziario derivato sottostante rispetto al contratto. Lo IAS 39, inoltre, contiene una presunzione relativa: gli strumenti finanziari derivati si considerano sempre detenuti con finalità di negoziazione (held for trading) con la conseguenza che vanno valutati al fair value e comportano la diretta iscrizione a conto economico degli eventuali utili o perdite derivanti dalle successive oscillazioni del fair value [11]. Per vincere questa presunzione occorre dimostrare la funzione di copertura del rischio (hedge accounting) e l’efficacia della stessa[12]. Inoltre, non si scordi che l’art. 2427 bis c.c. impone che nella nota integrativa del bilancio vada indicato per ogni strumento finanziario derivato il suo fair value (cioè, sostanzialmente, il valore di mercato o mark to market, avuto presente che tale valore varia di momento in momento. Per i derivati non quotati soccorrono tecniche di valutazione affidabili mutuate dalla matematica finanziaria). Il sistema cambia, in ottica di migliore trasparenza, con i bilanci 2016 a seguito del recepimento, tramite il d. lgs. n. 139/2015, della direttiva n. 34/2013 UE che, all’art. 8, modifica l’art. 2423 bis c.c., con riferimento alle operazioni di copertura ed ai derivati incorporati in altri strumenti finanziari ex art. 2426 n. 11 bis cc. i quali, secondo il principio di prevalenza della sostanza sulla forma, vanno iscritti in bilancio (e non “sotto la riga”) al fair value [13] con imputazione delle variazioni a conto economico mentre, per i derivati speculativi, gli utili che derivano dalla valutazione al fair value vanno accantonati ad una riserva non distribuibile. La fiscalità dei derivati prevede una differenziazione tipologica tra derivati speculativi e derivati di copertura ed una soggettiva tra soggetti IAS adopter e gli altri con qualche problema di raccordo tra il bilancio civilistico e quello fiscale. Dallo IAS 39 si passa al nuovo principio contabile IFRS 9 dal gennaio 2018 [14]. La BCE nell’agosto 2017, ha pubblicato le modifiche al proprio regolamento 2015/534 sulle segnalazioni ai fini FINREP. L’Organismo italiano di contabilità (OIC) aveva emanato la bozza del nuovo principio contabile e del nuovo modello di classificazione degli strumenti finanziari per la fase di consultazione che è terminata il 31.5.2016. I nuovi principi OIC per crediti (OIC 15) e debiti (OIC 19) danno applicazione al criterio del costo ammortizzato, di cui ai principi contabili internazionali (già presente nello IAS 39). Con particolare riferimento all’up front connesso ad un’operazione di finanziamento incassato dal creditore, l’importo dovrà essere contabilizzato in deduzione del credito se gli effetti sono considerati rilevanti rispetto al valore nominale nell’accezione dell’art. 2423 comma 4 cc..

Ma anche altri sono i fatti che avrebbero potuto in passato portare alla medesima conclusione, perché, ad esempio, qualche amministratore o sindaco, facendo seriamente il suo mestiere, a prescindere dal criterio contabile citato, vuole conoscere il valore effettivo del contratto non fosse altro che per rispettare i principi civilistici comunque in vigore con la riforma del diritto societario.

Per le imprese che si fanno certificare il bilancio e ove la società di revisione, a prescindere da tutto, avesse accettato improbabili o fantasiose valorizzazione, absit iniuria verbis….

In ogni caso, una ricognizione delle formalizzazioni negoziali della ristrutturazione evidenzia come non venga generalmente esplicitato se il contratto sia o meno di ristrutturazione; sorge spontanea la domanda: perché ?

Verrebbe da concludere che la rinegoziazione è frutto di pura speculazione, di per sé lecita senza, peraltro, perdere di vista le possibili conseguenza connesse alla individuazione di un accordo in frode alla legge con ciò che ne discende avuto riferimento al disposto dell’art. 1344 c.c. (cioè la causa illecita “presunta” se il contratto è destinato ad eludere una norma imperativa). Peraltro, premesso che la causa del contratto è lo scambio in sé, va ricordato che la legittimità della causa meramente speculativa ed astratta del contratto derivato è stata da tempo ampiamente affermata in giurisprudenza e ribadita [15] con riferimento al contratto di swap. Per quanto attiene la speculazione non si deve dimenticare che essa prescinde dalle pattuizioni dei contraenti essendo essenzialmente legata a fenomeni insiti nell’economia reale (come l’oscillazione di un tasso) con la conseguenza che l’atto speculativo non mira all’artificiale creazione di un rischio diversamente inesistente ma deve intervenire su una realtà economica alla quale un soggetto sarebbe comunque esposto [16]. In materia finanziaria, la speculazione deve essere vista in un’ottica diversa da quella comune così come vanno visti in modo direi quasi opposto anche i problemi connessi al conflitto di interessi. Mentre in campo civilistico la speculazione ed il conflitto di interessi hanno una disciplina quasi punitiva, in campo finanziario si deve riconoscere che entrambi sono quasi connaturati e, come tali, vanno accettati; vanno solo individuati e particolarmente esplicitati al cliente.

Tenuto conto che alcune banche hanno oramai da tempo adottato delle linee guida del tipo “non si fanno ristrutturazioni”, oppure “si fanno solo ristrutturazioni su precedenti contratti stipulati da altra banca con il cliente” oppure “non si ristruttura se non una volta scaduto il contratto originario” oppure ancora “non si ristruttura più di una volta in un anno” è il caso che ogni operatore si ponga una serie di domande sul proprio comportamento passato ed attuale. Per altro verso, occorre tenere presente che anche un abnorme numero di derivati posti in essere con lo stesso cliente può rappresentare un elemento di criticità; si cita un caso recentemente venuto agli onori della cronaca in cui, nel periodo intercorrente tra il 2002 ed il 2008 una società ha sottoscritto più di 200 contratti derivati, tanto su tassi quanto su cambi, tutti o quasi ritenuti speculativi (contrariamente ad una finalità esplicitata come di copertura) e con un’alea marcatamente sbilanciata a favore dell’intermediario [17] (pur con una parziale applicazione dell’art. 1227 c.c. in tema di concorso di colpa del danneggiato). La banca, secondo il lodo arbitrale, aveva proposto strumenti finanziari inadeguati e sbilanciati al fine di diluire le perdite accumulate e senza preoccuparsi della capacità del cliente di poter sostenere il rischio di ulteriori perdite.

La rinegoziazione, verosimilmente o, per lo meno, in una buona percentuale di casi, rappresenta dal punto di vista giuridico una novazione oggettiva allorquando una delle parti (solitamente il cliente) decida di risolvere anticipatamente il primo contratto solo contestualmente alla sottoscrizione di un secondo che consenta di evitare di pagare l’importo della risoluzione del primo ricorrendo – normalmente – all’up front per la chiusura contabile del primo [18]. Sostanzialmente, l’up front versato equivale o si avvicina molto alla perdita attuale del contratto (occorre tenere conto, ad esempio, di possibili costi di uscita) di una parte cui corrisponde – specularmente – il guadagno (o meglio, l’utile) conseguito dall’altra.

Un tema non adeguatamente approfondito sinora (con le dovute eccezioni) è quello se la rinegoziazione, la chiusura di un derivato con l’apertura di un altro e l’intervento dell’up front siano elementi tali da esplicitare la figura del collegamento negoziale con le connesse conseguenze giuridiche soprattutto in termini di traslazione dal primo al secondo degli eventuali elementi di invalidità giuridica: civilistica (nullità, annullabilità, risoluzione), amministrativa (sotto il profilo di vigilanza) ed anche penale. Il punto sta nell’individuare quali siano i requisiti minimi per poter affermare l’esistenza di un collegamento rilevante. Soccorre la giurisprudenza della Cassazione che offre oramai una casistica apprezzabile e sufficientemente uniforme incentrata nella coesistenza della volontà delle parti, dell’inscindibilità dello scopo comune e della funzionalità del secondo contratto rispetto al primo, una volta escluso ogni aspetto novativo [19]. Ulteriore punto di attenzione è rappresentato dalla modalità della classificazione come “prodotto complesso” o “preassemblato” del contratto derivato di ristrutturazione alla luce della recentissima disciplina della Consob del 22.12.2014 con le connesse conseguenze in relazione alle modalità di distribuzione verso clientela al dettaglio.

2. L’ up front – genesi

L’esame della contrattualistica in uso presso il sistema bancario dimostra che l’up front [20], fino a pochi anni fa, non fosse definito e, solo in alcuni casi, si ritrova menzionato e non sempre associato ad un valore economico quantificato o quantificabile. Nondimeno, nulla vieta o impediva che potesse stare all’interno di uno specifico contratto.

Sia come sia, almeno, sotto il profilo della trasparenza, la prassi riscontrata non è o, quantomeno, non è stata certo il massimo auspicabile e per quanto si dirà può costituire un problema nel problema anche perché la giurisprudenza, naturalmente, non è rimasta agnostica.

L’up front costituisce di per sé, un elemento eventuale rispetto alla struttura contrattuale anche se notevolmente rilevante al punto da connotare fortemente l’articolazione di un contratto derivato ed incide nella differenziazione tra contratti c.d. par e contratti non par, vale a dire quelli che presentano al momento della stipula un valore di mercato negativo per una delle parti in quanto non riflette il livello dei tassi di mercato. Il riequilibrio è normalmente e per la maggior parte se non per la totalità dei casi rappresentato dall’up front [21].

Occorre tenere presente che ex art. 1345 c.c. potrebbe essere evidenziato un profilo di illiceità del contratto per motivo illecito laddove questo emergesse nelle pieghe delle varie clausole o dalla sostanza dello stesso.

Nell’ottica sopra citata, a prescindere dal tipo di strumento finanziario sottostante, “swap, opzione, ecc., l’up front, in sé, nulla ha a che vedere con il perfezionamento di un contratto derivato [22]. Ove fosse presente – all’interno di un contratto derivato – dovrà avere una autonoma ragione economico giuridica, ben esplicitata, per non rischiare la dichiarazione di nullità in un eventuale giudizio per assenza di causa.

 Nella prassi, l’up front si riscontra essenzialmente in operazioni di ristrutturazione di un precedente derivato, quasi una tecnica negoziale utilizzata per chiudere contabilmente un costo insito nello stesso ed appare formalmente come un pagamento (o un’anticipazione) che la banca fa all’impresa all’atto della ristrutturazione.

Concettualmente, quindi, come detto, l’up front pare incompatibile con il contratto derivato “puro” se è vero che a fronte di una finalità non meglio definita è il cliente che dovrebbe pagare un qualcosa alla banca, non certo ricevere. Se poi il derivato dovesse essere utilizzato per soli fini di copertura è evidente che ben difficilmente vi sarebbe spazio per un giustificabile up front riconosciuto dalla banca al cliente. E proprio qui si annida una grande criticità: se fosse vero che il contratto derivato è stato proposto come strumento di copertura totale e parziale di un rischio – quasi una forma di assicurazione contro un certo rischio finanziario – non si comprende come potrebbe il cliente lamentarsi di una minusvalenza o perdita su quel contratto che, per definizione, dovendo “assicurare” contro un evento non voluto, non poteva che rappresentare per il medesimo cliente un costo e nulla più.

Va da sé che la prassi di riconoscere up front alla clientela a fronte della stipula di derivati (nelle entità notevoli che si riscontrano o, quantomeno, che si sono riscontrate negli anni 2003-2010), risulta decisamente problematica in quanto pende la scure della possibile nullità o, comunque, invalidità del contratto con le connesse conseguenze a carico della banca.

Anticipando un tema che verrà trattato nel paragrafo seguente, la Commissione tributaria di Milano [23], quindi con un’ottica di settore, ha stabilito che la somma riconosciuta al sottoscrittore di un contratto derivato ha lo scopo di compensare (neutralizzare) la perdita intrinseca che tale contratto presenta per cui non può rappresentare un componente negativo di reddito di impresa con la conseguenza che il fisco può recuperare a tassazione la variazione in diminuzione del reddito operata in misura corrispondente all’up front percepito in occasione della sottoscrizione di un derivato.

Si vede in questa materia un serio rischio operativo [24] che la banca non può sottovalutare e che – era ed è facile essere indovini – ha rappresentato e rappresenterà ancora il prossimo problema del mondo bancario vista la diffusione ed il modo di “vendita” dei cosiddetti derivati corporate [25].

Questo rischio è amplificato laddove la struttura contrattuale non evidenzi con chiarezza le finalità dell’operazione allorché il cliente dimostrasse di non essere stato reso edotto di ciò che ha firmato. Nello specifico, una giurisprudenza evoluta è giunta ad affermare che l’up front costituisca un efficace indicatore della presenza di un rischio connaturato alla struttura contrattuale ed impone all’intermediario un particolare dovere di consulenza fedele atteso che l’obbligo di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza deve ritenersi connaturato al contratto di intermediazione finanziaria [26] tanto più nel caso in cui l’intermediario si ponga come diretta controparte dell’operazione .

Ecco che le modalità di contabilizzazione assumono rilevanza chiarificatrice anche perché esplicitano i fenomeni contrattuali (e sono indicativi di come vengono percepiti dal cliente).

Infatti, in ottica di grande semplificazione, si propone uno dei seguenti scenari:

a. l’up front è assimilabile ad un finanziamento di cassa [27], un anticipo non aleatorio del differenziale positivo necessario a compensare in via principale la perdita originaria del primo swap [28] (oltre ad altri costi sostenuti dall’intermediario) prevalentemente sotto la forma giuridica di mutuo, con obbligo di rimborso finalizzato a coprire la minusvalenza che il cliente non può pagare chiudendo l’operazione (e, conseguentemente, non genera ricavi per il cliente) o, se si preferisce, una concessione di finanziamento quale accessorio (secondo l’accezione Consob) al servizio di investimento; con una variante, potrebbe anche considerarsi un anticipo su possibili futuri costi (quasi una attualizzazione dei futuri flussi finanziari),

oppure

b. è assimilabile ad una commissione, di retrocessione [29], percepita dal cliente (e che genera ricavi da un’operazione finanziaria, quasi un “prezzo della scommessa” tesi autorevolmente proposta da Girino); a prescindere dalle tematiche suindicate, su questo punto non possono esserci dubbi sin dal livello contrattuale.

Si tenga presente che il costo dell’operazione con cui si chiude una precedente dovrebbe in qualche modo potersi definire a prezzi di mercato perché, diversamente, il cliente potrebbe provare a chiedere la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità o, peggio ancora, la rescissione per lesione (al di là del mancato rispetto della disciplina sulla formazione del prezzo visto che si opera sull’o.t.c. cioè over the counter).

Ecco perché l’ipotesi della commissione (o di un incentivo) sembra ben difficilmente sostenibile con la inevitabile, direi, conseguenza della prevalenza, sia in dottrina che in giurisprudenza, della tesi che vede nel riconoscimento dell’up front una forma di finanziamento (con conseguente obbligo futuro di restituzione).

3. L’up front – aspetti contabili, fiscali e di Vigilanza

La prevalente giurisprudenza nota che si è occupata dell’up front sotto il profilo della causa del contratto è giunta a definirlo come una anticipazione attualizzata di incassi futuri, soluzione che può essere anche vista come rettificativa della ipotesi sopra formulata sub. a. In ogni modo, configurato l’up front come un finanziamento, ne derivano delle conseguenze fiscali non di poco conto, i primi dei quali che vengono alla mente sono l’esposizione in bilancio degli interessi e la sottoposizione ad imposta sostitutiva.

Sotto il profilo fiscale, viene definito il concetto di copertura e viene introdotto il principio di simmetria [30]; sinteticamente, un’operazione ha finalità di copertura se è definita come tale in bilancio e, in tal caso, il fisco non può sindacarne il merito. Del criterio contabile IAS si è già detto in precedenza in relazione alla individuazione del fair value e conseguenze connesse. A ciò si aggiunga quanto verrà detto in seguito con riferimento agli accordi di ristrutturazione.

A livello di Vigilanza, l’argomento non risulta essere stato disciplinato in modo esattamente tempestivo e particolarmente dettagliato, almeno per il passato; per quanto concerne la banca d’Italia, si rilevano essenzialmente tre interventi: un primo provvedimento [31] in tema di informativa di bilancio e fuori bilancio per poi giungere ad un secondo che invitava gli intermediari ad un critico giudizio di autovalutazione [32] in relazione alla nuove disposizioni in materia di controlli interni ed un terzo, più recente, integrativo del precedente [33]. Ciò non significa che la banca d’Italia si sia disinteressata della materia; più verosimilmente, nell’evoluta concezione della vigilanza prudenziale, ha inizialmente ritenuto di non intromettersi nella libertà di impresa che le banche dovrebbero avere. La domanda che ci si pone è quanto opportuno sia stato questo atteggiamento anche alla luce delle recenti e brucianti polemiche sul ruolo della Vigilanza nei noti scandali finanziari. Ciò che è certo è che, se avesse voluto, la banca d’Italia avrebbe avuto tutti gli strumenti per poter intervenire a disciplinare questo settore del mercato [34]. E, in effetti, nel marzo del 2006, la banca d’Italia ha emanato una specifica disciplina in materia di requisiti organizzativi delle banche per l’attività in derivati su crediti [35] imponendo una specifica funzione organizzativa tenuta a verificare l’efficacia della contrattualistica utilizzata sottolineando l’accentuata rischiosità di tipo legale di questi contratti senza, però, entrare nel cuore del problema sopra accennato. Solo con il provvedimento dell’agosto 2007 la Banca d’Italia ha fatto cadere ogni velo coinvolgendo i collegi sindacali in quest’opera di verifica non più solo formale; e, finalmente, sono partite le prime indagini [36].

Per quanto concerne la Consob non è che le cose cambino di molto; anche qui, lo stallo, dopo alcuni anni dalla comunicazione sopra richiamata, forse risente dall’ancora incerto orizzonte in cui si proietta che recentemente sembra avere una precisa indicazione di indirizzo [37]. Da ultimo, con comunicazione n. 9019104 del 2.3.2009 pronunciandosi sui prodotti finanziari illiquidi (derivati o.t.c., oltre a prodotti assicurativo-finanziari) la Consob ha fissato 4 “paletti” che l’intermediario deve rispettare [38]:

  1. rispetto stretto della best execution
  2. agire in modo equo e professionale per servire al meglio il cliente
  3. trasparenza prima e dopo la conclusione del contratto con indicazione distinta (scomposizione) [39] dei differenti costi, anche occulti, e del fair value (valore corretto) da cui discende la corretta comprensione del metodo di pricing; è del tutto evidente che in questa sede emerge la criticità della evidenziazione dell’ up front
  4. verifica dell’adeguatezza (o dell’appropriatezza) dello strumento (con particolare riferimento all’orizzonte temporale dell’investimento).

4. La causa dell’up front

La “causa” giuridica [40] dell’up front (da non ritenere esattamente coincidente con la causa del contratto derivato) rappresenta un problema caldissimo in ordine all’analisi del quale – salvo errore – c’è ancora un certo vuoto anche a livello dottrinale salvo recentissimi contributi).

La concreta difficoltà di distinguere esattamente tra causa del contratto e motivo ma, soprattutto, tra causa del contratto e causa dell’erogazione dell’ up front, è di tutta evidenza. Inoltre, la tematica della causa verrà verosimilmente sempre più esaminata alla luce del recente orientamento della Cassazione nell’ottica della causa in concreto (o concreta) [41] con conseguenti possibili decisioni di nullità del contratto. Infine, una funzione di copertura enunciata nel contratto individua una chiara causa dello stesso con la conseguenza che qualora il derivato dovesse rilevarsi di tipo speculativo dovrebbe essere dichiarato nullo per difetto di causa [42] con le connesse conseguenze sugli eventuali contratti di garanzia che lo assistono [43]. Per meglio comprendere il concetto, occorre chiedersi se siano stati prospettati al cliente, in via preventiva, gli scenari probabilistici [44] circa il possibile esito del contratto ? Questa è la domanda che scioglie il dubbio cui si allude ma la risposta è presto data: sembra fortemente improbabile che si sia fornita una benché minima prospettazione in questi termini almeno sino ad un recentissimo passato (anche perché nessuna norma, nemmeno di rango regolamentare, aveva mai imposto un simile adempimento). Su posizione diversa si pone il Tribunale di Vicenza [45] che ha dichiarato la risoluzione del contratto per grave inadempimento della Banca respingendo la domanda principale di nullità. Restando alla più generica causa del contratto, da un mero punto di vista civilistico, il contratto derivato o.t.c è un contratto di scommessa autorizzata ai sensi dell’art. 1935 c.c. in forza del richiamo contenuto nell’art. 1 TUF; la sua causa è ritenuta meritevole dal TUF e risiede nella creazione consapevole di alee, attraverso la scommessa. Ne consegue che tutti gli elementi dell’alea e gli scenari che da essa derivano integrano la causa tipica del contratto; a questo fine poco rileva la finalità di copertura o di speculazione così come gli scenari probabilistici che si possono ipotizzare. Il contratto di swap è una scommessa legalmente autorizzata, crea alee reciproche negoziali ed è inconcepibile che queste alee siano ignote ad uno dei contraenti ed estranee all’oggetto del contratto (da individuarsi, in modo preferibile, nello scambio di prestazioni ed il rischio ivi connesso); se però, una delle parti non conoscesse il grado di rischio assunto. ciò determinerebbe la nullità del contratto stesso perché gli obblighi informativi inerenti l’alea e la sua misurazione devono fare parte dell’accordo consapevole degli scommettitori [46]; in sintesi, l’investitore deve essere messo nella condizione di comprendere le probabilità di ottenere un risultato positivo affinché non venga esposto ad un rischio irrazionale [47] (c.d. alea razionale).

Più in particolare, si è osservato che la mancata indicazione del mark to market al momento della conclusione del contratto [48] consente all’intermediario-controparte del contratto stesso di occultare il proprio compenso costituito dai costi impliciti all’interno delle condizioni economiche dell’atto gestorio; ciò determina la nullità del contratto derivato anche in ragione del difetto di accordo sul requisito essenziale del compenso ex art. 1709 c.c. (che ne metterebbe in discussione la sinallagmaticità), oltre a rendere priva di giustificazione causale la stessa clausola che contempla l’eventuale erogazione dell’ up front al momento della conclusione del secondo contratto in quanto anche la misura in cui il finanziamento contribuisce ad integrare il riequilibrio del valore iniziale del derivato incide sulla causa di quest’ultimo [49]. Tutto questo trae origine dalla sentenza della Corte d’Appello di Milano del 18.9.2013 [50], di sicuro interesse, ma che lascia non poche perplessità per le conseguenze che ne derivano.

Schematicamente eccone riassunti i passaggi salienti:

  1. la banca è mandataria del cliente [51],
  2. la banca deve (sempre) prestare il servizio di consulenza quando è mandataria (anche se non è chiarissimo se si tratti della consulenza intesa come servizio di investimento),
  3. nell’ambito del mandato la banca deve assistere il cliente (si tratta, cioè, di un “ufficio” di diritto privato),
  4. il derivato o.t.c. è configurabile come una scommessa legalmente autorizzata (o tutelata),
  5. la causa tipizzante del derivato è la scommessa, cioè la creazione di una reciproca alea consapevole e razionale definita contrattualmente, parametrata e misurabile (che diventa elemento essenziale del contratto quale parametro di valutazione della causa); l’alea deve, quindi, essere comprensibile e razionale perché solo questa è riconosciuta giuridicamente,
  6. l’oggetto del contratto (cf. art. 1346 c.c.) è lo scambio di differenziali a certe scadenze,
  7. il cliente deve conoscere la percentuale di rischio (indici rilevatori ad hoc) per renderlo accettabile e controllabile e ciò rende meritevole di tutela il derivato ai sensi dell’art. 1322 c.c.[52],
  8. nel contempo vanno esplicitate al cliente sia il valore del derivato [53], sia l’esistenza di eventuali oneri impliciti sia il criterio di determinazione delle eventuali penalità in caso di estinzione anticipata,
  9. la banca deve, inoltre, produrre un’analisi di scenario (ancorché nessuna norma TUF, MIFID, Consob, al momento lo avesse imposto) [54].

Si va, conseguentemente, ben oltre il concetto di adeguatezza nell’accezione della MIFID, e in mancanza di tutto ciò, non c’è sinallagma e viene meno la causa, con la conseguenza, quindi che il contratto diventa nullo in base alle norme di diritto civile (e non del TUF) per violazione di regole di validità e non di comportamento (tutto questo articolato ragionamento servirebbe a superare (o aggirare ?) la posizione assunta della Cassazione a sezioni unite nel 2007 [55] che aveva fatto giustizia di una miriade di nullità dichiarate in sede di merito per violazioni, anche minori, di norme regolamentari. Infatti, si deve ricordare che, in un caso di swap, era stata dichiarata la nullità del contratto per violazione di norma imperativa intendendosi per tale la disciplina primaria (allora legge n. 1/91 e/o quella secondaria) [56]. Più recentemente – e logicamente – la Cassazione [57] aveva avuto modo non tanto di ricredersi quanto di togliere l’equivoco ingeneratosi tra alcuni interpreti stabilendo che l’inosservanza degli obblighi informativi non comporta la nullità del negozio (trattandosi, semmai, di inadempimento o causa di annullamento per conflitto di interessi non esplicitato) creando un chiaro contrasto all’interno della Corte. La questione, opportunamente inviata alle Sezioni Unite, è stata, come detto, risolta in senso contrario alla nullità, alla fine del 2007 affermando il principio secondo cui la violazione delle regole di condotta non comporta di per sé la nullità del contratto, ferma restando la possibilità che la nullità discenda da circostanze diverse di cui all’art. 1418 comma 2 c.c. Recentissimamente, con riferimento ad un IRS con barriera proposto come prodotto di copertura del rischio di tasso, si è ribadito che per quanto riguarda la condotta degli intermediari e le informazioni dovute, gli obblighi legali siano attratti nell’area del sinallagma contrattuale in modo che la loro violazione comporti la risoluzione del contratto ex art. 1455 c.c. [58] Similare si rinviene altra decisione di merito che taccia di inadempimento ai sensi dell’art. 21 TUF la mancata comunicazione del mark to market iniziale [59]. Ma il tema non può dirsi chiuso. Autorevolissima dottrina ha riproposto all’attenzione la “forza espansiva della nullità” che fa rientrare la nullità sotto il profilo della violazione di norme imperative di ordine pubblico o del buon costume richiamando, come esempio, il derivato rinegoziato tramite up front [60].

Solo una considerazione, a margine di questa ricostruzione: l’ up front si pone come causa del contratto o come oggetto o per meglio dire, come parte non esplicitata dell’oggetto in quanto inserita (e spesso nascosta) nella prestazione di restituzione? Ecco perché assume grande rilevanza l’ MTM. Questa prospettazione non sembra essere stata ancora fatta propria in dottrina ma non pare destituita di fondamento.

5. L’up front nella giurisprudenza

Indubbiamente, l’up front costituisce un efficace indicatore della presenza di un rischio connaturato alla struttura contrattuale ed impone all’intermediario un particolare dovere di consulenza fedele atteso che l’obbligo di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza deve ritenersi insito al contratto di intermediazione finanziaria; idem dicasi per i costi impliciti per i quali spetta l’azione di ripetizione ex art. 2033 c.c. [61].

Dell’up front si è occupata una certa giurisprudenza che ha visto quale parte l’ente pubblico. Il Tribunale di Milano [62] ha dichiarato la nullità del contratto per contrarietà all’art. 3 del DM n. 389/2003 [63] per difetto di causa concreta riconoscendo fortemente speculativo un derivato che, viceversa, doveva rispettare i limiti citati. Il Tribunale di Pescara [64] facendo riferimento alle commissioni implicite ne ha in via preliminare escluso la legittimità da un punto di vista causale; trattandosi di contratti aleatori di scambio a base commutativa la cui causa risiede nello scambio di pagamenti assunti con due parametri differenti nell’ambito dei quali è previsto il meccanismo dell’up front in favore della parte onerata dell’IRS non “par” quale indice di rischiosità del prodotto ed anche corrispettivo da pagare per uscire dal contratto, non vi è spazio per il riconoscimento di un lucro costituito dalla differenza tra l’MTM di stipula del nuovo contratto al netto dell’estinzione del MTM di chiusura dell’eventuale contratto rinegoziato. Tra l’altro, ogni commissione implicita (differenza tra il fair value al valore corrente e quello al momento della stipula) sarebbe in contrasto con i principi che improntano il ricorso allo strumento derivato da parte degli Enti locali la cui finalità può essere unicamente quella di assicurare all’Ente la copertura dell’indebitamento (oltre ad essere in contrasto con gli obblighi di correttezza e trasparenza di cui all’art. 21 TUF). Quindi, anche dal lato del diritto amministrativo, l’up front ne esce qualificato come finanziamento. Nondimeno, si pone il fondato dubbio se, in ottica processuale, sia lecita una CTU esplorativa finalizzata ad accertare l’esistenza di commissioni implicite non preindividuate dall’attore (nega tale legittimità Trib. Torino, 20.1.2016 n. 316, Giudice Martinat) [65].

Più recentemente, il c.d. “decreto blocca derivati” ha stabilito senza ombra di dubbio che l’up front incassato dall’ente locale è indebitamento (assimilabile alla stipula di un mutuo), a seguito dalla legge finanziaria 2009 (legge n. 203/2008) che ha riscritto, in chiave fortemente imperativa, l’art. 62 del D.L. n. 112/2008 [66] . E da qui non ci si è mossi se non per precisare che, in presenza di un eventuale up front questo debba essere classificato come forma atipica di indebitamento e vada impiegato esclusivamente per sostenere spese di investimento e che sia costituito un fondo per far fronte agli eventuali oneri del derivato stesso [67].

I punti salienti risultano quindi essere i seguenti:

  1. è sospesa, sino all’entrata in vigore di una disciplina di secondo livello la stipula di contratti derivati da parte di enti pubblici (anche i semplici plain vanilla e, comunque, quelli di mera copertura)
  2. il contratto dovrà essere scritto in lingua italiana (era ora !) in modo che la dichiarazione di avvenuta presa conoscenza dei rischi non sia solo formale
  3. sarà possibile dare corso ad operazioni di ristrutturazione del contratto derivato “vecchio” se ciò è coerente con la passività rinegoziata
  4. viene fissata una durata minima (5 anni) ed una massima (30 anni) dei debiti e, conseguentemente dei derivati di loro copertura
  5. l’efficacia del contratto derivato è subordinata all’invio da parte dell’ente pubblico del testo negoziale al Ministero per un controllo di merito
  6. il mancato rispetto di quanto sopra comporta ex art. 3 comma 5 la nullità del contratto (si tratta di una nullità relativa, cioè che può essere fatta valere solo dall’ente). 

In sostanza, attraverso quello che è stato definito un “procedimento aggravato di formazione” [68], è stabilita l’esclusione del ricorso al derivato per finalità speculativa, cioè svincolata dalla rimodulazione di un debito, e si introduce un limite massimo consentito; più in particolare, in presenza di indebitamenti in divise diverse dall’euro è stato posto l’obbligo della copertura del rischio di cambio attraverso un contratto di swap mentre sono consentite operazioni in derivati per incidere sul rischio di tasso [69].

Si segnala, infine, la non recentissima decisione, ma di sicura importanza, in base alla quale l’up front incassato da un Comune a fronte di un contratto minusvalente ristrutturato deve essere accantonato ad un apposito fondo e non può essere destinato a copertura delle spese correnti [70]. In epoca più recente [71] si è enucleato (ma anche recuperato) il concetto di “causa in concreto” per giungere a dichiarare la nullità del contratto derivato di rinegoziazione il quale è stato percepito dal giudicante sempre più debolmente legato alla sua causa originaria (copertura di un rischio di natura sostanziale) e sempre più pericolosamente vicino a finalità (inevitabilmente, ndr.) strettamente speculative. Prima di chiudere sul punto, si richiama una recentissima sentenza [72], definita vero e proprio vademecum sugli swap per gli enti locali ma da ritenersi valida in via generale, la quale ha tracciato un quadro molto puntuale ed aggiornato delle varie tematiche che si sono sinora incontrate e su cui ci si imbatterà anche in un prossimo futuro:

  • lo swap è una scommessa ad alea razionale (e bilaterale);
  • in tema di contratti di swap stipulati con enti pubblici, la clausola di up front costituisce, proprio in ragione della sua natura aleatoria, una forma di indebitamento attuale o potenziale quale anticipazione di una parte dei differenziali positivi attesi
  • ai contratti di swap stipulati con enti pubblici è applicabile la disciplina civilistica che regola il tipo contrattuale in questione ma anche la normativa, eventualmente più restrittiva, di natura amministrativa che regola le forme di indebitamento di detti enti;
  • le delibere di accensione di contratti di swap stipulati dal Comune devono essere adottate dal consiglio comunale, in quanto relative a spese che impegnano i bilanci degli esercizi successivi, ipotesi, questa, che ricorre soprattutto nel caso in cui detti contratti prevedano clausole di up front;
  • sono nulli i contratti di swap stipulati da enti pubblici qualora dai contratti stessi o dagli atti amministrativi presupposti non risulti che l’indebitamento in essi insito sia stato contratto per finanziare spese di investimento essendo questa l’unica modalità consentita dagli articoli 30 comma 15 della legge n. 289/2002 e 202 TUEL;
  • dai contratti di swap con enti pubblici o dagli atti amministrativi ad essi presupposti deve emergere la causa concreta dei negozi che non può prescindere dall’indicazione del MTM, dai costi impliciti e dal criterio di identificazione del costo di sostituzione;
  • conseguentemente deve essere ben chiaro il rapporto di correlazione con l’indebitamento sottostante, in assenza del quale il contratto non può dirsi di copertura con il rischio di nullità per carenza di causa [73],
  • ma, soprattutto, l’ up front incide sull’elemento causale essendo destinato a coprire in tutto o in parte il costo di sostituzione della precedente operazione contestualmente estinta.

Non va, infine, dimenticato che esiste una possibile “contaminazione” tra contratti, soprattutto in caso di rinegoziazione. Infatti, in virtù del collegamento negoziale esistente tra più contratti derivati ove i successivi costituiscano la rinegoziazione dei precedenti, si deve ritenere che l’inadempimento dell’intermediario ai doveri ed alle regole di condotta di cui all’art. 21 TUF, anche nei confronti di operatori qualificati, si ripercuota sull’intero rapporto intercorso con il cliente in termini di danno cagionato [74] .

6. L’up front in ambito concorsuale

Gli aspetti che maggiormente meritano una riflessione sono diversi: l’effetto del fallimento di una delle parti sul contratto derivato in corso, la compensazione e gli accordi di close out netting [75], l’estinzione anticipata del contratto e l’applicabilità della revocatoria. Essendo difficile trattarli in modo separato vediamoli in una visione di interazione.

Partiamo dalla compensazione e close out netting. Già l’orientamento giurisprudenziale anteriore al TUF aveva lasciato immaginare la scelta del legislatore. Si era affermato che il contratto di option, sia su futures che su valute, andasse inquadrato tra i contratti di borsa a termine cui si applica l’art. 76 l.f. con la conseguente risoluzione al momento dell’apertura della procedura concorsuale [76]. Inoltre, l’opzione su valuta era stata definita come inquadrabile tra i contratti di borsa a premio sicché, in caso di fallimento, si sarebbe determinato lo scioglimento del rapporto e l’anticipazione della scadenza dell’opzione medesima in modo che il calcolo del tasso di cambio operasse con riferimento alla data dell’apertura della procedura [77].

L’art. 203 del TUF (in tema di contratti a termine) aveva reso applicabile, tra l’altro, ai contratti derivati l’art. 76 della l.f. [78]; ciò comporta che per (tutti) detti contratti [79], conclusi ma non ancora eseguiti, il creditore della parte insolvente alla data di apertura della procedura non viene più pagato in moneta fallimentare se non per l’eventuale differenza tra il prezzo pattuito ed il valore del contratto alla data di ammissione al passivo [80].

Inoltre, nella pendenza del termine, si ha una anticipata scadenza del contratto piuttosto che una risoluzione anticipata come impropriamente dice la legge; se, invece, il termine fosse già scaduto si renderebbe applicabile l’art. 72 della l.f. [81] al quale va riconosciuta una portata generale e che consente al curatore di optare tra il diritto di subentro o lo scioglimento del contratto.

Ma ciò che maggiormente rileva è che viene affermato il principio della definitività delle operazioni già regolate (quindi ivi comprese anche le compensazioni effettuate) aventi ad oggetto strumenti finanziari ex artt. 68 (sistemi di garanzia dei contratti e 70 (compensazione e garanzia delle operazioni su strumenti finanziari) del TUF [82].

Il sistema delle revocatorie entra in gioco essenzialmente per i contratti derivati non uniformi, cioè per quelli trattati sull’o.t.c. e, considerato quanto appena detto, per i soli contratti posti in essere nell’anno (prima della riforma sarebbe stato il biennio) al ricorrere degli elementi che individuano le prestazioni sproporzionate. Per quelli posti in essere negli ultimi sei mesi (prima della riforma sarebbe stato nell’anno), se esauriti, potrebbe invece trovare conferma la definitività applicandosi a quelli pendenti la scadenza anticipata o la disciplina ordinaria.

Sul punto, la (salvo errore) totale assenza di giurisprudenza lascia aperto il campo alle diverse possibili soluzioni: vediamo quali.

Se si pensa che la definitività opera nei soli mercati regolamentati ex art. 2 d. lgs. 201/2001, si dovrebbe propendere, nell’o.t.c., per l’applicazione del sistema fallimentare ordinario temperato, peraltro, dall’applicazione del meccanismo compensativo [83] secondo la tesi che non distingue tra mercati regolamentati e non; viceversa, sarebbe limitato ai soli derivati uniformi, secondo la prospettazione selettiva che trova – tra l’altro – conferma con la recente riforma del 2011.

Detto questo in generale, occorre riflettere sul particolare caso del derivato di ristrutturazione ove, attraverso la nuova operazione viene chiusa, anticipatamente o meno, la precedente inglobando la perdita così non espressa tramite il riconoscimento dell’up front.

Se è vero che questa tecnica serve a differire nel tempo l’emersione di quello che sarebbe un costo che non si vuole subire e spesare immediatamente (“spalmandolo” sui futuri esercizi) o se, peggio ancora, dal meccanismo negoziale emergesse che il cliente non sarebbe in grado di fare fronte alla propria obbligazione di pagamento verso l’intermediario, ne discende, in modo abbastanza prevedibile, la conseguenza. Sotto il profilo contabile, ciò che emerge, è che è stato estinto un debito creandone un altro (normalmente maggiore quanto meno per il debito complessivo che si dovrà rimborsare). Sia o meno novazione, a questi fini, il cliente ha percepito un accredito che costituisce una rimessa revocabile (in quanto pagamento), almeno se corrisposta nel semestre antecedente (o nel biennio [84] in caso di estinzione anticipata del primo contratto) la dichiarazione di fallimento in piena applicazione dell’art. 67 comma 2 della legge fallimentare con onere probatorio a carico del curatore.

Altro possibile scenario è rappresentato dall’applicazione dell’art. 67 comma 1 n. 1 per gli atti sproporzionati (ora individuati quantitativamente nel 25%) all’interno dei quali si colloca sicuramente l’operazione di ristrutturazione con erogazione di un up front > del 25%.

Relativamente a questa ipotesi, richiamato il frequente, e già citato, contenuto opzionale dei contratti derivati, occorre avere a mente che nel caso di revocatoria fallimentare ex art. 67 comma 1 di un contratto stipulato in virtù di un patto di opzione, l’accertamento dei presupposti della revocatoria – quindi, della sproporzione tra le prestazioni e della scientia decoctionis – deve essere compiuto facendo riferimento alla data di accettazione dell’opzione (intesa come proposta irrevocabile di una parte cui corrisponde la facoltà dell’altra di accettarla, o, più correttamente, di esercitarla) [85]. Di passaggio, si nota che – con riferimento all’opzione – secondo una giurisprudenza un po’ datata, la sua negoziazione si pone tra la disciplina civilistica (art. 1331 c.c.) e la legislazione speciale con evidente prevalenza della seconda senza, peraltro, che si possa escludere la generale disciplina in tema di contratti [86].

Ancora da sviluppare è la questione se si applichi ai derivati negoziati sull’o.t.c. l’esenzione dalla revocatoria ove si possa configurare un pagamento nei termini d’uso; la cosa è sicuramente ipotizzabile in sé ma sembra da escludersi per lo specifico caso della ristrutturazione. Solo un accenno al fatto che quanto detto sopra non trova applicazione in ipotesi di concordato preventivo; il contratto derivato in essere prosegue tra le parti senza alcuno scioglimento “legale” e questo trova anche spiegazione nel fatto che, post riforma fallimentare, il concordato, nelle sue diverse articolazioni, non è più una procedura essenzialmente liquidatoria ma finalizzata alla prosecuzione di impresa (non a caso l’art. 160 chiede la presentazione di un piano). In questo scenario si è inserita la recentissima riforma contenuta nel c.d. decreto sviluppo. Come noto, l’imprenditore che chiede l’ammissione al concordato preventivo (anche in bianco o con riserva di presentazione del piano) ha la possibilità di chiedere di sciogliere o sospendere oppure proseguire i contratti in corso alla data del ricorso in base alla sua convenienza con evidenti impatti sulla operatività delle clausole di close out netting (o anche di netting of payments). La materia è ancora molto fresca per cui, in assenza di giurisprudenza specifica, la questione è a dir poco opinabile. Non a caso, si è stabilito che in presenza di un concordato in bianco il tribunale possa disporre la sospensione di un contratto di swap (e di anticipazione) allo scopo di evitare che la banca possa opporre in compensazione altri crediti maturati [87]; nondimeno, copiosa giurisprudenza sottrae agli effetti dell’eventuale sospensione (provvedimento di per sé di natura transitoria e finalizzata allo scioglimento) le cessioni di credito e anche particolari accordi negoziali secondo cui la banca sia autorizzata ad incassare e compensare o ad annotare in conto o altra formulazione equivalente [88]. Un caso molto interessante è stato affrontato dal Tribunale di Varese [89]; si trattava di valutare la richiesta presentata dall’impresa che aveva avanzato una domanda di concordato in bianco con finalità di concordato in continuità ed avente ad oggetto lo scioglimento e/o la sospensione di contratti di leasing, di swap e di anticipazioni bancarie. Di passaggio si nota preliminarmente come sia controversa l’applicabilità al concordato con riserva dell’istituto dello scioglimento [90]. Venendo ad esaminare la sospensione, rilevato che la sospensione riguarda un contratto di leasing il cui rischio di tasso è “coperto” da un contratto di swap nell’ottica di chiederne una rinegoziazione finalizzata all’eventuale prosecuzione mentre la sospensione del contratto di anticipazione è finalizzata ad ottenere dagli organi della procedura l’eventuale scioglimento al fine di rendere inefficaci le clausole compensative che avrebbe consentito alla banca di incamerare crediti anche non ceduti, il Tribunale ha concesso la sospensione per 60 giorni.

A prescindere dal fatto che il contratto derivato verrà visto con sospetto da parte della banca in un’ottica di prosecuzione, come si coordina poi l’operatività di detta clausola (la cui ratio è comprensibilissima) con il principio di continuità dei contratti ? Si ritiene che dovrebbe, ragionevolmente, cedere di fronte al dettato dell’art. 169 bis salvo che non sia contenuta all’interno di una garanzia finanziaria ex art. 7 del D. lgs. n. 170/2004 che – per motivi di specialità – sembra poter prevalere sulla norma concorsuale, stante il mancato richiamo dell’art. 203 del TUF all’istituto concordatario. Tema affascinante da esplorare a fondo anche perché il derivato si pone, in altra prospettiva, come un contratto verosimilmente collegato rispetto a quello di credito quantomeno nell’ipotesi in cui dovesse svolgere ab origine una funzione di copertura [91].

A margine della questione, con riferimento ai derivati di copertura connessi a successivi accordi di ristrutturazione, bisogna valutare il grado di copertura e cioè occorre mettere in relazione il fair value dello strumento di copertura con il sottostante coperto: se il rapporto percentuale sta all’interno di un range compreso tra l’80 ed il 125 % ai fini del trattamento contabile permane la valutazione di derivato di copertura, in caso contrario, le variazioni del fair value, in sede di bilancio, andranno scritturate al conto economico.

Altro rischio connesso alla rinegoziazione è quello, cui si è già fatto cenno, della natura novativa (si pensi al caso in cui il contratto di ristrutturazione vada a chiudere un precedente contratto con esposizione a carico del cliente della banca); è del tutto evidente che, se esistono garanzie che assistono il primo contratto, l’eventuale novazione determina, per poco che sia, il decorso di un nuovo termine ai fini dell’opponibilità della garanzia alla procedura concorsuale che venisse successivamente dichiarata (se non addirittura il venir meno della garanzia stante il generale principio di accessorietà della stessa rispetto all’obbligazione garantita).



[1] In realtà, la definizione data è un po’ grossolana visto che se la si riconduce al testo dell’art. 203 TUF, che rimanda all’art. 76 l.f., andrebbe individuato come il costo di sostituzione degli strumenti finanziari e non un vero e proprio prezzo di mercato (U. PATRONIGRIFFI, L’oggetto dei contratti su derivati nella giurisprudenza più recente in Riv. Dir. Banc., dirittobancario.it, 38, 2016).

[2] Trib. Terni, sez. penale, ord. 8.2.2012 in I Contratti, 2012, 349 con nota critica di M. RUGGIe G. SETTANNI. Secondo questa decisione, l’up front assume la veste di riequilibratore del contratto; nello specifico, il GIP ha approfondito la mendace affermazione sulla rischiosità dell’operazione conclusa (che vedeva come controparte un Comune) nell’ottica dell’accertamento circa l’esistenza o meno della truffa contrattuale secondo l’orientamento seguito dalla Cassazione con sentenza 15.10.2009 n. 43347.

[3] E, in proposito, sembra opportuno che la banca, in sede di perfezionamento del rapporto, si faccia dire quale sia il rischio che si vuole neutralizzare; in tal modo potrà verificarsi in concreto la finalità di copertura e l’idoneità dello strumento concretamente utilizzato a detta finalità. Sul punto, si è precisato come per poter stabilire la sussistenza della finalità di copertura occorre verificare la coerenza con le caratteristiche dell’esposizione del cliente per quanto attiene gli importi, la durata, la divisa ecc. Non è quindi congruo, nonostante la congruità del nozionale (capitale di riferimento) all’esposizione debitoria del cliente un derivato stipulato per una durata (7 anni) quando il cliente abbia solo esposizioni a breve termine. Ciò comporta la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1455 c.c. per grave violazione dei principi di diligenza, correttezza, trasparenza e buona fede, con annesso risarcimento del danno commisurato alla differenza tra differenziali positivi e negativi (Trib. Milano, 18.5.2015 est. Stefani consultabile sul sito www.ilcaso.it).

[4] M. FRISONE, Derivati, così la perdita va in bilancio, in Il Sole 24 OrePlus, 10 marzo 2007 ove si evidenzia chiaramente che in base ai vigenti principi contabili, per i derivati speculativi è necessario accantonare a fondo rischi le perdite maturate alla chiusura di esercizio con problemi di deducibilità fiscale di detti accantonamenti.

[5] La rinegoziazione di un derivato aumenta l’esposizione al rischio del cliente e perciò, lungi dall’avere natura “assicurativa”, determina la natura speculativa dello strumento finanziario (Trib. Vicenza, 29.1.2009, est. Limitone consultabile sul sito www.ilcaso.it); il Trib. Milano, con decisione n. 5118/2011, ha dichiarato la nullità di tre “collar” stipulati nel 2006 con il Comune di Ortona sul presupposto che al momento della loro sottoscrizione i contratti avevano un valore negativo per il Comune che non ne era stato avvisato e, per di più, non era nemmeno stato compensato con un up front; nello specifico, la mancata informazione è stata ritenuta in contrasto con l’art. 41 della legge 447/2001 (Swap, costi occulti condannati, in Il Sole 24 OrePlus, 21.4.2011). Anche la Corte di appello di Torino, sentenza 22.4.2016 in dirittobancario.it, confermando il Trib. Torino 17.1.2014 (inPlus, 8,2.2014), sostiene che se il contratto di swap presenta al momento della sua sottoscrizione un flusso (valore) negativo non dichiarato ed è privo degli scenari probabilistici determina uno squilibrio iniziale per cui viene a mancare la causa concreta del negozio (cioè la funzione concretamente svolta dal contratto) il che non può non essere valutato ai sensi dell’art. 1418 cc. (nondimeno, la consapevolezza piena da parte del cliente circa i rischi dell’operazione e la connotazione dello swap dovrebbero salvare la causa e adempiere all’onere informativo n.d.r.).

[6] G. ROSSI, Il conflitto epidemico, Adelphi, 2003; la definizione è di Warren Buffet e risale al 2002.

[7] L’effetto leva comporta una operatività per importo maggiore del capitale al fine di moltiplicarne il rendimento o la perdita. La Cassazione, sentenza del 31.8.2016 in dirittobancario.it , ha confermato un suo precedente orientamento rilevando come si tratti di operazione altamente rischiosa tale da rendere (automaticamente) più pregnante l’obbligo informativo negando che una informazione del tipo “rischio di perdite non quantificabili” soddisfi al citato criterio.

[8] La banca d’Italia (Comunicato del 3.6.2015) ha calcolato, su un campione di banche che rappresenta più del 90% del mercato dei derivati o.t.c. in Italia a fine 2014, che la componente principale dell’aggregato è costituita dagli interest rate swaps che pesano per oltre il 75% del totale in termini di valore nozionale e di oltre il 63 % sul totale di tutti i derivati per un controvalore di circa 190 miliardi di dollari. I saldi sono comunque in riduzione negli ultimi 6 mesi nei bilanci delle banche del 15%.

[9] E, se il sottostante fosse un fondo comune di investimento, potrebbe succedere – ad esempio – una diversa percentuale di investimento nel fondo stesso.

[10] Il che significa, per la maggior parte delle banche e delle imprese in generale, a partire dal 2006. Si tratta, quindi, di un sistema oramai collaudato. I derivati, usualmente, si suddividono in: a. derivati finanziari, b. derivati creditizi; i primi sono quelli definiti dal TUF (e vi rientrano anche quelli su merci dopo che la Consob, in data 6.7.2015, ha notificato all’ESMA l’intenzione di conformarsi alle linee guida da questa emanate rendendo così uniforme l’applicazione del Regolamento UE n. 648/2012 sui derivati o.t.c.); i secondi sono, invece, quelli che trasferiscono il rischio di credito (come i credit default swap o CDS che fanno pensare all’assicurazione del credito). Secondo lo IAS 39 il derivato è tale se ha i seguenti requisiti: a. il suo valore si modifica al variare di tassi, indici, merci o strumenti finanziari, b. non richiede sensibili investimenti iniziali, c. è regolato ad una scadenza futura.

[11] P. POGLIAGHI, W. VANDALI, C. MEGLIO(a cura di), Basilea 2, IAS e nuovo diritto societario, Bancaria Editrice, 2004; lo scenario normativo è mutato il 13.10.2008 quando lo IASB ha approvato le modifiche agli IAS/IFRS in tema di riclassificazione degli strumenti finanziari modificando il metodo di determinazione del fair value in situazioni di crisi dei mercati finanziari (sterilizzando o sospendendo il criterio di valutazione al 1° luglio 2008).

[12] Affinché al contratto derivato possa essere riconosciuta una finalità di copertura è necessario che vi sia una stretta correlazione tra: 1. Il nozionale del contratto derivato ed il complessivo debito oggetto di copertura, assunti nell’importo originario e via via in quello residuo nel tempo, 2. Il tasso applicato sul debito e quello utilizzato nell’IRS, 3. Le scadenze dei pagamenti del debito e quelle delle cedole previste dall’IRS, 4. La durata del debito e quella dell’IRS (Trib. Roma, 8.1.2016 est. Romano in www.ilcaso.it ).

[13] Vale a dire il prezzo che si incasserebbe o si pagherebbe per il trasferimento (acquisto o vendita) di una attività o passività sul mercato.

[14] N. BENINI, derivati e bilancio nel d. lgs. n. 139/2015: un lungo percorso verso la trasparenza consultabile su dirittobancario.it, ottobre 2015.

[15] Trib. Milano, 20 febbraio 1997 in Banca borsa titoli di credito, II, 1998, 82 ove si afferma la meritevolezza di tutela del derivato (nel caso di specie di uno swap) con funzione meramente speculativa oltre alla irrilevanza di un effettivo riferimento ad una realtà sottostante.

[16] Questo concetto è correttamente reso da GIRINO, op. cit., 185.

[17] Coll. Arbitrale Milano, 5.6.2015 citato in M. FRISONE, Swap, tutele anche per l’operatore “debolmente” qualificato in Plus, 27.6.2015. Per converso, è nullo il contratto di swap in cui l’incertezza circa l’andamento del differenziale viene in concreto a gravare solo la posizione del cliente. In materia di derivati swap, infatti, l’alea bilaterale costituisce elemento essenziale della causa: solo se entrambe le posizioni contrattuali risultano effettivamente soggette ad un’ apprezzabile componente di rischio, il contratto, nella sua struttura, supera il vaglio di meritevolezza ai sensi dell’art. 1322 cc.. In caso contrario, gli interessi in concreto perseguiti dallo stesso non possono dirsi meritevoli di alcuna tutela (App. Milano, 27.7.2016 in www.ilcaso.it ).

[18] Trib. Verona, 25.3.2013 in Giurisprudenza commerciale, 2014, II, 719 con commento favorevole di F. CAPUTONASSETTI.

[19] Cass. 17.5.2010 n. 11974 in I Contratti, 2010, 816 e Cass. 11.9.2014 n. 19161 in I Contratti, 2014, 1025.

[20] O anche up front fee, termine usatissimo nella prassi ma quasi sconosciuto in dottrina, almeno sino al 2006 (quasi per un certo senso del pudore). Si veda M. FRISONE, Derivati, così guadagna la mia banca, in Il Sole 24 OrePlus, 30 giugno 2007.

[21] Audizione del Direttore Generale della Consob presso il Senato – sesta commissione finanze e tesoro del 18.3.2009.

[22] Non a caso, uno dei testi considerati principe in materia – E. GIRINO, I contratti derivati, Giuffré – nella prima edizione, – non menziona minimamente il termine di up front o altro equivalente.

[23] Sentenza n. 192/2011 citata in Il Sole 24 Ore, 1 agosto 2011 la quale afferma “…gli importi incassati a titolo di up front hanno come unico scopo quello di compensare la perdita intrinseca che i contratti derivati presentano all’origine”.

[24] Nell’ottica di vigilanza ma, forse, anche nell’accezione del rischio di impresa ai sensi del D. lgs. n. 231/2001 sulla cosiddetta responsabilità amministrativa delle società e degli enti (anche se sembrerebbe mancare il cosiddetto reato presupposto, cioè la truffa ex art. 640 c.p. comma 1; potrebbe, peraltro, configurarsi un’ipotesi di concorso in falso in bilancio, ad esempio, per aver fornito valutazioni dei contratti “accomodate”).

[25] G. SCOTTICAMUZZI, I derivati, vere mine vaganti nel mare della finanza italiana, in Milano Finanza, 14 aprile 2004, 11.

[26] Trib. Torino, 17.1.2014 cit. consultabile anche sul sito www.ilcaso.it .

[27] Contra, Trib. Bologna, 14.12.2009 n. 5244 (ma rovesciata in appello, vedi infra) secondo cui il pagamento o corresponsione di un up front non modifica la causa commutativa (tesi decisamente minoritaria) del contratto di swap trasformandolo in mutuo, citata da A. MUSSARI, D. MONTI, A. MICOLI, Gli strumenti della crisi: I derivati finanziari, Nuova Giuridica, 2011, 296. Nella prospettiva del finanziamento, invece, potrebbe anche leggersi la recente disciplina sulla centrale dei rischi che impone la segnalazione dei contratti derivati negoziati sui mercati o.t.c. nei limiti del differenziale positivo dell’operazione (cioè il valore intrinseco), ovvero nell’entità del credito vantato dall’intermediario nei confronti della controparte alla data di riferimento della segnalazione al netto degli eventuali accordi di compensazione contrattuali stipulati tra le parti. Per un approfondimento dottrinale sulla natura dell’up front dei contratti IRS si veda S. SCOTTICAMUZZIin (a cura di D. MAFFEIS) Swap tra banche e clienti, Quaderni di Banca borsa e titoli di credito, Giuffré, 2014, 251 e ss.

[28] D. MAFFEIS (a cura di), Swap tra banche e clienti, I Contratti e le condotte, Quaderni di Banca borsa e titoli di credito, Giuffré, 2014, 240.

[29] Ma se sarà configurato come commissione di retrocessione la sua entità sarà di livello decimale, mai un valore del 5/10%.

[30] Con le modifiche introdotte al TUIR dal D. lgs. n. 38/2005 (c.d. decreto IAS); il principio di simmetria tende ad un risultato fiscale pari a zero. Per converso, i fondi accantonati a fronte dei rischi connessi a derivati di tipo speculativo non sono deducibili (nel caso di specie alla voce B 12); così ha stabilito la Commissione tributaria regionale del Piemonte con sentenza n. 59/ 2010 cit. in Il Sole 24 Ore, 1.11.2010.

[31] Risalente al 30 luglio 2002 anche se solo dal 2005 è stato possibile conoscere l’eventuale mark to market negativo riferito al fine mese.

[32] Dell’aprile 2006.

[33] Dell’agosto 2007 (solo con questa comunicazione si è focalizzata l’attenzione delle banche, tra l’altro, sull’ “analisi dei fabbisogni della clientela e la valutazione dell’effettiva capacità e consapevolezza di questa di comprendere i rischi associati ai derivati”).

[34] In realtà, con le istruzioni impartite con la circolare n. 262 del 22 dicembre 2005 in tema di bilancio bancario si è dettata una disciplina secondo cui – con riferimento agli strumenti finanziari derivati – si sono create delle tabelle tra cui spiccano quella che impone il dettaglio di acquisti e vendite di sottostanti (Tab. A3), quelle che distinguono i derivati o.t.c. con fair value positivo (A4) e negativo (A5), entrambi considerati dal punto di vista del rischio di controparte, e i derivati creditizi con fair value positivo (B2) e negativo (B3), il primo come rischio di controparte, il secondo come rischio finanziario. Ma siamo sempre nell’ambito delle mere esposizioni.

[35] Esaminando tanto l’attività di copertura quanto l’assunzione di autonome posizioni di rischio e l’attività di trading.

[36] CARABINI, Derivati: Bankitalia indaga su quattro istituti di credito in Il Sole 24 Ore, 7 novembre 2007.

[37] Sino a qualche tempo fa sembrava che la Consob potesse essere assorbita, in un’ottica di razionalizzazione delle autorità di controllo, nella (poi) abortita AMEF.

[38] M. FRISONE, Paletti Consob agli swap capestro in Plus, 7.3.2009.

[39] In gergo unbundling la cui mancata indicazione, secondo il Trib. Milano 13.2.2014, determina il risarcimento del danno a favore del cliente della banca (M. FRISONE, Senza clausole trasparenti il cliente non è tutelato in Plus, 5.4.2014).

[40] Cioè la ragione concreta.

[41] F. BESOZZI, La causa in concreto del contratto: un vero revirement ? in I Contratti, 2007, 1007 con riferimento alla sentenza 8.5.2006 n. 10490 di cui non sembra condividere in toto il decisum; su questo filone si è recentissimamente stabilito, ancorché in via di urgenza, che i contratti derivati frutto di rimodulazioni che incorporano le passività di precedenti swap sarebbero incapaci di realizzare la funzione di copertura del rischio e, conseguentemente, sarebbero nulli in quanto vi sarebbe verosimilmente un difetto genetico di causa concreta. In tal senso M. FRISONE, Swap nulli senza causa concreta in Plus, 11.9.2010 a commento di Trib. Bari, 15.7.2010, ord. citata in I Contratti, 2011, 244 ma, in precedenza, anche Trib. Bergamo, 4.5.2006, pure citato. Per la nullità a seguito di difetto di causa ex art. 1418 comma 2 c.c. in relazione alla inadeguatezza specifica di un interest rate swap squilibrato, vedasi Trib. Monza, 14.6.2012 n. 2028 consultabile sul sito dirittobancario.it. Per la nullità, in un caso di contratto con un ente pubblico, si è pronunciato anche il Trib. Milano, 6.4.2011 in Giurisprudenza commerciale, 2012, II, 449; in verità, la motivazione poggia su presupposti e su una perizia non propriamente convincenti. Ancora, Trib. Monza, 17.7.2011 n. 2028 (cit. in Plus, 6.10.2012, M. FRISONE, Swap nullo se non equilibrato secondo cui uno swap strutturato con tassi fissi crescenti in modo tale da rendere residuale l’ipotesi di un loro superamento da parte del tasso variabile, non può essere dichiarato di copertura e va conseguentemente dichiarato nullo perché strutturalmente inidoneo a svolgere la funzione indicata dalle parti in contratto, cioè di copertura, cioè hedging). Da ultimo, App. Trento, 3.6.2013 citata in Plus, 1.6.2013 (M. FRISONE, E’ nullo lo swap speculativo) e in Giurisprudenza commerciale, 2014, II, 62.

[42] A ciò si aggiunga che, sotto il profilo fiscale, ci potrebbe essere una ripresa a tassazione dei costi considerati come non inerenti qualora il rischio insito del contratto fosse maggiore del rischio dichiarato da coprire (e si è già visto qualche caso in concreto).

[43] In modo che il fideiussore è pienamente legittimato a fare accertare la nullità per contrarietà a norme imperative anche in presenza di un accordo transattivo o di ratifica sottoscritto dal debitore principale con il creditore (Trib. Roma, cit. 8.1.2016 consultabile sul sito www.ilcaso.it ).

[44] Che, invero, la disciplina Consob sui prodotti illiquidi aveva introdotto nel 2009 ma che è durata in vita lo spazio di un mattino. Circa la individuazione del concetto è opportuno richiamare quella che più sembra atta a focalizzare l’attenzione sul tema: secondo calcoli matematici e probabilistici lo scenario esprime una ragionevole stima di verificarsi di un evento (quindi misurazione delle probabilità) e non una certezza, e detta stima non consegue alla costruzione del prodotto finanziario ma la precede traducendosi, quindi, in una premessa genetica, il tutto nell’ottica della migliore comprensione del rischio insito in un investimento. da non confondere, poi, sono gli scenari di performance (what – if) i quali non misurano le probabilità di un risultato ma prospettano ciò che possa accadere in presenza di un dato avvenimento capace di distorcere il mercato (E. GIRINO, Gli scenari probabilistici fra contrasti e non contrasti normativi in Giurimetrica, 2016, n. 2, 4 e ss.).

[45] Sentenza 26.10.2012 in Plus24, 10.11.2012.

[46] App. Milano, 18.9.2013 consultabile sul sito www.dirittobancario.it commentata da M. INDOLFIin I Contratti, 2014, 218 e ss. ripresa in parte dai citati Trib. Torino 17.1.2014 e Trib. Ravenna, 8.7.2013.

[47] D. LOIACONO, Negli swap vanno indicati i rischi in Plus, 28.9.2013 a commento della sentenza sopra citata. Sul punto specifico, a contrariis, si è affermato che l’eventuale sbilanciamento delle alee, vale a dire la sproporzione tra il rischio assunto dal cliente rispetto a quello assunto dalla banca, non incida sulla validità del contratto purché ognuna delle parti, scommettendo, si assuma consapevolmente un grado sbilanciato di rischio (Trib. Milano, 9.3.2016 in www.ilcaso.it ). In ordine alle modalità di indagine circa la razionalità dell’alea e la conseguente valutazione razionale della scommessa v.Trib. Milano, ord, giudice Nobili, 14.12.2016 in dirittobancario.it , 2016.

[48] In tal senso, ancorché con decisione presa a maggioranza, cioè per mancanza di determinabilità dell’oggetto del contratto, già si era espresso Collegio Arbitrale, 4.7.2013 in Giurisprudenza Commerciale, 2015, II, 337.

[49] App. Milano, 18.9.2013 cit. inI Contratti, 2013, 1019. Ciò non significa, peraltro, che il valore iniziale del contratto di swap debba essere teoricamente nullo.

[50] In Banca borsa e titoli di credito, 2014, II, 278, ripresa poi da App. Bologna, 11.3.2014 (già citata), Trib. Milano, 13.2.2014 (secondo cui, però, il difetto di informazione è visto come una violazione di una regola di condotta), Trib. Torino 17.1.2014 in I Contratti, 2014, 385, e in Giurisprudenza commerciale, II, 2014, 277, Trib. Milano, 8.5.2014, Trib. Ravenna, Trib. Reggio Emilia. Del tutto contraria all’alea razionale, invece, sono il Trib. Milano, 28.1.2014 ed il Trib. Torino,18.4.2014 (quest’ultimo espressamente dice di “non aderire alle decisioni sulla valutazione della causa del contratto di IRS espresse ultimamente dalla Corte d’Appello di Milano (sentenza 18.9.2013) e dal Tribunale di Torino (sentenza 17.1.2014) e aggiunge che, solo laddove il contratto IRS sia stipulato a mero scopo speculativo, al di fuori della funzione legata all’attività imprenditoriale, risulta assimilabile alla scommessa”.

[51] Il c.d. contratto quadro è assimilabile ad un mandato (da ultimo si veda Cass. 10.4.2014 n. 8462 consultabile sul sito dejure.it).

[52] Sarebbe nullo lo swap in cui l’incertezza circa l’andamento del differenziale gravasse solo la posizione del cliente perché solo se entrambe le posizioni sono soggette ad un apprezzabile componente di rischio il contratto supera il vaglio di meritevolezza (App. Torino, ord. 27.7.2016 in www.ilcaso.it).

[53] E sul presupposto che l’investitore non sia stato a conoscenza al momento della conclusione del contratto del c.d. mark to market, cioè del valore di mercato, ciò determina la nullità del contratto stesso in quanto tutti gli elementi dell’alea e gli scenari che da essa possono derivare integrano la causa del contratto e devono – quindi – essere conosciuti ex ante (Trib. Torino, 17.1.2014 in I Contratti, 2014, 1012 con commento di M. INDOLFI). Conforme è il lodo arbitrale 4.7.2013 cit. in M. FRISONE, Swap nullo senza Mtm e scenari probabilistici in Plus, 15.11.2014 il quale, nel ribadire che l’indicazione del mark to market sia elemento essenziale del contratto aggiunge anche i modelli di pricing. Come rilevabile, anche questa decisione si inserisce nel filone segnato dalla Corte d’Appello di Milano. Da ultimo, il Tribunale di Milano, sentenza n. 7398 del 16.6.2015 giudice Ferrari ha sancito con la nullità il fatto che l’oggetto del contratto, vale a dire l’MTM, quale elemento essenziale del contratto non fosse determinabile con il riferimento alle quotidiane rilevazioni di mercato ex art. 1346 c.c., con la conseguenza che, per tale impostazione giurisprudenziale, sarebbe necessario che il contratto contenesse ed esplicitasse la formula matematica attraverso la quale consentire il calcolo del valore di mercato. Non solo ma ex art. 2747 bis c.c. la società nella nota integrativa di bilancio deve indicate il fair value, cioè il valore dello strumento finanziario, mediante l’MTM e ciò conferma che tale elemento sia una componente necessaria dell’oggetto del contratto. Questa decisione, pertanto, sposta il focus dalla causa all’oggetto del contratto, discostandosi così dalla linea tracciata dalla Corte d’appello milanese (M. FRISONE, Negli swap va indicato l’Mtm, in Plus, 20.6.2015). Il medesimo giudice, con sentenza 13.5.2016 ha dichiarato la nullità dei contratti derivati nei quali non sono stati dichiarati dalla banca i costi impliciti, costi impliciti di cui – si badi bene – non si afferma la illiceità ma se ne censura la mancata comunicazione, ed il mancato accordo negoziale, con la conseguente applicazione dell’art. 1418 cc. in quanto elemento essenziale del contratto (M. FRISONE, Alla provincia di Chieti il primo round sugli swap in Plus, 21.5.2016). Proseguendo su questo filone, Il Trib. Milano, 7.7.2016, giudice Ferrari, in www.ilcaso.it ha ulteriormente precisato che il mark to market sia la sommatoria attualizzata dei differenziali futuri attesi sulla base delle condizioni dell’indice di riferimento al momento della sua quantificazione e necessita di essere sviluppato attraverso un conteggio che, mediante il ricorso a differenti formule matematiche, consenta di procedere alla attualizzazione dello sviluppo prognostico del contratto sulla base dello scenario esistente al momento del calcolo dell’MTM; affinché lo stesso sia determinabile è quindi necessario che sia esplicitata la formula matematica alla quale le parti intendono fare riferimento per procedere all’attualizzazione dei flussi finanziari futuri attendibili in forza dello scenario esistente.

[54] A riprova di quanto detto, si segnala che la Procura Generale presso la Corte dei Conti, nel rendiconto generale dello Stato relativo al 2014, ha auspicato l’indicazione degli scenari probabilistici quali mezzo di gestione dei rischi ed assunzione di decisioni consapevoli in materia di derivati e garanzie prestate dallo Stato per queste operazioni. I gestori della finanza pubblica devono essere messi nella condizione di poter apprezzare la relazione esistente tra MTM e rischi probabilistici soprattutto in prospettive speculative che hanno raggiunto i 43 miliardi di perdite potenziali a fronte di 160 miliardi di valore nozionale (M. FRISONE, Corte dei Conti: sugli swap vanno indicati gli scenari in Plus, 4.7.2015).

[55] Sentenze 19.12.2007 n. 26724 e 26725 in Il Foro italiano, 2008, I, 784 con commento di E. SCODITTI.

[56] Cass., 7 marzo 2001 n. 3272 (ancorché in fatto emergesse che il contratto – uno swap – fosse intervenuto tra un cliente ed un intermediario abusivo).

[57] Cass. 29 settembre 2005 n. 19024 consultabile sul sito www.ilcaso.it .

[58] Trib. Milano, 15.5.2015, giudice Stefani in I Contratti, 2015, 702.

[59] App. Milano, ord. 24.4.2015 in Plus, 1.8.2015 che conferma Trib. Milano, 14.6,2014 n. 5913, giudice Ferrari.

[60] D. MAFFEIS, Episodi patologici della prassi bancaria e cause di nullità dei contratti bancari e di investimento in Rivista di diritto bancario, 2017, aprile, 4.

[61] Trib. Pescara, 3.10.2012 consultabile sul sito www.ilcaso.it .

[62] Sentenza del 14.4.2011 in Plus, 7.5.2011.

[63] che ha regolamentato l’accesso al mercato dei capitali (in particolare si veda l’art. 3 comma 2 f., operazioni in strumenti derivati) che limita all’1% del nozionale sottostante il massimo consentito dell’operatività, vale a dire l’up front. Ciò significa aver posto per legge un limite massimo all’indebitamento il cui superamento dovrebbe verosimilmente comportare la nullità del contratto.

[64] Sentenza del 24.10.2012 consultabile sul sito www.consultalex.it.

[65] In dirittobancario.it, 2016 .

[66] Il quale, tra l’altro, è stato oggetto di vaglio di costituzionalità con esito positivo (sentenza n. 52 del 18.2.2010 in I Contratti, 2010, 1109 con commento di A. BENEDETTI; il commentatore, tra l’altro, evidenzia come la pubblica amministrazione venga considerata, in relazione a questo tipo di contratti, parte “debole”, anche se “un po’ particolare”); con una prospettazione un po’ diversa si è affermato che l’up front si concretizza nella attualizzazione degli interessi, quasi uno sconto ma di per sé non è sufficiente a far definire automaticamente un mutuo il contratto che la contiene (Trib. Bologna, 14.12.2009 consultabile sul sito www.ilcaso.it ); questa decisione, come evidenziato in altra parte del presente lavoro, è stata rovesciata in appello.

[67] Corte dei Conti, sez. di controllo Lombardia, 26.10.2007 n. 596, in Rep. Foro Italiano 2007, 599.

[68] A. BENEDETTI, op. cit., 1120.

[69] Con la conseguenza che se un ente pubblico fosse indebitato a tasso fisso nessun derivato sarebbe lecito non essendoci alcun rischio di tasso da neutralizzare.

[70] Corte dei Conti – sezione regionale lombarda – delibera n. 596/2007 citata da M. FRISONE, Plus, 29 marzo 2008; nel caso di specie si definisce l’up front come un anticipo su eventuali future uscite utilizzabile eventualmente solo ad avvenuta chiusura dello swap.

[71] Tribunale di Orvieto, 13.4.2012, inedita, ripresa poi da Trib. Torino, 17.1.2014 cit. da M. FRISONE, I costi occulti annullano il derivato, in Plus, 17.1.2014.

[72] App. Bologna, 11.3.2014 n. 734, con commento di A. BERTI, consultabile sul sito www.ilcaso.it citata in Plus, 26.4.2014 in totale riforma del Trib. Bologna, 14.12.2009 pure citato in Plus del 13.2.2010.

[73] Trib. Verbania, 27 luglio 2015 cit. in M. FRISONE, Sono nulli i contratti derivati Otc che non coprono l’aumento dei tassi in Plus24, 5.9.2015.

[74] Trib. Milano, sez. VI, 23.3.2012 n. 3513, rel. Ferrari, in I Contratti, 2012, 900 con commento di F. AUTELITANO; nello specifico, il danno è stato quantificato nella sommatoria dei flussi di cassa negativi addebitati oltre ad interessi legali dalla domanda.

[75] Entrati a far parte dell’apposita disciplina nei contratti di garanzia finanziaria. In particolare, l’art. 1 lettera f) parla di due fattispecie, vale a dire: a. di clausola di interruzione dei rapporti e pagamento del saldo netto, b. di clausola di close out netting. Ciò dovrebbe indurre a ritenere che in questa ampia formulazione possa rientrare il patto (accordo) di compensazione se inserito in un contratto di garanzia finanziaria.

[76] Trib. Torino, 13 febbraio 1998 in Fallimento, 1998, 629.

[77] Trib. Torino, 23 gennaio1998 in Fallimento, 1998, 534. Secondo il Trib. Firenze, 3.2.2016, Giudice Ghelardini, l’intermediazione avente ad oggetto derivati su valute rientra nella disciplina del TUF (consultabile sul sito www.ilcaso.it).

[78] Per l’applicabilità dell’art. 76 allo swap v. E. GIRINO, op. cit., 385 il quale ritiene una soluzione di equità quella della scelta effettuata dal legislatore a favore dell’art. 76 l.f. in luogo dell’art. 72 l.f. in quanto evita il rischio del cosiddetto cherry picking(op. cit., 386). Per F. CAPUTONASSETTIl’applicazione analogica dell’art. 76 l.f. sarebbe stata possibile anche antecedentemente la modifica legislativa.

[79] A questi fini la norma associa (per analogia ?) il contratto di borsa ai contratti negoziati fuori borsa come tutti i derivati trattati nell’o.t.c. facendo così sfumare la possibile differenza data dai diversi luoghi di esecuzione dei contratti.

[80] M. LEMBO, Gli accordi di close-out netting in Diritto fallimentare, 2001, I, 1331.

[81] M. LEMBO, N. RAFFAEL, L’ISDA ed i mercati finanziari – Problemi operativi e di diritto fallimentare alla luce del nuovo testo unico sulla finanza in Diritto fallimentare, 1998, I, 621.

[82] La cui disciplina sta nel D. lgs. 12.4.2001 n. 210 successivamente modificato dal D. lgs. 24.3.2011 n. 48; in particolare, l’art. 2 stabilisce la definitività degli ordini di trasferimento e della compensazione dichiarati opponibili se immessi nel sistema, l’art. 4 stabilisce la decorrenza della irrevocabilità degli ordini e l’art. 8 tratta della realizzazione della garanzia nella procedura di insolvenza tramite un meccanismo di separazione patrimoniale operante sul solo presupposto della loro formalizzazione in epoca anteriore l’apertura della procedura.

[83] E. GIRINO, op. cit., 401.

[84] A far data dalle procedura dichiarate dopo il 17 marzo 2005; impropriamente si sostiene che in precedenza i termini sarebbero doppi ma in realtà è stato modificato l’art. 67 ma non l’art. 65 che mantiene il biennio.

[85] Cass., 10 ottobre 2003 n. 15142 in Giurisprudenza italiana, 2004, 2105; nel caso di specie si trattava di una compravendita di azioni; si ritiene – peraltro – che il principio possa (e debba) trovare conferma anche in ipotesi di contratto derivato.

[86] In tale ottica, Trib. Brindisi, 29 dicembre 2004 in Banca borsa titoli di credito, 2006, I, 355 ha stabilito che la violazione da parte del venditore di un opzione put dell’obbligo di fornire le informazioni essenziali relative al contratto rende del tutto indeterminata la prestazione oggetto del contratto medesimo e ne determina la nullità per contrasto con le norme imperative di cui agli artt. 1346 e 1418 c.c. Per converso, l’intermediario che abbia fornito all’investitore informazioni adeguate alla natura ed ai rischi del servizio di negoziazione oltre che sugli specifici rischi delle operazioni in derivati non è responsabile dei danni subiti da costoro (Trib. Roma, 17 dicembre 2004 cit., ivi, 355).

[87] Trib. Monza, 16.1.2013 consultabile sul sito www.ilcaso.it .

[88] Trib. Ancona, 3.6.2015 consultabile sul sito www.ilcaso.it .

[89] Decr. 16.11.2012, inedito.

[90] Favorevole è Trib. Ravenna, 22.10.2014 inIl Fallimento, 2015, 371 con la precisazione che non può ammettersi lo scioglimento di rapporti già completamente eseguiti da una delle parti come nel caso di anticipazioni su crediti effettuate prima della procedura a fronte di cessione alla banca dei crediti anticipati.

[91] Sul tema del collegamento contrattuale in caso di swap con erogazione di up front a seguito di ristrutturazione o rimodulazione o di rinnovazione di un precedente derivato v. F. CAPUTONASSETTI, I Contratti derivati finanziari, Giuffré, 2011, 194 e ss. con particolare riferimento all’accertamento o meno dell’animus novandi la cui presenza escluderebbe, evidentemente, il collegamento; l’autore riconosce che in presenza di un up front particolarmente elevato in relazione al nozionale del secondo swap l’ipotesi del collegamento o la causa di mutuo potrebbero avere maggiore rilevanza.

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