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Appunti in tema di revoca di amministratori di società per azioni e danni risarcibili

30 Novembre 2015

Avv. Vittorio Pisapia, Craca Di Carlo Guffanti Pisapia Tatozzi & Associati

Di cosa si parla in questo articolo

I. – I principi in materia di revoca degli amministratori. 1. Il potere di revoca dell’assemblea. – 2. – La giusta causa. 3. – Segue: la giusta causa di revoca soggettiva. 4. – … e quella oggettiva. 5. La revoca delle deleghe da parte del consiglio di amministrazione. II. – I danni risarcibili in caso di revoca senza giusta causa.

 

I. – I principi in materia di revoca degli amministratori.

1. – Il potere di revoca dell’assemblea.

Il potere dell’assemblea dei soci di revocare gli amministratori si fonda sull’art. 2383, 3° comma, c.c. (“Nomina e revoca degli amministratori”), il quale prevede che gli amministratori “sono revocabili dall’assemblea in qualunque tempo, anche se nominati nell’atto costitutivo, salvo il diritto dell’amministratore al risarcimento dei danni, se la revoca avviene senza giusta causa”.

In generale, la norma esprime il principio per cui, da un lato, il consiglio di amministrazione deve perseguire l’interesse sociale e, dall’altro lato, l’assemblea dei soci ha comunque la facoltà di deliberare, in ogni momento, la revoca dei propri componenti, anche se nominati nell’atto costitutivo.

Il potere di revoca dell’assemblea dei soci si configura come un recesso ad nutum, che, in quanto tale, non richiede alcun preavviso da parte della società[1].

Per le medesime ragioni, per la validità ed efficacia della revoca, non è necessaria la sussistenza di una giusta causa, la quale vale solo a escludere il diritto dell’amministratore al risarcimento del danno (la norma prevede, infatti, “il diritto dell’amministratore al risarcimento dei danni, se la revoca avviene senza giusta causa”).

La nozione di giusta causa rileva, dunque, solo al fine di stabilire su chi debbano gravare i “costi della revoca”: infatti, a seconda che sussista o meno una situazione qualificabile come giusta causa, le conseguenze economiche dell’anticipata cessazione del rapporto saranno a carico dell’amministratore o della società[2]. Occorre al riguardo tener presente che “le motivazioni integranti la giusta causa di revoca dell’amministratore, nei loro connotati essenziali, devono essere esplicitate in sede assembleare, e non fornite a posteriori, magari negli atti processuali”[3].

2. – La giusta causa.

In generale è pacifico che la giusta causa si identifica in un fatto e/o in una condotta dell’amministratore idonei a far venir meno il rapporto fiduciario con la società, e ciò in quanto:

a)il rapporto di amministrazione ha natura personale, ossia ha carattere fiduciario (intuitus personae);

b)l’intuitus personae rileva non solo nella fase genetica del rapporto, ma anche in quella di esecuzione;

c)ogni qualvolta intervenga un atto e/o fatto che leda tale rapporto fiduciario è ammissibile la revoca per giusta causa dell’amministratore[4].

In particolare, la giurisprudenza ha ritenuto che il venire meno del rapporto di fiducia possa essere causato anche da una condotta dell’amministratore non riconducibile all’inadempimento dei suoi doveri di amministratore; in altre parole, ai fini della sussistenza della giusta causa, può darsi rilievo anche a fatti o attività rispettivamente accaduti e svolti fuori dell’ambito dell’ufficio dell’amministratore[5].

La dottrina ha ritenuto che, da un lato, può costituire giusta causa di revoca anche il mero antagonismo dell’amministratore con la società (cfr. tuttavia il successivo paragrafo 4[6]) e, dall’altro lato, che la giusta causa di revoca può accertarsi anche in mancanza di un danno alla società[7] ovvero a fronte di inadempimenti di scarsa importanza[8]. Al riguardo si è precisato che “la sussistenza o meno della giusta causa di revoca … non è necessariamente costituita dall’eventuale accoglimento dell’azione di responsabilità”[9].

Si ritiene poi che la giusta causa difetti qualora la revoca sia dovuta alla “mera convenienza economica della società” o al “semplice dissenso di un amministratore sui fatti o sulle decisione relative alla gestione”[10]. A questo riguardo, peraltro, parte della dottrina ha ritenuto sufficiente, per la configurabilità del requisito previsto dall’art. 2383 c.c., la stessa esistenza di interessi non coincidenti tra l’amministratore revocando e la società, giungendo così ad attribuire rilevanza “anche [al]la convenienza economica della società”[11]. Con specifico riferimento alla situazione di un amministratore munito di deleghe in giurisprudenza si è affermato che “la giusta causa di revoca dell’amministratore investito di potere delegato è ravvisabile nel caso sia di inadempimento nell’esecuzione dei compiti conferiti, sia di dissensi insorti tra il delegato ed il consiglio di amministrazione, in particolare rispetto alle politiche imprenditoriali oggetto della delega[12].

3. – Segue: la giusta causa di revoca soggettiva.

3.1. – La giusta causa può essere soggettiva o oggettiva.

E’ giusta causa soggettiva di revoca degli amministratori l’inadempimento doloso o colposo dei doveri loro imposti dalla legge o dall’atto costitutivo[13].

A titolo esemplificativo, integrano una giusta causa soggettiva di revoca, tra gli altri, i seguenti comportamenti:

a)il compimento da parte dell’amministratore di atti estranei all’oggetto sociale[14];

bil compimento da parte dell’amministratore di atti in concorrenza con la società, in contrasto con quanto previsto dall’art. 2390 c.c.[15];

c) il comportamento dell’amministratore che violi il divieto di agire in conflitto di interessi. Tale dovere, tra l’altro, costituisce una specificazione del più generale “dovere di lealtà, fedeltà, correttezza esigibile in tutti i rapporti di gestione di affari altrui”[16]. In particolare, secondo la dottrina, il mancato rispetto da parte dell’amministratore del divieto di agire in conflitto di interessi determina, “nei rapporti interni, tra società e amministratori, le conseguenze (…) che derivano da un qualsiasi inadempimento degli amministratori: responsabilità per danni ai sensi dell’art. 2391 e, in generale, dell’art. 2392 ss.; giusta causa di revoca (art. 2383) e motivo di denuncia ai sindaci e al tribunale (artt. 2408 e 2409)”[17].

3.2. – I casi di operazioni deliberate o concluse da amministratori “interessati” considerati dalla giurisprudenza o dalla dottrina sono, tra gli altri, i seguenti:

a)prelevamenti indebiti o arbitrari e pagamenti a se stesso (o a persone ‘vicine’ all’amministratore) di somme non dovute”[18]. L’addebito alla società di spese personali dell’amministratore è stato ritenuto in giurisprudenza rilevante, ad esempio, in caso di pagamento di autostrade e alberghi in località turistiche, laddove non giustificato da impegni lavorativi dell’amministratore. Altro caso preso in esame dalla giurisprudenza è quello dell’utilizzo di carte di credito della società[19]. Si è, in particolare, affermato che integra giusta causa di revoca “il comportamento dell’amministratore che abbia utilizzato denaro della società per fini personali, ovvero che abbia omesso la puntuale annotazione dei prelievi effettuati, o che abbia distratto, a proprio vantaggio, somme destinate alla società”[20];

b)l’’utilizzo a proprio profitto di beni o di dipendenti della società”[21];

c)opportunità vantaggiose apprese dall’amministratore nell’esercizio del suo incarico, ma sfruttate personalmente;

d) fideiussioni, cambiali e avalli rilasciati a favore di società o imprese dell’amministratore, oppure a garanzia di un mutuo che l’amministratore abbia utilizzato personalmente.

Ricorre la violazione del divieto di non compiere operazione in conflitto di interessi anche nel caso in cui l’amministratore con deleghe operative utilizzi tali deleghe senza rimettere la materia al consiglio di amministrazione, pur trovandosi in una situazione di potenziale conflitto di interessi. Ed invero si è affermato in dottrina che, in tali casi, l’amministratore delegato “deve astenersi dal compiere l’operazione, investendo della stessa l’organo collegiale, in modo che anche gli altri amministratori – che, se disinteressati, sono in grado di esprimere un giudizio più neutrale – possono valutare e decidere se sia o no interesse della società compiere l’operazione”. “Lo stesso consiglio di amministrazione” – precisa ancora la dottrina – “ben potrà autorizzare ex ante l’amministratore delegato (…) a compiere, a condizioni di mercato, determinate operazioni intra-gruppo che rientrino nella normale gestione sociale. Al di fuori, di questi casi (…) la necessità che l’amministratore delegato, che sia ‘interessato’ (per conto proprio o di terzi) in una determinata operazione, debba far decidere l’operazione dal consiglio di amministrazione, costituisce, è vero, una soluzione rigorosa, ma essa è pienamente giustificata poiché, altrimenti, gran parte della gestione sociale, che in pratica è delegata agli amministratori delegati,sfuggirebbe ad ogni preventiva valutazione di conformità all’interesse sociale anche nelle ipotesi di operazioni ‘correlate’”[22].

Si è poi sottolineato che, anche nel vigore della disciplina precedente alla recente riforma del diritto societario, affinché sorgano in capo all’amministratore i doveri di informazione e di astensione previsti dal primo comma dell’art. 2391 c.c. è sufficiente che sussista una situazione di potenziale conflitto d’interessi. Si è affermato, infatti, che “il conflitto d’interessi (…) non è subordinato in questo caso ad una verifica dell’effettivo contenuto, lesivo o meno dell’interesse sociale, della deliberazione poi presa; è sufficiente che, prognosticamente, sia possibile un pregiudizio dell’interesse della società in caso di perseguimento dell’interesse personale da parte dell’amministratore”[23]. Già nel vigore della norma come in precedenza formulata, pertanto, destinatario dei doveri di comunicazione e di astensione era l’amministratore che avesse un interesse in conflitto con quello della società, non già colui che perseguisse tale interesse: era dunque sufficiente trovarsi in quella situazione, non essendo invece richiesta anche l’intenzione di agire in vista della realizzazione del proprio interesse e tanto meno l’azione in tale direzione.

In merito alla sussistenza – nel caso di violazione del dovere di non compiere operazioni in conflitto di interessi – degli estremi per ravvisare una giusta causa di revoca dell’amministratore, si ritiene che “il fatto che un’operazione non sia dannosa per la società non è elemento sufficiente per escludere che la notizia dell’inosservanza dell’art. 2391 sia rilevante per gli azionisti: infatti, tale notizia, anche in assenza di danno, può incidere sulla fiducia riposta dai soci negli amministratori: se l’inadempimento degli obblighi in questione, in relazione alle sue modalità ed alle concrete circostanze del caso, è tale da giustificare il venir meno di questa fiducia, l’assemblea potrà revocare gli amministratori per giusta causa, anche se dall’inadempimento non sia derivato alcun danno alla società”[24].

4. – …e quella oggettiva.

La giurisprudenza ha poi elaborato la nozione di giusta causa oggettiva di revoca, per cui quest’ultima sarebbe legittima anche in presenza di atti e/o fatti non costituenti inadempimento dell’amministratore, ma comunque idonei a minare il rapporto di fiducia tra amministratore e società, a tal punto da impedire la prosecuzione del rapporto[25].

Nella giusta causa oggettiva sarebbero ricompresi quei comportamenti che, ancorché non integranti inadempimento, ledono il pactum fiduciae tra amministratore e società[26]. In giurisprudenza si è affermato invero che sussiste la giusta causa “oggettiva” quando “gli elementi estrinseci sopravvenuti incidano sull’apporto effettivo che il socio può concretamente attendersi dall’amministratore, sicché possa fondatamente temersi che siano venuti meno nell’amministratore quei requisiti di avvedutezza, capacità e diligenza di tipo professionale che dovrebbero sempre contraddistinguere l’amministratore di una società di capitali”[27].

A titolo esemplificativo, la giurisprudenza ha ritenuto essere giusta causa oggettiva di revoca, tra le altre, le seguenti fattispecie:

a) l’omessa informazione circa la cessione di un rilevante ramo d’azienda[28];

b) il discredito che colpisce l’amministratore per il suo comportamento tenuto anche al di fuori dell’ambito del proprio ufficio, nonostante la correttezza con cui adempia ai propri doveri[29];

c) le precarie condizioni fisiche dell’amministratore o un lungo stato di malattia[30];

d) l’esistenza di una controversia relativa ad aspetti economici, tra società e amministratore, tale da creare un “dannoso antagonismo[31], sempreché tuttavia “esista un ‘quid pluris’, cioè un elemento che faccia ritenere obiettivamente – cioè secondo un giudizio di buona fede e terzo rispetto a quelli soggettivi delle parti – che il connotato fiduciario che caratterizza il rapporto tra la società ed il suo amministratore è venuto meno. Il “quid pluris” cioè, è integrato da “situazioni sopravvenute (provocate o meno dall’amministratore stesso) che minino il ‘‘pactum fiduciae’’, elidendo l’affidamento inizialmente riposto sulle attitudini e le capacità dell’organo di gestione (Sez. 1^, 21.11.1998, n. 11801; Sez. L., 07.08.2004 n. 15322 Rv. 575294)”[32];

e) il venir meno e/o l’insussistenza di “profili di abilità e di capacità manageriale ed imprenditoriale, viste in relazione alle aspettative che la società aveva riposto nell’amministratore al momento della scelta”[33].

5. – La revoca delle deleghe da parte del consiglio di amministrazione.

Altra questione è se occorra o non la giusta causa per la revoca, da parte del consiglio di amministrazione, di una delega conferita al singolo consigliere.

In senso negativo si potrebbe argomentare che in questo caso non sarebbe applicabile l’art. 2383 c.c. ma l’art. 2381 c.c.

In giurisprudenza si è peraltro ritenuto che la giusta causa è necessaria quando “il conferimento della delega sia strettamente connesso al conferimento dell’incarico all’amministratore, ossia quando – in altre parole – l’amministratore sia stato scelto per inseguire un determinato obiettivo, e l’attribuzione delle deleghe si riveli strumentale al raggiungimento dell’indirizzo gestionale per il quale la persona dell’amministratore è stata scelta[34]. In questa prospettiva, le considerazioni svolte e i principi illustrati nei punti precedenti possono ritenersi applicabili anche alla fattispecie della revoca delle deleghe.

II. – I danni risarcibili in caso di revoca senza giusta causa.

1. – In caso di revoca senza giusta causa, come si è detto, l’amministratore ha diritto di ottenere il risarcimento dei danni.

Al riguardo la dottrina ritiene che, in tali ipotesi, debbano essere analogicamente applicati i principi in materia di risarcimento dei danni derivanti dall’inadempimento delle obbligazioni[35] Si afferma poi che l’art. 2383 c.c., comma terzo, configura una fattispecie di responsabilità contrattuale[36]. Alla stregua di tale interpretazione, è pacifica la risarcibilità del danno patrimoniale per lucro cessante, per l’importo corrispondente ai compensi non percepiti nel periodo in cui l’amministratore avrebbe conservato il suo ufficio, se non fosse intervenuta la revoca[37]. Da tale voce di danno dovrebbe essere scomputato quanto l’amministratore abbia conseguito dall’esercizio di altre attività che gli siano rese possibili dall’anticipata cessazione della carica[38].

Gli emolumenti costituenti il lucro cessante, d’altronde, possono essere variamente articolati. Infatti, oltre ai compensi, è stata riconosciuta la risarcibilità dei gettoni di presenza alle riunioni consiliari e assembleari alle quali l’amministratore avrebbe presenziato fino allo scadere del mandato, calcolate sulla media del numero delle riunioni effettuate negli anni precedenti. Si è ritenuto che anche la perdita dei c.d. benefit costituisca una voce di danno (ad es., perdita di uso dell’autovettura aziendale, perdita utilizzo telefono cellulare, assicurazione, ecc.)[39].

La dottrina afferma inoltre che, “oltre al risarcimento per il lucro cessante, l’amministratore avrà anche diritto a quello degli altri danni che dimostri essere conseguenza immediata e diretta della revoca: si pensi, ad es., alle spese inutilmente sopportate per un cambiamento di residenza a cui sia stato obbligato per poter adempiere ai doveri del suo ufficio”[40].

In ordine alla liquidazione delle voci di danno descritte, si ritiene che, “ove l’ammontare del compenso sia stato pattuito con riferimento a dati variabili (come l’ammontare degli utili della società) e non sia quindi determinabile a priori, il danno potrà essere valutato in via equitativa”[41].

2. – Più controversa è la questione relativa alla risarcibilità dei danni all’immagine e alla reputazione professionale ovvero alla perdita di prestigio derivante dalla cessazione della carica[42].

La giurisprudenza non pare negare, in linea di principio, la risarcibilità del danno all’immagine, ma nei casi esaminati lo ha poi escluso in concreto[43]. Altre pronunce [44] hanno sancito la risarcibilità anche del danno all’immagine “derivante da eventuali modalità ingiuriose della revoca”. La dottrina ha peraltro osservato che il precedente qui richiamato configura però un “altro discorso” rispetto a quello dei danni risarcibili ai sensi dell’art. 2383 c.c.[45] Infatti la sentenza “prevedeva sì la rifondabilità di un danno ulteriore (rispetto al lucro cessante e agli altri danni che si dimostri essere conseguenza immediata e diretta della revoca, n.d.r.), ma per le modalità lesive della personalità e della dignità dell’amministratore con cui tale revoca era avvenuta: legate cioè a un quid pluris rispetto alla mancanza di giusta causa”[46].

[1] Cfr. Trib. Milano, 9 febbraio 2015, in www.giurisprudenzadelleimprese.it.

[2] Cfr. Brodasca, Osservazioni in tema di revoca di amministratori di società di capitali, in Giur. Comm., II, 2002, 523.

[3] Franzoni, Società per azioni, in Commentario Scialoja-Brancasub artt. 2380-2396, Bologna-Roma, 2008, 182. Cfr. in argomento Trib. Milano, 7 giugno 2012, in Foro Padano, 2014, 1, I, 116 (s.m.) (nota di: Zaccà), secondo cui “le situazioni integranti giusta causa di revoca dell'amministratore devono essere indicate in modo sufficientemente preciso nella delibera di revoca, mentre sono da evitare delibere troppo generiche, suscettibili di essere poi dettagliate mediante addebiti specifici solo successivamente”. Cfr. inoltre Trib. Milano, 24 maggio 2010, in Le Società, 2011, 1404 e ss., secondo cui “l’operatività della clausola simul stabunt simul cadentin assenza di giusta causa determina, in via indiretta e di fatto, la revoca anticipata dell’amministratore con l’aggiramento, da parte della società, degli obblighi di motivazione e risarcitori prescritti dall’art. 2383, comma 3, c.c., anche qualora la medesima clausola preesistesse all’accettazione della carica da parte dell’amministratore”. Cfr. peraltro sul medesimo tema Trib. Milano, 13 marzo 2015, in www.giurisprudenzadelleimprese.it, secondo cui tale clausola, “se applicata senza fini abusivi, non equivale, nella sua astratta configurazione negoziale, a una revoca dell’incarico e pertanto, se legittimamente applicata, non fa sorgere alcun diritto a favore dell’amministratore decaduto, il quale, accettando l’iniziale conferimento dell’incarico, aderisce implicitamente alle clausole dello statuto sociale che regolano le condizioni di nomina e permanenza degli organi sociali e i relativi poteri; adesione, questa, che implica l’accettazione dell’eventualità di una cessazione anticipata dell’ufficio di amministratore nel caso di applicazione della predetta clausola e, in ogni caso, senza risarcimento del danno”. In tema, invece, di passaggio da un sistema di amministrazione collegiale a uno di natura monocratico si veda Cass., 18 settembre 2013, n. 21342, secondo cui “la cessazione di un amministratore a seguito del passaggio dal consiglio di amministrazione all'amministratore unico configura una revoca implicita non assistita da giusta causa poiché la giusta causa non può essere integrata dal nuovo assetto organizzativo, ma richiede la sopravvenienza di situazioni che, anche quando estranee alla persona dell'amministratore e, quindi, non integranti un suo inadempimento, siano tali da elidere l'affidamento riposto nell'amministratore e da determinare la rottura del ‘pactum fiduciae’”.

[4] Cfr. Natale, Cause soggettive e oggettive di giustificata revoca dell’amministratore, nota a Trib. Udine, 13 giugno 1994, in Società, 1995, 99.

[5] Cfr. Cass., 21 novembre 1998, n. 118901, in Giur. it, 1999, 562; Cass., 22 giugno 1985, n. 3768, in Foro it., 1986, I, c. 1364; Cass. 21 luglio 1960, n. 2068, in Giust. Civ., 1960, I, 1945.

[6] In particolare, per quanto riguarda la necessità dell’esistenza di un quid pluris rispetto al mero verificarsi di una situazione del genere.

[7] Bonelli, Gli amministratori di società per azioni, Milano, 2004; cfr. altresì Id., Gli amministratori di S.p.A. a dieci anni dalla riforma del 2003, Torino, 2013. In senso conforme G. Ferri, Le società, in Trattato di diritto civile diretto da Vassalli, Torino, 1987, 703; R. Weigmann, Responsabilità e potere legittimo degli amministratori, Torino, 1974, 164 e, in particolare, in nota [10].

[8] Così R. Weigmann,  cit.

[9] Ancora, sul punto, R. Weigmann,  cit.

[10] Così Bonelli, cit. Cfr. anche Franzoni, Società per azioni, in Commentario Scialoja-Brancasub  artt. 2380-2396, Bologna-Roma, 2008, 183, secondo cui “non costituisce giusta causa di revoca la mera convenienza economica della società che riduca il numerodegli amministratori per rendere più agile e meno onerosa la gestione”.

[11] Cfr. Pesce, Rapporto organico e mandato nella qualificazione della giusta causa di revoca dell’amministratore di società di capitali”, in Foro Pad., 1980, I, 65.

[12] Trib. Milano, 14 febbraio 2004, in Giur. it., 2004, fasc. 6, 1212-1213.

[13] Cfr. G. Ferri, Le società, in Trattato di diritto civile diretto da Vassalli, Torino, 1987, 703; Fré, Società per azioni, in Commentario del codice civile a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna – Roma, 1982, art. 2383, 452.

[14] Cfr. App. Milano, 15 settembre 1994, in Società, 1995, 199.

[15] Cfr. Galgano, Società per azioni, in Trattato di diritto commerciale, Padova, 2004, e, in giurisprudenza, Trib. Bologna, 5 febbraio 1994, in Giur. Comm., 1995, II, 766.

[16] Cfr. nota a Trib. Milano, 15 novembre 1999, in Foro it., 2000, 992.

[17] Cfr. Bonelli, cit.

[18] Bonelli, op. cit., 155.

[19] Cfr. Trib. Milano, 18 maggio 1995, in Società, 1996, 68.

[20] Trib. Milano, 22 marzo 1990, in Società, 1990, 915.

[21] Bonelli, op. cit., 155 e Trib. Milano 22 marzo 1990, in Società., 1990, 915.

[22] F. Bonelli, op. cit., 150-151.

[23] Enriques, Il conflitto d’interessi degli amministratori di società per azioni, Milano, 189.

[24] Enriques, op. cit., 316.

[25] Cfr. Cass. civ., sez. I, 22 giugno 1985, n. 3768, in Società, 1985, 1290.

[26] Cfr. Cass. civ., 21 novembre 1998, n. 11801, in Giur. it., 1999, 562; Trib. Milano, 15 novembre 1999 in Giur. it., 2000, p. 991; cfr. Cass. civ., sez. lav., 7 agosto 2004, n. 15322, in Giust. civ. Mass., 2004, fasc. 7-8 secondo cui devono risultare minati “l’affidamento iniziale riposto sulle attitudini e la capacità dell’organo di gestione”.

[27] App. Milano, 15 febbraio 2002, in Giur. Milanese, 2002, 393. Cfr. Cass. 15 ottobre 2013, n. 23381, secondo cui, “in tema di revoca del mandato agli amministratori di società per azioni ex art. 2383 c.c., il venir meno del rapporto fiduciario è rilevante ai fini di integrare una giusta causa di revoca del mandato solo quando i fatti che hanno determinato il venire meno dell'affidamento siano oggettivamente valutabili come fatti idonei a mettere in forse la correttezza e le attitudini gestionali dell'amministratore (fattispecie in cui un Comune, quale socio di maggioranza, aveva chiesto la revoca dell'amministratore una società eccependo la giusta causa, in seguito al rifiuto opposto dallo stesso ad alcuni consiglieri comunali che avevano richiesto di accedere agli atti della società”.

[28] Trib. Milano, 15 novembre 1999, in Giur. it., 2000, 991.

[29] Fré, op. cit., 785.

[30] Trib. Verona, 9 giugno 1994, in Società, 1994, 1399).

[31] App. Milano, 30 novembre 1979, in Giur. Comm., 1982, II, 95 ss.: in questo caso si è ritenuta sussistente una giusta causa di revoca per la controversia instaurata dall’amministratore stesso a seguito del suo licenziamento da dirigente della società stessa. Cfr. tuttavia più di recente: Trib. Milano, 7 giugno 2012, in www.iusexplorer.it, che precisa che “la sussistenza di controversie giudiziali e, in generale, il contrasto tra società ed amministratore generato da comportamenti integranti esercizio di un diritto da parte di questi, anche quando abbiano generato una situazione di conflittualità e contrasto con gli altri amministratori o con i soci, non possono assurgere a giusta causa di revoca dell’amministratore a prescindere dalla valutazione della fondatezza dei motivi posti a base dei comportamenti dallo stesso tenuti e della correttezza delle modalità di esercizio di quei diritti”. In particolare, con tale sentenza, il Tribunale di Milano, esaminando peraltro il precedente della Corte d’Appello di Milano del 30 novembre 1979 sopra citato, ha osservato quanto segue: a) anzitutto il caso del precedente della Corte d’Appello era in realtà peculiare perché “esisteva solo una causa nei confronti della società, causa peraltro promossa in conseguenza del licenziamento da dirigente” dell’amministratore; b) tale sentenza rappresenta inoltre “precedente isolato e non condiviso”; in particolare, essa “esordisce ricostruendo il rapporto tra società e amministratore in termini di mandato, sulla base del disposto, allora vigente, dell'art. 2392 c.c.” e, “muovendo da tale presupposto”, conclude che “la sua causa giustificativa ‘può consistere in una circostanza obiettiva, in un fatto cioè anche estraneo alla persona del revocato…’ e ‘può dunque anche prescindere dall'elemento della colpa’, per poi affermare che ‘quel che rileva, infatti, è l'esigenza di evitare che il mandatario, durante il suo ufficio, venga a trovarsi comunque in una situazione di dannoso antagonismo con il mandante”; senonché, per il Tribunale di Milano, “il richiamo alla disciplina del mandato risulta ultronea, a fronte del più corretto inquadramento del rapporto tra società ed amministratore come rapporto di immedesimazione organica. Ciò non è senza conseguenze, posto che il criterio della "giusta causa" non può che modellarsi diversamente a seconda del rapporto cui accede. Tuttavia, piuttosto singolarmente, manca il richiamo alla norma da applicare ed alla relativa giurisprudenza (art. 2383 comma 3 c.c.). In ogni caso, il riferimento alla disciplina del mandato (ed alla relativa giurisprudenza), già oggetto di ampia critica, non pare più consentito dopo la riforma introdotta dal D.Lgs. n. 5 del 2003 e la modifica del testo dell'art. 2392 c.c,”; c) in secondo luogo è significativo che la Corte, dopo avere, a mezzo del richiamo della disciplina del mandato, descritto un concetto di giusta causa oggettiva assai ampio, sia costretta a richiamare, sia pure in modo fugace e superficiale, il contenuto della controversia ‘anche nella sua portata soggettiva”; d) in terzo luogo e soprattutto non si giustifica la immediata e non ulteriormente giustificata qualificazione dell'avvio da parte dell'amministratore di una causa di impugnazione del licenziamento quale lavoratore dipendente come situazione di ‘dannoso antagonismo’ con la società e la ritenuta causazione, per ciò solo, di un vulnus del rapporto fiduciario con la società stessa, a prescindere da ogni valutazione sulle circostanze e sul merito della controversia”; f) infatti, “così ragionando (…), si finisce per obliterare il nucleo del significato normativo voluto dal legislatore con l'introduzione del requisito che qui interessa e la sua funzione di bilanciamento di interessi tra la società – che deve potersi liberare di un amministratore la cui presenza e opera è ritenuta, per qualsiasi soggettiva valutazione, anche solo non utile per la società, ma non può fargli carico anche a livello economico di un mero ‘nutum’– e l'amministratore che, pur dovendo subire in ogni caso il recesso della società, non deve sopportare anche il rischio economico della sopravvenienza di cause completamente estranee alla sua persona o condotta e non oggettivamente incidenti sul rapporto fiduciario con la società, né le soggettivistiche interpretazioni di ciò che la società intenda per "venir meno" di quel rapporto”.

[32] Trib. Milano, 7 giugno 2012, in www.iusexplorer.it.

[33] Trib. Roma,  18 novembre 2014, in Rivista dei Dottori Commercialisti, 2015, 1, 122.

[34] Trib. Milano, 12 maggio 2010 e 25 marzo 2010.

[35] Cfr. Fré, sub artt. 2384-84 bis, in Commentario Scialoja – Branca, 1982. Sul punto cfr. anche Conforti, op. cit., 742 e ss.

[36] Cfr. Cass. 21 novembre 1998, n. 11801, in Giur. it., 1999, 562.

[37] La giurisprudenza ha peraltro precisato che: a) “in tema di compenso degli amministratori di società di capitali, laddove manchi una disposizione dell'atto costitutivo e l'assemblea si rifiuti o ometta di stabilirlo o lo determini in misura inadeguata, l'amministratore è abilitato a richiederne al giudice la determinazione, anche in via equitativa, purché alleghi e provi la qualità e quantità delle prestazioni concretamente svolte, risultando di per sé sola insufficiente l'indicazione del compenso pattuito in esercizi sociali di anni diversi”; b) “il compenso per l'amministratore di società revocato anticipatamente dal proprio incarico va determinato in via equitativa, in quanto la natura giuridica del rapporto con l'impresa collettiva non è assimilabile ad un contratto d'opera senza che le parti, al momento della nomina o nelle previsioni statutarie abbiano fatto esplicito riferimento all'applicabilità delle tariffe professionali previste per i dottori commercialisti” (Cass. 17 ottobre 2014, n. 2046). Cfr. altresì: Cass, 16 aprile 2014,  n. 8897, secondo cui “la pretesa di un amministratore di società per azioni al compenso per l'opera prestata ha natura di diritto soggettivo perfetto, sicché, ove la misura di tale compenso non sia stata stabilita nell'atto costitutivo o dall'assemblea, ne può esserne chiesta al giudice la determinazione”.

[38] Minervini, Gli amministratori di società per azioni, Milano, 1956,474; Caselli, in Trattato Colombo – Portale, 1954, t. IV, 83; Fré, op. loc. cit. In giurisprudenza, cfr. Trib. Milano 15 settembre 1986, in Società, 1987, 380. Cfr. altresì Trib. Roma, 24 luglio 2013, in Vita notarile, 2013, 3, 1461, secondo cui “il fatto che l'amministratore di società revocato senza giusta causa esercitasse anche la professione di dottore commercialista (in considerazione della quale era stato nominato amministratore) percependone un reddito non esclude il suo diritto all'indennizzo e non ne riduce l'entità”.

[39] Cfr. Trib. Napoli 21 maggio 2001, in Società, 2001, 950.

[40] Fré, op. loc. cit.

[41] Cfr. Caselli, op. loc. cit.

[42] Cfr. Bonelli, op cit.; Minervini, op. loc. cit.; Caselli, op. loc. cit.; Fré’,op. loc. cit.; Conforti, op. cit., 778. In giurisprudenza, cfr. Trib. Milano 15 settembre 1986, in Società, 1987, 380; Trib. Milano 17 giugno 1974, in Giur. it., 1975, I, sez. 2, 3 ss. Cfr. altresì Cass. 21 novembre 1998, n. 11801, secondo cui “non può trovare ingresso nel giudizio di risarcimento del danno per revoca senza giusta causa di un amministratore il pregiudizio arrecato alla sua reputazione sociale e professionale da iniziative giornalistiche collaterali”. Si è peraltro in proposito precisato che “può (..) prospettarsi che la revoca determini un ulteriore pregiudizio per l’ex amministratore, non solo di carattere patrimoniale, ma anche personale (ad es. ove la revoca stessa, per le modalità con cui sia stata effettuata e portata a conoscenza dei terzi, venga a ledere l’immagine, l’onore e l’identità dell’ex amministratore medesimo). Pare che in tale fattispecie concorrano le due forme di responsabilità, contrattuale ed extracontrattuale. Non è del tutto, agevole, peraltro, configurare in concreto un obbligo di risarcimento del danno non patrimoniale: ed infatti, l’art. 1223 c.c. (…) individua i confini di tale risarcimento nella perdita subita e nel mancato guadagno (…), mentre l’art. 2059 c.c. riconosce la risarcibilità del danno non patrimoniale (…) ove il fatto generatore del danno “ingiusto” sia nello stesso tempo anche penalmente rilevante (…)” (Figone, Legittimità della revoca degli amministratori in forma tacita, in Società, 1996, 1318).

[43] Trib. Napoli 21 maggio 2001, cit.

[44] App. Catania, 1° dicembre 1978, in Giur. comm., 1980, II, 253.

[45] Caselli, op. loc. cit, nota 65.

[46] Nota a Cass. 21 novembre 1998, n. 11801, cit.

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