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Approfondimenti

La nuova legge leasing: punti aperti e spunti interpretativi

6 Novembre 2017

Avv. Pietro Gandetto, Senior Legal Counsel, Banca IFIS

Di cosa si parla in questo articolo

1. Premessa

Dopo circa due mesi dall’entrata in vigore della legge 124/2017 che introduce la nuova disciplina del leasing finanziario, permangono ancora alcuni dubbi in ordine all’effettiva portata dalla nuova legge. Anche alla luce dei primi contributi dottrinali, è sorto un dibattito sui possibili risvolti applicativi della nuova normativa, i cui esiti hanno impatti rilevanti sull’operatività ordinaria delle società di leasing.

2. L’ambito applicativo della nuova normativa

Un primo elemento di discussione riguarda l’ambito applicativo oggettivo, soggettivo e temporale della nuova legge 125/2017.

Dal punto di vista oggettivo, la nuova normativa definisce il leasing finanziario come “il contratto con il quale la banca o l’intermediario finanziario iscritto nell’albo di cui all’articolo 106 del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, si obbliga ad acquistare o a far costruire un bene su scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore, che ne assume tutti i rischi, anche di perimento, e lo fa mettere a disposizione per un dato tempo verso un determinato corrispettivo che tiene conto del prezzo di acquisto o di costruzione e della durata del contratto. Alla scadenza del contratto l’utilizzatore ha diritto di acquistare la proprietà del bene ad un prezzo prestabilito ovvero, in caso di mancato esercizio del diritto, l’obbligo di restituirlo”. Tale definizione e, in particolare il riferimento all’art. 106 TUB, consente di ricondurre il leasing nell’alveo delle attività finanziarie riservate, definite come “esercizio nei confronti del pubblico dell’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma [..] riservato agli intermediari finanziari autorizzati, iscritti in un apposito albo tenuto dalla Banca d’Italia”. Definendo chiaramente il leasing come attività finanziaria riservata, si riducono sensibilmente i dubbi relativi alla causa finanziaria o traslativa del rapporto, con ogni conseguenza in punto di applicabilità della normativa civilistica relativa alla vendita con patto di riscatto, che non sembra più applicabile alla fattispecie.

Sotto il profilo soggettivo, nulla questo in ordine al fatto che il leasing finanziario possa essere offerto solo da banche e intermediari finanziari iscritti nell’albo di cui all’articolo 106 TUB. Lato utilizzatore, in assenza di disposizioni in senso contrario, non vi sono motivi per escludere che la nuova normativa sia applichi tanto ai contratti stipulati con imprese quanto a quelli sottoscritti con consumatori o privati. Resta inteso che tale normativa andrà a integrare e non potrà derogare a quelle di settore (imperative o dispositive di applicazione necessaria) come le norme sul credito al consumo, sul leasing abitativo e sul leasing applicabile a enti pubblici.

Quanto all’aspetto temporale, in assenza di una disposizione transitoria che chiarisca la portata applicativa della legge, si può supporre quanto segue. Anzitutto, non sembrano profilarsi particolari problemi applicativi con riferimento ai nuovi contratti sottoscritti a seguito dell’entrata in vigore della legge. Secondo chi scrive, la nuova normativa dovrebbe applicarsi poi ai contratti sottoscritti prima dell’entrata in vigore della legge, ma risolti in epoca successiva alla sua efficacia. Secondo un ulteriore orientamento, che ritengo di condividere, la nuova legge sarebbe applicabile anche a quei rapporti risolti prima del 28 agosto 2017 (i.e., entrata in vigore della nuova legge), ma i cui effetti della risoluzione (vendita o ricollocazione del bene) non si sarebbero ancora realizzati. In questo senso, la nuova legge 124/2017 non sarebbe una legge modificativa di un corpus normativo esistente, ma appunto un intervento legislativo che si affianca ai principi elaborati dalla giurisprudenza negli anni in una prospettiva de iure condendo.

3. Il grave inadempimento

Un altro ambito di approfondimento riguarda la portata della nozione di grave inadempimento disciplinata dall’art. 1, comma 137 della legge 124/2017 e, in particolare, l’ammissibilità di forme di inadempimento diverse dal mancato pagamento dei canoni.

Com’è noto, la norma di riferimento definisce il grave inadempimento c.d. economico, avente a oggetto le obbligazioni pecuniarie rinvenienti dal contratto di leasing, stabilendo che “costituisce grave inadempimento dell’utilizzatore il mancato pagamento di almeno sei canoni mensili o due canoni trimestrali anche non consecutivi o un importo equivalente per i leasing immobiliari, ovvero di quattro canoni mensili anche non consecutivi o un importo equivalente per gli altri contratti di locazione finanziaria”. Nonostante la chiarezza redazionale della norma, a un’attenta lettura non è chiaro è se questa sia l’unica forma di risoluzione ammissibile o se la risoluzione sia invocabile anche per inadempimenti diversi da quello economico (fatta salva la prova della gravità ex art. 1455 c.c.). Dai primi dibattiti emersi intorno al tema, sembra che le clausole risolutive espresse dei contratti di leasing possano prevedere anche inadempimenti in senso lato “gestori” come, ad es., il mutamento della destinazione d’uso del bene (generalmente vietato ai sensi del contratto), o il venir meno delle garanzie economico patrimoniali di cui l’utilizzatore deve disporre per poter validamente accedere al credito.

Il riconoscimento della gravità di inadempimenti diversi da quello economico trova fondamento anzitutto in quell’autonomia negoziale prevista dall’art. 1322 cod. civ., che la legge 124/2017 non sembra aver scalfito laddove non esclude la possibilità che le società di leasing disciplinino altri elementi del contratto nei limiti del quadro normativo di riferimento. Per altro verso, e a contrario, ove non si ammettessero altre forme di inadempimento diverse da quello “economico”, si arriverebbe a un paradossale scollamento tra l’articolato contrattuale e l’operatività ordinaria delle società di leasing che sarebbero private del diritto di invocare il rimedio risolutorio nei casi più gravi, come la mancanza dei requisiti economico-patrimoniali dell’utilizzatore o altre “anomalie” in materia di antiriciclaggio. Si pensi, come detto, al caso in cui quest’ultimo sia dichiarato fallito, o sia coinvolto in procedimenti penali tali da comprometterne i requisiti per l’accesso al credito. Ove non fosse consentito risolvere automaticamente il contratto, il concedente si vedrebbe costretto a instaurare defatiganti azioni risolutorie, con notevole aggravio di costi, tempi e spese a carico di entrambe le parti.

4. L’addebitabilità all’utilizzatore di ulteriori somme

Chiarito questo primo aspetto, una seconda problematica meritevole di riflessione riguarda il recupero delle somme dovute al concedente all’esito della vendita del bene.[1] Fermo il riconoscimento del diritto di credito del concedente che, trovando un conforto normativo, rafforza la sua posizione contro strumentali condotte ritentive del bene da parte dell’utilizzatore, resta da chiarire quali altre eventuali somme (oltre a quelle previste dalla norma) il concedente abbia eventualmente diritto di addebitare per effetto della risoluzione.

Secondo un primo orientamento sarebbe ammissibile l’addebito di somme ulteriori oltre a quelle previste dalla legge per garantire al concedente un integrale ristoro economico comprensivo sia del danno emergente che del lucro cessante. Tale tesi si fonderebbe (i) sul combinato disposto dell’art. 1218 “Responsabilità del debitore” e dell’art. 1223 “Risarcimento del danno” cod. civ. che prevede che il risarcimento del danno da inadempimento si compone delle due voci di danno emergente e lucro cessante. Poiché la nuova legge ha previsto le somme spettanti al concedente a titolo di danno emergente e tralasciato il lucro cessante, quest’ultimo sarebbe esigibile sotto forma di un ulteriore addebito; (ii) sull’art. 125 sexies T.U.B. che (in materia di credito al consumo) conferisce al finanziatore il diritto a un indennizzo in caso di rimborso anticipato del credito. Se il legislatore ha ritenuto ammissibile, in una fattispecie analoga all’inadempimento, il pagamento di un indennizzo a carico di un contraente “debole” come il consumatore, non sembra potersi escludere che un contraente meno debole come una società abbia diritto al pagamento di queste somme.

A parere di chi scrive, poiché la nuova normativa sembra aver determinato la prestazione dovuta dall’utilizzatore in caso di inadempimento, limitando il risarcimento alle somme previste dalla legge secondo quanto previsto dall’art. 1382 cod. civ. (“Effetti della clausola penale”), un’alternativa potrebbe essere quella di fare salvo, nel contratto, il diritto del concedente al maggior danno (oltre alle somme già previste dalla legge) e valutare le ipotesi in cui tale eventuale maggior danno è concretamente esigibile.

Tali ipotesi potrebbero essere riconducibili, ad esempio, (i) al ritardo nel recupero delle somme spettanti al concedente che, nel caso di risoluzione, risultano incassabili solo all’esito della procedura di vendita; o (ii) al pregiudizio subito per ogni giorno di ritardo nella mancata restituzione del bene da parte dell’utilizzatore (previsto per legge).

5. I problemi connessi alla procedura di vendita

Com’è noto, oltre agli effetti della risoluzione, il legislatore si è premurato di disciplinare tuzioristicamente le modalità con le quali il bene, dopo la risoluzione, dev’essere venduto.[2] Nell’ambito di tale articolata procedura, svariate sono le problematiche emerse all’indomani dell’approvazione della legge.

Un primo profilo riguarda l’ambito di applicazione della procedura di vendita. Nonostante la lettera della norma sembra riservare questa procedura alle sole ipotesi di risoluzione per inadempimento economico (cfr l’inciso “ai fini di cui al comma 138”), tale disciplina sarebbe applicabile per analogia anche a tutte le ipotesi di risoluzione contrattuale diverse da quelle disciplinate dal comma 137-138. Al riguardo, ragioni di coerenza interpretativa portano a ritenere applicabile la procedura di vendita a ogni ipotesi di risoluzione prevista dal contratto, e cioè anche nei suesposti casi di inadempimento c.d. “gestorio”. Ciò, anche al fine di evitare che il concedente sia costretto a trattare in modo differente casi disciplinati in modo simile, con conseguente inceppamento dei sistemi operativi delle società di leasing e minor trasparenza nei confronti dell’utilizzatore.

Fermo quanto sopra in merito all’ambito applicativo della norma, non è poi chiaro (i) cosa avvenga se non si può dare luogo alla vendita o ricollocazione per mancanza di offerte e (ii) cosa si intenda per “ricollocazione del bene” e, cioè, se siano ammissibili procedure alternative alla vendita come la stipula di un ulteriore contratto di leasing avente a oggetto lo stesso bene. Sotto il primo profilo, sembra potersi ritenere che, nell’ambito dell’autonomia negoziale delle parti, le stesse possano accordarsi prevedendo eventuali ribassi nel caso in cui il bene non sia collocabile nel mercato al prezzo di vendita determinato dal perito. Al riguardo, la lettera di risoluzione potrà prevedere indicazioni utili alla determinazione degli eventuali ribassi. Quanto al secondo aspetto, resta da chiarire se il bene che non è stato venduto (eventualmente anche a seguito di un ribasso) possa essere oggetto di altro contratto di leasing o di locazione operativa, ovvero possa per esempio essere concesso in uso ai dipendenti del concedente. Tali soluzioni, ancorché non previste dalla norma, avrebbero l’indubbio vantaggio di consentire al concedente di liberarsi in tempi celeri del bene, e di ottenere le somme necessarie per liquidare il cliente al netto del soddisfacimento preventivo del proprio credito.

Un ulteriore aspetto riguarda la nozione di pubbliche rilevazioni. Com’è noto, il bene deve essere venduto o ricollocato in primis in base ai“valori risultanti da pubbliche rilevazioni di mercato elaborate da soggetti specializzati”. Non è difficile supporre che tali rilevazioni siano quelle di OMI, NOMISMA, EUROTAX etc. che espongono la quotazione del valore del bene sulla base di determinati parametri come il tempo, l’anno di acquisto, i km percorsi (per le auto), etc.. Il problema nasce quando i beni oggetto del leasing non siano muniti di rilevazioni di mercato. In tale ipotesi, il comma 139 dell’art. 1 della legge n.124 del 2017 prevede che la vendita o la ricollocazione del bene avvenga sulla base di una stima effettuata da un perito scelto dalle parti di comune accordo nei venti giorni successivi alla risoluzione del contratto o, in caso di mancato accordo nel predetto termine, da un perito indipendente scelto dal concedente in una rosa di almeno tre operatori esperti, previamente comunicati all’utilizzatore, che può esprimere la sua preferenza vincolante ai fini della nomina entro dieci giorni dal ricevimento della predetta comunicazione.

Ci si chiede poi se i termini previsti dalla procedura di vendita siano perentori o ordinatori. Poiché a norma dell’art. 152 cod. proc. civ., “i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori” e poiché la nuova legge sul leasing tace sul punto, si può ragionevolmente supporre che tali termini siano ordinatori. Va da sé che il puntuale rispetto degli stessi sarà essenziale al fine di ridurre, unitamente a una gestione più documentale possibile della fase di vendita, il rischio di contenziosi relativi alla mala gestio della procedura di vendita. Ciò, in ragione del chiaro riferimento del comma 139 al fatto che “nella procedura di vendita o ricollocazione, il concedente si attiene a criteri di celerità, trasparenza e pubblicità, adottando modalità tali da consentire l’individuazione del migliore offerente possibile, con obbligo di informazione dell’utilizzatore”.

6. La nozione di perito indipendente

Grande attenzione merita poi la nozione di perito indipendente introdotta dal comma 139 della legge 124/2017. Secondo la lettera della norma, il perito è indipendente “quando non è legato al concedente da rapporti di natura personale o di lavoro tali da compromettere l’indipendenza di giudizio”. Anche con riferimento a tale nozione, si sono delineati diversi orientamenti. Secondo una prima posizione più restrittiva, il perito è indipendente allorquando non sia legato alla società di leasing da alcun rapporto di lavoro subordinato o autonomo[3]. Secondo un diverso orientamento, che trova conforto nelle Circolari di Banca d’Italia 288 e 285 contenenti le disposizioni di vigilanza delle Banche e degli Intermediari Finanziari, invece, la nozione di indipendenza dipende dall’assenza di conflitti di interesse in capo al perito rispetto al “processo di commercializzazione del credito” o “ad aspetti nevralgici” dell’erogazione del credito. Al riguardo, la citata normativa regolamentare attribuisce rilievo anche ai “rapporti di matrimonio o di unione civile, di parentela, di affinità e di convivenza di fatto e delle relazioni di natura professionale e patrimoniale intercorrenti tra tali soggetti” e “i soggetti coinvolti nel processo di erogazione del credito” e “i soggetti destinatari del finanziamento e i soggetti destinatari del finanziamento”.[4]

L’adesione all’una o all’altra tesi comporta conseguenze sostanziali sul piano operativo. E infatti, aderendo alla tesi più restrittiva che richiede l’assenza di alcun rapporto di lavoro con la società di leasing, si dovrebbe ritenere che il perito è indipendente solo quando non ha mai intrattenuto alcun rapporto lavorativo con la società di leasing. Ma in un mercato come quello del leasing, con migliaia di contratti stipulati ogni giorno, sembra irrealistico ritenere che per ogni contratto risolto, la società di leasing debba nominare un nuovo perito ogni volta. Sembra più ragionevole ritenere, in linea con la seconda tesi, che il perito sia indipendente quando non abbia – con riferimento allo specifico affare – alcun conflitto di interesse o alcun legame, di natura personale o lavorativa, tale da comprometterne l’indipendenza di giudizio.

Al riguardo, un intervento chiarificatore degli organi competenti potrà fare luce su questo tema.

7. Il recupero dello scaduto ante risoluzione

Un altro elemento di forte interesse riguarda la possibilità di agire per il recupero dei canoni scaduti anche in assenza di una formale risoluzione del contratto di leasing ai sensi del comma 137 della legge 124/2017. L’orientamento delineatosi all’indomani della nuova legge, che ritengo di condividere, ammette la possibilità di agire in via monitoria ex art. 633 e ss. c.p.c[5]. Per i crediti maturati in costanza di rapporto. Al riguardo, poiché il credito relativo ai canoni di leasing scaduti prima della risoluzione potrebbe essere certo (vale a dire non controverso nella sua esistenza, salvo opposizioni ex art. 615 c.p.c.), liquido (poiché determinato nel suo ammontare) ed esigibile (laddove non sia sottoposto a condizione o a termine), non sembrano sussistere impedimenti sostanziali per agire in via monitoria per il recupero di tale credito.

Quanto alla possibilità di addebito di interessi mora sulle rate scadute, non si ravvisano impedimenti sostanziali alla possibilità di addebitare all’utilizzatore gli eventuali interessi mora maturati. E infatti, l’art. 1224 cod. civ. “nelle obbligazioni che hanno per oggetto una somma di danaro (1277 e seguenti), sono dovuti dal giorno della mora gli interessi legali, anche se non erano dovuti precedentemente e anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno”.

8. Considerazioni conclusive

Sicuramente ancora molto resta da chiarire da parte degli operatori del diritto e della giurisprudenza anche alla luce dei concreti risvolti applicativi che scaturiranno dall’applicazione della nuova legge. Quel che è certo è che il tanto atteso intervento normativo consentirà di migliorare i processi operativi interni delle società di leasing garantendo una maggiore trasparenza per i consumatori. Da un lato, il riconoscimento del diritto di credito del concedente, unitamente alla previsione dell’obbligo di restituzione del bene in capo all’utilizzatore sono norme fondamentali che scolpiscono per tabulas i diritti essenziali del concedente, limitando condotte ritentive strumentali del bene, tese a contrastare in ogni modo la pretesa creditoria della società di leasing. Da un altro lato, l’introduzione di un’articolata procedura di vendita, il ricorso a un perito indipendente e la tipizzazione dell’inadempimento economico sono norme essenziali per l’utilizzatore che amplia i suoi strumenti di tutela nella c.d. fase di remarketing.

In linea generale, sarà opportuno che la lettera di risoluzione sia più il più completa possibile, e preveda la diffida alla restituzione del bene, come sancito dalla legge, un’adeguata declinazione degli adempimenti relativi alla procedura di vendita, come previsti dal comma 139, l’indicazione della rosa dei periti da scegliere nei venti giorni successivi alla risoluzione e financo eventuali ribassi ai quali le parti potrebbero ricorrere nel caso in cui la procedura di vendita o ricollocazione non dovesse esaurirsi positivamente nel breve termine. Va da sé che, più la lettera di risoluzione sarà completa e puntuale e meno la società di leasing sarà esposta a rischi di contestazioni relative a un’eventuale mala gestio nella procedura di vendita.



[1] Com’è noto, ai sensi dell’art. 1, comma 138 della legge 124/2017, “in caso di risoluzione del contratto per l’inadempimento dell’utilizzatore ai sensi del comma 137, il concedente ha diritto alla restituzione del bene, è tenuto a corrispondere all’utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene, effettuata ai valori di mercato, dedotte la somma pari all’ammontare dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere, solo in linea capitale, e del prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto, nonché le spese anticipate per il recupero del bene, la stima e la sua conservazione per il tempo necessario alla vendita. Resta fermo nella misura residua il diritto di credito del concedente nei confronti dell’utilizzatore quando il valore realizzato con la vendita o altra collocazione del bene è inferiore all’ammontare dell’importo dovuto dall’utilizzatore a norma del periodo precedente”.

[2] Al riguardo, l’art. 1, comma 139 prevede che: “ai fini di cui al comma 138, il concedente procede alla vendita o ricollocazione del bene sulla base dei valori risultanti da pubbliche rilevazioni di mercato elaborate da soggetti specializzati.  Quando non è possibile far riferimento ai predetti valori, procede alla vendita sulla base di una stima effettuata da un perito scelto dalle parti di comune accordo nei venti giorni successivi alla risoluzione del contratto o, in caso di mancato accordo nel predetto termine, da un perito indipendente scelto dal concedente in una rosa di almeno tre operatori esperti, previamente comunicati all’utilizzatore, che può esprimere la sua preferenza vincolante ai fini della nomina entro dieci giorni dal ricevimento della predetta comunicazione. Il perito è indipendente quando non è legato al concedente da rapporti di natura personale o di lavoro tali da compromettere l’indipendenza di giudizio.  Nella procedura di vendita o ricollocazione il concedente si attiene a criteri di celerità, trasparenza e pubblicità adottando modalità tali da consentire l’individuazione del migliore offerente possibile, con obbligo di informazione dell’utilizzatore

[3] Cfr. Decreto 5 marzo 2015, n. 30 su fondo immobiliare art. 16.

[4] Cfr. Circolare di Banca d’Italia 288, Titolo III – Cap. 1 – Sezione VII – “Gli intermediari, inoltre, verificano che i periti persone fisiche e gli esponenti dei soggetti costituiti in forma societaria o associativa incaricati di valutare gli immobili non versino in concreto in una situazione di conflitto di interessi rispetto al processo di commercializzazione del credito o ad aspetti nevralgici del processo di erogazione del credito dell’intermediario o del gruppo finanziario o bancario. A tal fine, tengono anche conto dei rapporti di matrimonio o di unione civile, di parentela, di affinità e di convivenza di fatto e delle relazioni di natura professionale e patrimoniale intercorrenti tra tali soggetti e:

– i soggetti coinvolti nel processo di erogazione del credito a garanzia del quale viene posto l’immobile oggetto di valutazione;

– i soggetti destinatari del finanziamento garantito dall’immobile oggetto di valutazione

[5] Art. 633 c.p.c. Condizioni di ammissibilitàSu domanda [c.p.c. 638] di chi è creditore di una somma liquida di danaro o di una determinata quantità di cose fungibili [c.p.c. 639], o di chi ha diritto alla consegna di una cosa mobile determinata, il giudice competente [c.p.c. 637] pronuncia ingiunzione di pagamento [c.p.c. 658] o di consegna […]:”

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