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Approfondimenti

Procedure di sovraindebitamento: le sorti delle procedure esecutive individuali

19 Marzo 2019

Luciana Cipolla, Partner Responsabile del Team Concorsuale, Ilaria Termine, Trainee, La Scala Società tra Avvocati

Di cosa si parla in questo articolo

1. Le procedure di sovraindebitamento: cenni

Come noto, con la legge n. 3 del 2012 il legislatore ha introdotto, per la prima volta, nel nostro ordinamento i tre istituti di composizione della crisi da sovraindebitamento:

(i) l’accordo di composizione della crisi o di ristrutturazione dei debiti, (ii) il piano del consumatore e (iii) la liquidazione del patrimonio.

Caratteristica comune di tali istituti è quella di (voler) porre rimedio alle situazioni di indebitamento eccessivo di soggetti che, per la loro qualifica soggettiva o per il mancato possesso dei requisiti richiesti dalla legge, non possono accedere alle procedure concorsuali previste dalla legge fallimentare (laddove, con tale termine, ci si riferisce alla legge in vigore fino all’agosto 2020 e non, naturalmente, al nuovo Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza).

Presupposto soggettivo per accedere a tali procedure è, infatti, proprio la qualità di soggetto non fallibile o di debitore cui sono estranee attività imprenditoriali o professionali, mentre presupposto oggettivo è il persistente stato di sovraindebitamento.

L’art. 6, comma 2, della L. n. 3/2012 definisce il sovraindebitamento come “una situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, nonché la definitiva incapacità del debitore di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni”.

A seguito dell’entrata in vigore delle procedure di sovraindebitamento il legislatore, con l’art. 13 del d.l. n. 83/2015, ha ritenuto opportuno modificare l’art. 480, comma 2, c.p.c., il quale, oggi, prevede che l’atto di precetto debba obbligatoriamente contenere l’avvertimento che il debitore può, con l’ausilio di un organismo di composizione della crisi o di un professionista nominato dal giudice, porre rimedio alla propria situazione di sovraindebitamento concludendo con i creditori un accordo di composizione della crisi o proponendo agli stessi un piano del consumatore.

Tale avvertimento rappresenta, pertanto, per il debitore, la possibilità di ricorrere alla L. n. 3/2012 al fine di bloccare l’esecuzione minacciata con l’atto di precetto.

Come vedremo meglio infra, infatti, la legge sul sovraindebitamento prevede il divieto di iniziare azioni esecutive individuali e/o l’eventuale sospensione delle stesse. Tuttavia, poiché il rapporto tra esecuzione forzata e procedura di sovraindebitamento si atteggia diversamente in base al tipo di procedura prescelta dal debitore, il presente lavoro si pone come obiettivo proprio quello di verificare in che modo tale rapporto si articola e quali problematiche si possono porre nelle varie fattispecie.

2. L’accordo di composizione della crisi: il destino delle esecuzioni e il decorso degli interessi

Con riferimento alla procedura di accordo di composizione della crisi l’art. 10, comma 1, della legge in esame prevede che il giudice, se la proposta soddisfa i requisiti previsti dagli artt. 7, 8 e 9, fissi immediatamente l’udienza, disponendo la comunicazione ai creditori.

Con il decreto di cui all’art. 10, comma 1, il giudice dispone che “sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali né disposti sequestri conservativi né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di accordo, da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore, la sospensione non opera nei confronti dei titolari di crediti impignorabili” (art. 10, comma 2, lett. c).

Dunque, il divieto di azioni esecutive individuali e l’eventuale provvedimento di sospensione delle stesse non opera per effetto del deposito della sola proposta di accordo ma presuppone che la procedura venga aperta mediante il suddetto decreto.[1]

Il deposito della proposta di accordo determina un unico effetto automatico: la sospensione del decorso degli interessi ai soli fini del concorso, ad eccezione dei crediti prelatizi, per i quali gli interessi continuano a maturare, salvo quanto disposto dagli artt. 2749, 2788 e 2855, commi secondo e terzo, del codice civile. [2]

Per quanto riguarda la durata della sospensione del decorso degli interessi, nonostante la norma non dica nulla in proposito, si ritengono applicabili, in via analogica, gli artt. 55 e 169 l.f., i quali, rispettivamente in materia di fallimento e in materia di concordato preventivo, prevedono la sospensione del decorso degli interessi fino alla chiusura del fallimento o fino alla data di omologazione del concordato.

Pertanto, nell’accordo di composizione della crisi, la sospensione del decorso degli interessi opera dalla data di presentazione della proposta di accordo sino alla data dell’emissione del decreto di omologazione della procedura, ma non nella successiva fase di esecuzione, riprendendo, pertanto, dopo l’omologa, il decorso degli interessi.[3]

Come anticipato sopra, il decreto di apertura della procedura di accordo di composizione della crisi prevede il blocco automatico di tutte le azioni esecutive, operando, così, il cosiddetto “automatic stay” previsto in materia di concordato preventivo ai sensi dell’art. 168 l.f.

Tuttavia, operando il suddetto blocco dalla data di apertura della procedura, deve ritenersi che, con riferimento alle procedure esecutive azionate anteriormente all’emissione del decreto di apertura, il divieto di iniziare o proseguire procedure esecutive non comporti l’estinzione del pignoramento e la invalidazione degli atti posti in essere fino all’emissione del decreto ma comporti la sola sospensione del processo esecutivo.[4] Di talchè, in caso di ipotesi di cessazione della procedura per mancata omologazione o revoca del decreto, il creditore provvisto di titolo esecutivo, che aveva già azionato la procedura esecutiva prima dell’emissione del suddetto decreto, sarà legittimato a riassumere il processo ai sensi dell’art. 627 c.p.c.

Diversamente, per le procedure esecutive azionate successivamente all’emissione del decreto di apertura, la sanzione prevista è la nullità di tutti gli atti esecutivi eventualmente compiuti, i quali restano improduttivi di effetti anche qualora l’accordo non venisse omologato.

Ed ancora, con il decreto di apertura della procedura di accordo di composizione della crisi il giudice pone un ulteriore divieto a tutela del sovraindebitato: il divieto per i creditori di conseguire diritti di prelazione.

Circa la durata dell’ombrello protettivo, la norma sostiene che il divieto operi sino al momento in cui il provvedimento di omologa diventa definitivo.

Tuttavia, deve ritenersi che i divieti previsti dal citato art. 10, comma 2, lett. c) si protraggano anche alla successiva fase di esecuzione della procedura, in quanto, diversamente, verrebbe pregiudicata la realizzazione dell’accordo[5].

Destinatari dei divieti sono tutti i creditori aventi titolo o causa anteriore, laddove il concetto di anteriorità deve essere valutato con riferimento alla data di deposito del decreto di apertura emesso dal giudice. I creditori aventi titolo o causa posteriore all’apertura della procedura restano, invece, liberi di soddisfare le proprie pretese sui beni del debitore.

Occorre precisare che, ai sensi dell’art. 10, comma 2, lett. c), la sospensione non opera nei confronti dei titolari di crediti impignorabili, ai quali, così come disposto dall’art. 545 c.p.c., dovrà essere assicurato il regolare pagamento dei crediti.

Con riferimento ai beni sui quali opera il divieto in esame, deve ritenersi che questo si estenda a tutti i beni del debitore, compresi quelli non ricompresi nell’ambito dall’accordo, al fine di preservare l’intero patrimonio del debitore – anche in vista di un possibile insuccesso della procedura – e al fine di garantire la parità di trattamento tra tutti i creditori[6].

In caso di violazione del divieto in oggetto da parte di uno dei creditori il debitore potrà proporre opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi ex artt. 615 e 617 c.p.c. davanti al giudice dell’esecuzione.

3. (segue): Il piano del consumatore:il destino delle esecuzioni e il decorso degli interessi

Nel piano del consumatore, diversamente da quanto accade nella procedura di accordo di composizione della crisi, non esiste un divieto generale e automatico di iniziare o proseguire azioni esecutive individuali sui beni del sovraindebitato. Quest’ultimo, infatti, sarà legittimato a chiedere al giudice la sospensione di determinate esecuzioni già esistenti, individuandole specificamente nel ricorso.

Difatti, il comma 2 dell’art. 12 bis della L. n. 3/2012, prevede che “quando, nelle more della convocazione dei creditori, la prosecuzione di specifici procedimenti di esecuzione forzata potrebbe pregiudicare la fattibilità del piano, il giudice, con lo stesso decreto, può disporre la sospensione degli stessi sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo”.

La sospensione delle azioni esecutive pendenti si basa, quindi, su un’esplicita istanza del debitore, il quale è tenuto ad indicare che specifiche esecuzioni pendenti possono, nelle more della convocazione dei creditori, pregiudizialmente interferire con la fattibilità del piano. Sarà poi il giudice a decidere, discrezionalmente, se sospendere o meno l’esecuzione individuale.

Il giudice in questa procedura si riappropria, quindi, di un potere discrezionale in ordine alla concessione della misura protettiva, dal momento che la sospensione non riguarda indistintamente tutte le procedure esecutive. Il provvedimento di sospensione del giudice, infatti, è limitato alle cause esecutive pendenti ed individuate dal debitore nel ricorso, non essendo preclusi gli avvii di nuove esecuzioni.

In ogni caso, il giudice, prima di sospendere l’esecuzione, dovrà valutare se l’esecuzione in corso incida o meno sull’economia del piano prospettato ai creditori: l’esecuzione forzata potrà essere sospesa solo ove vada a ledere la fattibilità del piano stesso[7].

In caso di rigetto dell’istanza inibitoria, contro il decreto del giudice, il sovraindebitato potrà proporre reclamo ai sensi dell’art. 739 c.p.c., nel termine perentorio di 10 giorni dalla comunicazione del provvedimento. Sul reclamo si pronuncerà il Tribunale in composizione collegiale. In caso di ulteriore rigetto, il debitore potrà proporre una nuova domanda, mentre non è consentito il ricorso in Cassazione, non essendo il provvedimento in questione di natura decisoria.

Il provvedimento inibitorio è, comunque, per sua natura precario, in quanto la norma sostiene che esso debba essere concesso esclusivamente “nelle more della convocazione dei creditori”.

Qualora il giudice non abbia disposto con il decreto di fissazione udienza la sospensione delle esecuzioni pendenti (limitatamente a quelle che vadano ad incidere sulla fattibilità del piano per quanto detto sopra), il blocco delle stesse opera in automatico nel momento in cui il piano viene omologato.

Infatti, l’art. 12 ter, che disciplina gli effetti dell’omologazione del piano del consumatore, dispone che “dalla data dell’omologazione del piano i creditori con causa o titolo anteriore non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali. Ad iniziativa dei medesimi non possono essere iniziate o proseguite azioni cautelari né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di piano”.

È controversa, in ipotesi di esecuzione già pendente, la possibilità per l’esecutato di depositare davanti al giudice dell’esecuzione istanza di sospensione, prima che il giudice competente per il sovraindebitamento si sia pronunciato sull’ammissione della procedura. L’orientamento giurisprudenziale maggioritario esclude tale possibilità nella misura in cui non si ritiene sufficiente l’aver presentato la proposta di piano per formulare richiesta di sospensione al giudice dell’esecuzione[8].

Quest’ultimo è, infatti, privo di qualsivoglia potere in materia, non esistendo alcuna norma che lo autorizzi a sospendere l’esecuzione a seguito del deposito del ricorso per accedere alla procedura di composizione della crisi.

Ove, invece, il provvedimento di sospensione dell’esecuzione pendente sia emesso dal giudice del sovraindebitamento, il giudice dell’esecuzione, investito con istanza “informativa” dal sovraindebitato, potrà solo prendere atto della sospensione del procedimento esecutivo. Gli effetti reali del provvedimento di sospensione della procedura esecutiva sono quelli previsti dall’art. 626 c.p.c., secondo cui “quando il processo è sospeso, nessun atto esecutivo può essere compiuto, salvo diversa disposizione del giudice dell’esecuzione”.

In ogni caso, il provvedimento di sospensione del procedimento esecutivo non pregiudica gli atti compiuti anteriormente alla sospensione, i quali conservano la propria efficacia.

Il piano, una volta omologato, ai sensi dell’art. 12 ter, comma 2, diventa obbligatorio per tutti i creditori che erano tali al momento in cui è stata eseguita la pubblicità ex art. 12 bis, comma 3.

Inoltre, i creditori con causa o titolo posteriore non possono procedere esecutivamente sui beni oggetto del piano.

Ove sia stata disposta la sospensione della procedura esecutiva ma il piano non venisse omologato, detta sospensione cesserebbe per la mancata omologazione.

4. (segue): La procedura di liquidazione del patrimonio:il destino delle esecuzioni e il decorso degli interessi

La terza procedura di sovraindebitamento prevista dalla norma è la procedura di liquidazione del patrimonio: l’art. 14-ter della L. n. 3/2012 prevede che, in alternativa alla proposta per la composizione della crisi, il debitore, in stato di sovraindebitamento e per il quale non ricorrono le condizioni di ammissibilità di cui all’art. 7, comma 2, lettere a) e b), può chiedere la liquidazione di tutti i propri beni.

Ai sensi dell’art. 14-quinquies la procedura si apre in forza di un decreto di apertura emesso dal Tribunale.

Nella procedura di liquidazione il divieto di azioni esecutive individuali opera in automatico come nella procedura di accordo di composizione della crisi. Infatti, l’art. 14-quinquies, recita che “il giudice, se la domanda soddisfa i requisiti di cui all’art. 14-ter, verificata l’assenza di atti in frode ai creditori negli ultimi cinque anni, dichiara aperta la procedura di liquidazione”.

Con il decreto di apertura della procedura il giudice nomina un liquidatore e dispone che, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni cautelari o esecutive né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio oggetto di liquidazione da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore.

La norma, in realtà, parla erroneamente di omologazione in quanto il divieto resta in vigore fino alla fine della procedura, posto che la procedura di liquidazione dei beni non prevede alcuna fase di omologazione[9].

Una volta aperta la procedura, dunque, sia il debitore che il liquidatore giudiziario possono presentare istanza di improcedibilità dell’eventuale procedura esecutiva pendente.

L’art. 14-nonies, comma 2, prevede altresì che “se alla data di apertura della procedura di liquidazione sono pendenti procedure esecutive il liquidatore può subentrarvi”: il liquidatore, quindi, non solo ha l’amministrazione dei beni che compongono il patrimonio di liquidazione ma può subentrare nelle procedure esecutive pendenti. In questo caso il ricavato della vendita andrà distribuito tra i creditori ammessi al passivo, secondo le regole del concorso, e non solo tra i creditori che presero parte all’esecuzione immobiliare, rispettando le relative cause di prelazione.

Occorre precisare che quello del liquidatore non è un vero intervento nella procedura esecutiva, ma una sua sostituzione al creditore procedente, in modo tale da poter gestire direttamente l’esecuzione forzata[10].

Nel caso in cui il liquidatore decida di subentrare nella procedura esecutiva pendente, prima di completare gli atti di vendita, dovrà informare il giudice, il debitore ed i creditori.

Il giudice, una volta approvata la proposta non dovrà autorizzare volta per volta, così come avviene nel fallimento, il compimento degli atti di liquidazione ma potrà sospendere, con decreto motivato, le vendite previste nel programma di liquidazione in presenza di gravi e giustificati motivi riguardanti sia l’irregolarità del procedimento di vendita sia il prezzo. Una volta disposta la sospensione ed eliminato, ove possibile, il vizio, la vendita dei beni potrà essere ripresa, diversamente la procedura di vendita dovrà essere ripetuta.

Infine, nonostante la liquidazione riprenda il palinsesto del fallimento, nella suddetta procedura non trova applicazione l’art. 108 l.f. Pertanto, il giudice non potrà impedire che la vendita si perfezioni qualora il prezzo offerto sia inferiore a quello ritenuto corretto secondo le regole del mercato immobiliare[11].

5. La disciplina delle vendite nell’ambito delle procedure di sovraindebitamento

Le modalità di liquidazione dei beni vengono disciplinate dal legislatore in modo diverso a seconda della procedura di sovraindebitamento scelta dal debitore.

L’art. 14-nonies L. n. 3/2012, capo II, prevede testualmente che “le vendite e gli atti di liquidazione sono effettuati dal liquidatore tramite procedure competitive anche avvalendosi di soggetti specializzati (…) assicurando, con adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli interessati”.

Per tale procedura, dunque, la modalità di dismissione del patrimonio è rimessa al programma di liquidazione predisposto dal liquidatore, il quale può prevedere che le vendite siano effettuate anche mediante procedura competitiva deformalizzata o mediante rogito notarile, purché siano garantite adeguate forme di pubblicità, oltre che la massima informazione e partecipazione degli interessati[12].

Nelle procedure di accordo di composizione della crisi e di piano del consumatore, invece, il legislatore non ha previsto una disposizione che regoli le modalità di vendita dei beni e non rinvia né alle modalità di liquidazione dei beni nel fallimento né alle modalità di liquidazione dei beni nella procedura di liquidazione del patrimonio, lasciando al debitore la possibilità di realizzare la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma.

Tuttavia, anche per queste altre due procedure deve ritenersi che debba essere rispettato il principio di competitività. Sul punto, autorevole dottrina ha ritenuto che, nelle procedure di accordo di composizione della crisi e di piano del consumatore, “il legislatore, nel tratteggiare il contenuto della proposta, ha lasciato al debitore ampia libertà nella scelta della soluzione economico giuridica più idonea ad ottenere l’esdebitazione. Ne è prova il primo comma dell’art. 8 L. n. 3/2012 che, nel prevedere che la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei creditori possano avvenire attraverso qualsiasi forma, sancisce il principio di atipicità della proposta”[13].

6. Alcuni casi particolari: l’aggiudicazione del bene avvenuta anteriormente alla sospensione dell’esecuzione individuale

Cosa accade se, subentrata la sospensione della procedura esecutiva per intervenuta apertura di una procedura di sovraindebitamento, l’aggiudicazione del bene sia già avvenuta?

La questione è stata di recente risolta da una pronuncia del Tribunale di Potenza, il quale ha sostenuto che, in virtù del principio dell’intangibilità dell’aggiudicazione, che trova fondamento nell’art. 187-bis disp. att. c.p.c., l’aggiudicazione deve rimanere valida e il giudice dell’esecuzione deve emettere il decreto di trasferimento dopo il pagamento del saldo prezzo da parte dell’aggiudicatario, in quanto atto dovuto e non già atto di ulteriore proseguimento dell’esecuzione[14].

Infatti, l’art. 187-bis disp. att. c.p.c. prevede che “in ogni caso di estinzione o di chiusura anticipata del processo esecutivo avvenuta dopo l’aggiudicazione, anche provvisoria, o l’assegnazione, restano fermi nei confronti dei terzi aggiudicatari o assegnatari, in forza dell’art. 632, secondo comma, del codice, gli effetti di tali atti”.

Naturalmente, in caso di omologazione del piano o dell’accordo, il prezzo che verrà pagato dall’aggiudicatario non potrà essere assegnato al creditore procedente ma andrà a beneficio di tutti i creditori, in quanto la sospensione del processo esecutivo esclude che le somme incassate possano essere trasferite ai creditori che hanno intrapreso o partecipato all’esecuzione[15].

7. (segue): Rapporti tra sovraindebitamento e art. 41 T.U.B.

Alle procedure di sovraindebitamento si applica la disciplina del 41 T.U.B.?

Il tema si è posto con riguardo, per esempio, all’ipotesi in cui il liquidatore, nella procedura di liquidazione del patrimonio, subentri nell’esecuzione immobiliare pendente. La questione è stata affrontata recentemente dal Tribunale di Modena, il quale ha escluso l’applicazione della suddetta norma nell’ambito delle procedure da sovraindebitamento[16].

Nel caso di specie, il Tribunale modenese ha rigettato l’istanza del creditore fondiario, che rivendicava il proprio diritto di proseguire l’espropriazione ex art. 41 T.U.B., dopo l’apertura della procedura di liquidazione del patrimonio.

Come noto l’art. 41 T.U.B., comma 2, recita: “l’azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari può essere iniziata o proseguita dalla banca anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore. Il curatore ha facoltà di intervenire nell’esecuzione. La somma ricavata dall’esecuzione, eccedente la quota che in sede di riparto risulta spettante alla banca, viene attribuita al fallimento”.

Secondo il Tribunale di Modena tale norma, essendo di stretta interpretazione ed inapplicabile a fattispecie diverse da quella contemplata nella stessa, va interpretata nel senso che il privilegio processuale ivi disciplinato sia limitato al solo fallimento e non possa essere esteso al sovraindebitamento o ad altre procedure concorsuali (ed effettivamente si ritiene, pacificamente, che si tratti di norma non applicabile, per esempio, al concordato preventivo).

In particolare, nella procedura di liquidazione ex art. 14 quinquies della L. n. 3/2012 l’interferenza con le procedure esecutive individuali è autonomamente disciplinata, senza alcun rinvio a norme della legge fallimentare e senza alcun riconoscimento di deroghe al principio di assoluta prevalenza della procedura di sovraindebitamento.

Inoltre, il Tribunale modenese ha precisato che, ove il liquidatore subentri nella procedura esecutiva individuale pendente, posto che il subentro significa sottoposizione alle regole proprie della liquidazione del patrimonio, l’attivo da mettere a disposizione della procedura di sovraindebitamento dovrebbe essere epurato dalle prededuzioni della procedura individuale anteriormente avviata. Il giudice del procedimento esecutivo dovrà, quindi, dar corso alla fase di distribuzione delle somme, in esito alla quale, riconosciuti e pagati i crediti ed i rimborsi ex art. 2770 c.c. (prededuzioni del procedente, compensi del delegato e del custode), metterà l’attivo residuo a disposizione del liquidatore nominato nella procedura di sovraindebitamento.

Compiuta la distribuzione, secondo i criteri sopra descritti, il processo esecutivo diverrà definitivamente improcedibile.

A tale conclusione si giunge in considerazione del fatto che, nel sistema della liquidazione ex art. 14 quinquies e ss. della L. n. 3/2012, non è prevista alcuna possibilità di annullamento o revoca della procedura esecutiva. Di talchè il delegato, compiuta la suddetta distribuzione, renderà la relazione finale, cui seguirà il provvedimento di definitiva improcedibilità del giudice dell’esecuzione.

Il Tribunale di Modena nella sua decisione richiama, dunque, il principio ormai consolidato in diritto che sancisce l’eccezionalità del privilegio processuale fondiario, il quale è insuscettibile di applicazione analogica.

8. (segue): Rapporto tra sovraindebitamento e pignoramento presso terzi

Il divieto di instaurare o proseguire azioni esecutive previsto dalla L. n. 3/2012 si estende anche alle procedure esecutive presso terzi.

Sennonchè, cosa accade nel caso in cui il giudice dell’esecuzione abbia emesso l’ordinanza di assegnazione somme anteriormente all’apertura della procedura di sovraindebitamento, con conseguente conclusione della procedura espropriativa?

E’ prevalente l’ordinanza di assegnazione somme o l’effetto inibitorio previsto dalla legge sul sovraindebitamento che, quindi, si produrrebbe anche nei confronti dell’ordinanza di assegnazione già emessa dal giudice dell’esecuzione mobiliare?

La giurisprudenza maggioritaria ha risolto la suddetta problematica facendo riferimento all’art. 44 l.f., il quale stabilisce che “Tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori”.

La Corte di Cassazione, in caso di fallimento, ha precisato che il pagamento eseguito a favore del creditore procedente, dopo l’ordinanza di assegnazione, deve ritenersi inefficace ai sensi dell’art. 44 l.f., non assumendo rilievo, a tal fine, l’anteriorità dell’assegnazione[17].

Sulla base di quanto sostenuto dalla Cassazione, la giurisprudenza maggioritaria ha quindi ritenuto (partendo dall’assunto che le procedure di sovraindebitamento rientrerebbero tra le procedure concorsuali per le caratteristiche di universalità e di segregazione del patrimonio) che anche in tale ambito debba trovare applicazione il principio di cui all’art. 44 l.f..

Di talchè, alla luce di quanto sopra esposto, secondo l’orientamento giurisprudenziale dominante, deve ritenersi che il creditore che abbia pignorato il quinto dello stipendio, per la parte che residui impagata alla data dell’apertura della procedura di sovraindebitamento, non potrà continuare a riscuotere il (non più suo) quinto fino a soddisfazione integrale, ma dovrà subire la falcidia come tutti gli altri creditori[18].

Tuttavia, in questa sede, non può non tenersi conto dell’orientamento giurisprudenziale opposto che ritiene prevalente, invece, l’assegnazione delle somme rispetto alla procedura di sovraindebitamento, ritenendo non applicabile l’art. 44 l.f., in quanto non espressamente richiamato dalla L. n. 3/2012.

Sul punto, infatti, il Tribunale di Milano, con ordinanza del 09.07.2017, ha sostenuto che l’assegnazione debba avere il sopravvento sulla procedura di sovraindebitamento, in quanto la L. n. 3/2012 non prevede nessuno strumento di revoca né richiama l’art. 44 l.f., che comporta l’inefficacia dei pagamenti successivi, con la conseguenza che la domanda di sovraindebitamento non ha potere sulla precedente disposizione giudiziale di assegnazione del credito futuro.

Quindi, ad oggi la questione rimane alquanto dibattuta e non ci resta che aspettare che sul punto si pronunci la Corte di Cassazione.

9. Conclusioni

In conclusione, possiamo riassumere dicendo che il rapporto tra esecuzione individuale e procedura di sovraindebitamento si atteggia diversamente in base al tipo di procedura prescelta dal debitore.

In particolare, il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive opera in automatico   con il decreto di apertura della procedura sia nella procedura di accordo di composizione della crisi che nella procedura di liquidazione del patrimonio e perdura non sino al momento in cui il provvedimento di omologa diventa definitivo bensì  fino al termine della fase esecutiva della procedura di sovraindebitamento, in quanto diversamente verrebbe pregiudicata la finalità della procedura.

Diversamente, nella procedura del piano del consumatore è possibile che il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive venga emesso dal giudice del sovraindebitamento con apposito decreto. Tale decreto viene emesso dal giudice a seguito di apposita istanza inibitoria presentata dal sovraindebitato, che abbia evidenziato come una determinata esecuzione individuale possa andare a ledere l’economicità del piano stesso. Ove, tuttavia, il giudice non dovesse emettere il provvedimento inibitorio, il suddetto divieto opererebbe, in ogni caso, dall’omologazione del piano al termine della procedura.

L’anzidetto divieto comporta la sospensione delle procedure esecutive pendenti al momento dell’apertura delle procedure di sovraindebitamento e la nullità di quelle azionate successivamente.

Con questo approfondimento si è analizzato il rapporto tra procedure esecutive individuali e procedure di sovraindebitamento con riferimento alla normativa vigente.

Tuttavia, vista la riforma e la futura entrata in vigore del Codice della crisi e dell’insolvenza, torneremo sul punto, così da analizzare le eventuali novità intervenute.

 


[1] Tribunale di Busto Arsizio, 30.05.2018; Tribunale di Bari, sez. II, 19.05.2017.

[2] P. Quarticelli, Il deposito della proposta, in F. di Marzio – F. Macario – G. Terranova, La “nuova composizione della crisi da sovraindebitamento, pag. 33.

[3] C. Trentini, Rapporti tra procedimenti esecutivi individuali e procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, su il Caso.it, pag. 5;

[4] Tribunale di Monza, 14.12.2015; M. Ferro, Sovraindebitamento e usura, pag. 158.

[5] C. Trentini, Rapporti tra procedimenti esecutivi individuali e procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, su il Caso.it, pag.11.

[6] C. Trentini, Rapporti tra procedimenti esecutivi individuali e procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, su il Caso.it, pag.15.

[7] Tribunale Verona, 14.06.2016, in www. ilcaso.it

[8] Angelo Pisani, “dei rapporti tra sovraindebitamento ed esecuzione forzata giudiziale”, in Casi e questioni di sovraindebitamento, Maggioli Editore, 2017, pag. 224; a contrario

[9] Tribunale di Livorno, 05.01.2017, in www. Ilcaso.it

[10] G. Limitone, Sovraindebitamento e divieto di azioni esecutive individuali, in il Fallimentarista.

[11] A. Ceccarini, L’attività del liquidatore e i controlli del giudizio, in F. di Marzio – F. Macario . G. Terranova, La “nuova” composizione della crisi da sovraindebitamenro, pag. 80; C. Trentini, Rapporti tra procedimenti esecutivi individuali e procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, in www.ilcaso.it.

[12] M. Garbin – M. Vinco, Modalità di vendita di beni immobili nelle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, in il Fallimentarista.

[13] P. Pajardi, M. Bocchiola, A. Paluchowski, Codice del Fallimento, Giuffrè editore, 2013.

[14] Tribunale di Potenza, 06.03.2017.

[15] R. Cammarata, Rapporti tra sovraindebitamento e procedure esecutive individuali: quali tutele per il debitore, in www.ilcaso.it

[16] Tribunale di Modena, Sez. civ., 01.06.2017.

[17] Cass. 22.01.2016 n. 1227

[18] Tribunale di Napoli, 11.01.2018, (ud. 09.01.2018, dep. 11.01.2018); Tribunale di Grosseto, 9.05.2017; Tribunale di Livorno 15.02.2017; Tribunale di Livorno 21.09.2016; Tribunale di Torino 08.06.2016; Tribunale di Monza, sez. III, 17.12.2015, n.3099; sul punto in dottrina (M. Vitiello, Il piano del consumatore: natura del procedimento e conseguenze del suo inquadramento, in questo portale) si afferma che dalla concorsualità della procedura consegua necessariamente il principio per cui i crediti debbano intendersi interamente scaduti al momento dell’apertura del concorso dei creditori, momento che nel piano del consumatore coincide con l’omologazione, con la conseguenza che un piano che prevedesse la prosecuzione di un mutuo o di un finanziamento erogato dietro cessione del quinto dello stipendio, sarebbe inammissibile risolvendosi in una lesione della par condicio.

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Luciana Cipolla, Partner, La Scala Società tra Avvocati

Simone Bertolotti, Partner, La Scala Società tra Avvocati

Luca Sblendorio, Partner, La Scala Società tra Avvocati

Il contributo analizza il tema dell'attività di recupero del credito svolta dai servicer nel contesto di operazioni di cartolarizzazione a fronte del recente orientamento della Cassazione n. 7243 del 18 marzo 2024.
Attualità
Crisi e insolvenza

Il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione: prime applicazioni giurisprudenziali

22 Maggio 2023
Luciana Cipolla, Partner, La Scala Società tra Avvocati

Massimo Ferrari, Responsabile del Centro Studi, Intrum Italy

Il contributo analizza lo strumento del piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, disciplinato dal Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, soffermandosi sulle caratteristiche, punti di forza e di debolezza, anche alla luce delle prime pronunce giurisprudenziali in materia.
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