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Approfondimenti

Le recenti disposizioni in tema di concordato preventivo liquidatorio

7 Settembre 2016

Fabio Macrì, managing associate del Focus Team Crisi Aziendali e Ristrutturazione del Debito di BonelliErede

Di cosa si parla in questo articolo

1. Con la recente riforma della legge fallimentare attuata con la L. n. 132 del 6.8.2015 (che ha convertito il Decreto Legge n. 83 del 27.6.2015) il legislatore è nuovamente intervenuto sulla disciplina del concordato preventivo.

Tali modifiche denotano la volontà del legislatore, da un lato, di attenuare il favor per la soluzione concordataria e, dall’altro lato, di riequilibrare il rapporto fra il debitore e i creditori rispetto alle riforme precedenti, palesemente caratterizzate dall’intenzione di proteggere il debitore rispetto a possibili iniziative dei creditori e di attribuire al debitore medesimo il maggior numero possibile di strumenti finalizzati a consentire il risanamento della sua posizione debitoria[1].

Quanto sopra affermato è particolarmente vero se ci si sofferma sulle modifiche apportate dalla recente riforma alla disciplina del concordato preventivo liquidatorio[2]. Quest’ultimo era già stata toccato dalle precedenti riforme della legge fallimentare che ne avevano sensibilmente ridotto l’ambito di applicazione nell’intento di favorire la continuità aziendale, ritenuta ormai l’obiettivo maggiormente desiderabile di una procedura di risanamento aziendale.

Nonostante l’evidente favor per il concordato con continuità aziendale, il legislatore italiano non era puntualmente intervenuto sulla disciplina del concordato preventivo liquidatorio che, quindi, restava ancora basata sui principi sanciti dalla legge fallimentare e dall’elaborazione giurisprudenziale, primo fra tutti quello secondo cui nel concordato preventivo liquidatorio (e a differenza di quanto avveniva e avviene tuttora nel concordato con continuità aziendale) il debitore non assumeva nei confronti dei creditori alcun obbligo di garantire loro una determinata percentuale di soddisfacimento, consistendo la sua obbligazione concordataria nel mettere a disposizione dei propri creditori il ricavato della vendita di tutti i propri beni[3].

La riforma del 2015 è invece intervenuta profondamente sulla disciplina del concordato preventivo liquidatorio, modificandone i principi e le regole applicative. Il quadro che risulta da tale riforma è quello di un istituto fortemente ridimensionato, che sempre più difficilmente potrà essere utilizzato dai debitori in crisi per poter procedere alla ristrutturazione del proprio indebitamento senza fallire.

2. Il nuovo art. 160, comma 4, l. fall. stabilisce ora che: “In ogni caso la proposta di concordato deve assicurare il pagamento di almeno il venti per cento dell’ammontare dei crediti chirografari. La disposizione di cui al presente comma non si applica al concordato con continuità aziendale di cui all’articolo 186 bis”.

La dottrina e la giurisprudenza prevalenti ritengono correttamente che con tale disposizione il legislatore abbia voluto imporre al debitore l’obbligo di pagare ai propri creditori chirografari un importo pari al 20% del credito da essi vantato nei confronti del debitore medesimo[4]. Tale interpretazione, in particolare, si impone:

(a) da un lato, perché il termine “assicurare” compare anche nel nuovo art. 161, comma 2, lett. (d), l. fall. (nel quale è stabilito che “la proposta deve indicare l’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore”), ove non può dubitarsi che con tale disposizione si sia inteso specificare che il debitore deve assumere un vero e proprio obbligo nei confronti dei propri creditori;

(b) dall’altro lato, perché la relazione di accompagnamento alla nuova disposizione di cui all’art. 161, comma 2, lett. (d), l. fall. sopra indicata precisa che tale modifica ha la “finalità di evitare che possano essere presentate proposte .. che lascino del tutto indeterminato e aleatorio il conseguimento di una utilità specifica per i creditori”. Se quindi la volontà del legislatore è di far sì che la proposta di concordato sia il più possibile determinata (e che quindi il debitore sia vincolato nei confronti dei creditori), allora deve giocoforza ritenersi che anche nel concordato preventivo liquidatorio la soglia del 20% sia fonte di un obbligo che il debitore deve assumere nei confronti dei creditori.

Si tratta quindi di una disposizione di fondamentale rilievo.

Anzitutto essa sovverte il principio cardine del concordato preventivo liquidatorio sopra illustrato. Invero, il debitore non potrà più mettere a disposizione dei propri creditori il proprio patrimonio e destinare a costoro il ricavato della vendita dei suoi beni senza garantire una determinata percentuale di soddisfacimento. La legge prevede ora che, pur rimanendo invariata la struttura del concordato preventivo liquidatorio (vale a dire la cessione dell’attivo concordatario), il debitore dovrà comunque obbligarsi a pagare ai creditori chirografari una percentuale pari ad almeno il 20% del credito da essi vantato.

In questo modo, il concordato preventivo liquidatorio viene assimilato al concordato preventivo con continuità aziendale, nella misura in cui come in quest’ultima tipologia di concordato preventivo anche nel concordato preventivo liquidatorio il debitore si impegna a pagare i creditori chirografari in una determinata percentuale. L’assimilazione delle due strutture è però solo apparente, perché nel concordato preventivo con continuità aziendale la legge non prevede alcuna percentuale minima di soddisfacimento che il debitore deve assicurare ai propri creditori (ferma restando, comunque, la soddisfazione in percentuale non irrisoria), mentre nel concordato preventivo liquidatorio viene fissata una soglia minima pari al 20%.

Evidente è quindi il diverso giudizio di valore espresso dal legislatore rispetto al concordato preventivo con continuità e a quello liquidatorio: mediante il concordato preventivo con continuità il debitore non è vincolato ad alcuna soglia minima di soddisfacimento dei creditori (purché la soddisfazione non sia irrisoria), perché la continuità aziendale è un bene in sé e pertanto deve essere valorizzato. Per contro, se il debitore non è in grado di assicurare ai creditori chirografari il pagamento del loro credito in misura pari ad almeno il 20%, ad avviso del legislatore è preferibile un fallimento rispetto a un concordato preventivo.

E’ probabile che su questa decisione abbiano influito quelle proposte di concordato, giudicate inammissibili per mancanza di causa dalla giurisprudenza, nelle quali il debitore aveva proposto ai propri creditori una soddisfazione irrisoria; deve però evidenziarsi come la giusta censura di tali decisioni non giustifichi in ogni caso né tale diversità di trattamento fra concordato preventivo liquidatorio e concordato preventivo con continuità aziendale né la convinzione per cui un fallimento sia per forza preferibile a un concordato preventivo liquidatorio[5].

In ogni caso, a prescindere dal fatto che la scelta del legislatore sia o meno condivisibile, risulta evidente l’atteggiamento di disfavore adottato dalla recente riforma della legge fallimentare nei confronti del concordato liquidatorio.

La giurisprudenza, nell’evidente finalità di salvaguardare un certo margine applicativo del concordato preventivo liquidatorio, ha comunque stabilito che “in caso di formazione di classi, il rispetto dell’obbligo di corrispondere almeno il 20% dei crediti chirografari andrà assolto non in relazione a ogni singola classe ma con riferimento all’ammontare complessivo dei crediti chirografari”. Tale interpretazione si basa sul tenore letterale dell’art. 160, comma 4, l. fall. il quale, da un lato, non menziona l’ipotesi del concordato preventivo liquidatorio con classi e, dall’altro lato, fa riferimento all’ “ammontare” dei crediti chirografari. Si tratta comunque di una lettura della disposizione che ben si presta a consentire la proponibilità di concordati liquidatori in cui i beni su cui insistono ipoteche, pegni o altri privilegi siano incapienti, atteso che in questi casi ai creditori privilegiati non dovrà essere comunque assicurato (anche) il pagamento del 20% del rispettivo credito per la parte declassata al chirografo[6].

L’atteggiamento di sfavore del legislatore nei confronti del concordato preventivo liquidatorio è ancor più confermato se si pone attenzione al fatto che il nuovo art. 160, comma 4, l. fall. precisa che ciò che il debitore deve assicurare ai propri creditori chirografari è il “pagamento” di almeno il 20% del loro credito.

A meno di non voler ritenere che il legislatore sia irrazionale (il che sarebbe contrario ai principali criteri interpretativi), l’interpretazione letterale di tale nuova disposizione depone nel senso che nel concordato preventivo liquidatorio il 20% del credito dei chirografari non possa essere soddisfatto con modalità diverse dal pagamento di una somma di denaro. Evidente è infatti la differente terminologia utilizzata dal legislatore nell’art. 160, comma 1, lett. (a), l. fall., ove si precisa che la proposta concordataria può prevedere la soddisfazione dei crediti “attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo o altre operazioni straordinarie”.

Una parte della dottrina aveva cercato di porre in dubbio tale interpretazione ritenendo che l’art. 160, comma 1, lett. (a), l. fall. costituisse espressione di un principio generale in forza del quale nel concordato preventivo (quale che ne fosse la natura) le modalità satisfattive diverse dal denaro fossero comunque ammesse e che, pertanto, la portata applicativa della disposizione di cui all’art. 160, comma 4, l. fall. dovesse essere ridotta[7].

Una recente pronuncia del Tribunale di Milano ha però valorizzato il tenore letterale dell’art. 160, comma 4, l. fall., rilevando come le norme di cui all’art. 160, comma 4, l. fall. e all’art. 160, comma 1, lett. (a), l. fall. lungi dall’essere in contraddizione fra loro ben possano essere interpretate in modo armonico. Più precisamente, ad avviso del Tribunale di Milano la lettera del nuovo art. 160, comma 4, l. fall. deve essere interpretato nel senso che “nella proposta, il debitore si deve obbligare al pagamento monetario dell’ammontare del 20% del complessivo ammontare dei crediti chirografari, non essendo consentita la soddisfazione in altro modo. Il legislatore ha previsto, infatti, un contenuto necessario ed indisponibile della proposta, al quale può eventualmente aggiungersene uno eventuale, rimesso alla piena disponibilità del debitore, il quale potrebbe ad esempio prospettare ai creditori il pagamento di una somma ulteriore o utilità diverse, comunque idonee ad accrescere la misura del loro soddisfacimento. A favore di questa interpretazione milita la necessità di attenersi, in ossequio alla regola posta dall’art. 12 delle preleggi, al chiaro e per nulla ambiguo tenore letterale della norma, giacché il termine «pagamento» ha un suo significato tecnico proprio e preciso, in alcun modo equivalente al concetto di «soddisfacimento» e riconduce, secondo il tribunale senza incertezze, a quello che, ex art. 1277 c.c., costituisce lo strumento normale di adempimento delle obbligazioni pecuniarie e cioè il denaro. Non è vero, peraltro, che tale ricostruzione contraddica il primo comma del medesimo art. 160 leg. fall., laddove dispone che il piano concordatario possa prevedere «la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei creditori attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie…» dovendosi semplicemente ritenere che, in caso di concordato per cessio bonorum o di concordato promissorio, la previsione operi in relazione a quello che si è in precedenza definito il contenuto eventuale della proposta” [8].

Per quanto l’interpretazione del Tribunale di Milano sia fedele al dato letterale della norma, potrebbe però dubitarsi della sua conformità rispetto all’art. 3 della Costituzione.

Parte della dottrina[9] ha ritenuto che la norma possa superare una possibile censura di incostituzionalità, dato che potrebbe ritenersi che la diversa disciplina del concordato liquidatorio rientri nell’esercizio della discrezionalità legislativa; tuttavia, a ben vedere non è dato capire quale sia la ratio idonea a giustificare una così marcata diversità di trattamento del concordato preventivo liquidatorio rispetto sia al concordato preventivo con continuità aziendale, sia alle disposizioni e principi generali in materia di concordato preventivo.

In ogni caso, l’interpretazione fornita dal Tribunale di Milano conferma il giudizio negativo del legislatore nei confronti del concordato preventivo liquidatorio, la cui proposta dovrà non solo prevedere il pagamento dei crediti chirografari in misura pari ad almeno il 20%, ma anche individuare il pagamento in denaro come unica modalità di soddisfazione di tale percentuale. Il che configura un’ulteriore rilevante differenza rispetto al concordato preventivo con continuità che, come detto, non solo è libero da qualsiasi costrizione rispetto alla percentuale da assicurare ai creditori (fatta salva l’irrisorietà della stessa) ma può prevedere la soddisfazione di questi ultimi con qualsiasi modalità, e, quindi, anche senza fare ricorso al pagamento in denaro.

3. Le modifiche introdotte dalla L. n. 132/2015 alla disciplina del concordato preventivo liquidatorio comportano rilevanti conseguenze anche su altri aspetti concernenti, segnatamente, i poteri del Tribunale e i presupposti della risoluzione del concordato preventivo liquidatorio.

Sotto il primo profilo (vale a dire quello dei poteri del Tribunale), deve rilevarsi che il rispetto della soglia del 20% e la circostanza che la soddisfazione di tale percentuale di crediti chirografari mediante il pagamento in denaro, nella misura in cui costituiscono dei requisiti della domanda obbligatoriamente previsti dalla legge.

Ciò significa che il mancato rispetto di almeno uno di tali presupposti si risolverà in un vizio della domanda di concordato, tale da determinare la sua inammissibilità[10]. Ed è in conformità a tale assunto che il Tribunale di Milano, nella pronuncia già citata sopra sub § 2, ha dichiarato inammissibile la proposta di concordato effettuata dal debitore, atteso che quest’ultima non prevedeva la soddisfazione del 20% dei creditori chirografari mediante il pagamento in denaro, bensì mediante l’accollo di alcuni dei debiti da parte di terzi soggetti.

Sotto il secondo profilo (vale a dire quello della risoluzione del concordato), deve ritenersi che, come in tutti le tipologie di concordato preventivo, la misura della non scarsa importanza dell’inadempimento debba essere valutata sul contenuto della proposta e di ciò che il debitore si è obbligato ad assicurare ai creditori. Pertanto, se il debitore si è impegnato ad assicurare comunque il pagamento dei creditori chirografari in misura non inferiore al 20% dei rispettivi crediti, sarà sul rispetto di tale obbligo (e di tale percentuale di pagamento) che dovrà essere valutato il corretto adempimento da parte del debitore delle proprie obbligazioni concordatarie. Per contro, ove il debitore si sia impegnato ad “assicurare” ai creditori chirografari una soddisfazione maggiore rispetto alla percentuale del 20% dei rispettivi crediti, sarà con riferimento a tale diversa (e maggiore) percentuale che bisognerà valutare il rispetto dei propri obblighi da parte del debitore.

Non si ritiene pertanto condivisibile l’opinione di parte della dottrina che (nell’evidente tentativo di favorire il ricorso al concordato preventivo liquidatorio) ha ritenuto che in tale ultima specie di concordato preventivo “la misura dell’inadempimento vada calcolata in base non già alla percentuale indicata nella domanda, ma al mancato conseguimento del 20%, di tal che non vi sarebbe inadempimento ove la percentuale di soddisfacimento concretamente realizzata rimanesse pur sempre al di sopra della soglia del 20% (o poco al di sotto di essa)” [11].

Va comunque rilevato che il problema interpretativo ora posto rischia di rimanere esclusivamente teorico, atteso che stante l’intrinseca alea di qualsiasi concordato liquidatorio (che, come tale, dipende dal valore di liquidazione dei beni costituenti l’attivo concordatario e dal fatto che tali beni siano effettivamente venduti al prezzo stimato) è ragionevole prevedere che la maggior parte delle proposte di concordato liquidatorio si fonderanno sull’impegno da parte del debitore di assicurare la soddisfazione dei creditori chirografari in misura non inferiore al 20% dei loro rispettivi crediti, senza l’assunzione di obblighi di soddisfacimento ulteriori, che potrebbero mettere a rischio la realizzazione del piano concordatario.

4. Le peculiarità della disciplina del concordato preventivo liquidatorio introdotte dalla L. n. 132/2015 comportano la necessità di effettuare ulteriori riflessioni relative al rapporto fra concordato preventivo liquidatorio e concordato preventivo con continuità aziendale.

Ci si riferisce, in particolare, al tema ampiamente dibattuto della disciplina da applicare al c.d. “concordato misto”, vale a dire al concordato preventivo che prevede sia elementi di continuità aziendale, sia elementi propri di una liquidazione; tema che si pone avuto riguardo al fato che l’art. 186-bis, comma 1, l. fall. stabilisce che il “piano può prevedere anche la liquidazione di beni non funzionali all’esercizio dell’impresa”.

La questione della disciplina applicabile al c.d. “concordato misto” assume oggi un’importanza maggiore rispetto al passato, tenuto conto delle modifiche introdotte alla disciplina del concordato preventivo liquidatorio e, in particolare, all’obbligo di assicurare ai creditori chirografari il pagamento di almeno il 20% dei loro rispettivi crediti.

Al riguardo, sono tre gli orientamenti che sono venuti ad affermarsi in dottrina e giurisprudenza, e precisamente:

(a) il criterio della continuità aziendale, secondo cui la mera circostanza che il piano di concordato preveda elementi di “continuità aziendale”, determinerebbe ipso jure l’applicabilità della disciplina prevista dall’art. 186-bis l. fall. e l’esclusione di qualsiasi residuale ambito di applicazione per la normativa sul concordato preventivo liquidatorio[12];

(b) il criterio del frazionamento, secondo cui andrebbe applicata la disciplina di volta in volta più confacente con la porzione di piano concordatario che viene esaminata. In altri termini, occorrerebbe applicare la disciplina del concordato preventivo con continuità aziendale alla parte del piano di concordato caratterizzata dalla continuità aziendale e, per converso, la disciplina del concordato preventivo liquidatorio alla parte di piano caratterizzata dalla liquidazione dei beni dell’attivo concordatario[13];

(c) il criterio della prevalenza, secondo cui il piano di concordato andrebbe assoggettato alla disciplina che, in termini qualitativi e quantitativi, risulta prevalente. In altri termini, secondo tale orientamento, il concordato preventivo c.d. “misto” andrebbe sottoposto alla disciplina del concordato preventivo liquidatorio solo nel caso in cui le utilità ricavabili dalla liquidazione dei beni estranei al perimetro aziendale in continuità rappresentino la parte preponderante dell’attivo concordatario[14].

Deve purtroppo constatarsi come, nonostante il criterio della prevalenza appaia di gran lunga il più convincente, la posizione della giurisprudenza sul punto sia molto diversificata e, pertanto (e come spesso accade da ultimo in materia fallimentare), la risposta al tema in esame dipenda, in ultima analisi, dal Tribunale che ha in carico la procedura concordataria.

Altro aspetto che, a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 132/2015, è divenuto rilevante è quello relativo alla qualificazione del concordato con continuità aziendale, con particolare riferimento alla questione se debba o meno essere considerato un concordato con continuità aziendale quello il cui piano si fondi sulla c.d. “continuità aziendale indiretta”, vale a dire su un contratto di affitto di azienda stipulato anche prima dell’accesso alla procedura di concordato preventivo.

Non è certo questa la sede per ripercorrere il dibattito dottrinale e giurisprudenziale su tale spinoso tema. Pare invece dirimente rilevare come, nonostante il panorama giurisprudenziale sia ancora abbastanza variegato, si stia progressivamente affermando la tesi volta a privilegiare la continuità c.d. “oggettiva” (a prescindere se essa sia diretta o indiretta) [15]. Di conseguenza, sul presupposto che sia l’azienda in senso “oggettivo” a continuare, deve ritenersi che anche l’affitto di azienda (anche se stipulato prima dell’accesso alla procedura di concordato) non faccia venir meno i presupposti di cui all’art. 186-bis l. fall.e che, pertanto, non residui alcuno spazio per l’applicazione delle disposizioni sul concordato preventivo liquidatorio.

[1] In questo senso, Ambrosini, La disciplina della domanda di concordato preventivo nella “miniriforma” del 2015, in www.ilcaso.it.

[2] In argomento, si veda Ambrosini, La disciplina della domanda di concordato preventivo nella “miniriforma” del 2015, cit., Zanichelli, Il ritorno della ragione o la ragione di un ritorno ?, in www.ilcaso.it; Vitiello, Concordato con continuità e liquidatorio dopo la riforma, elementi critici e proposte de iure condendo, in www.ilfallimentarista.it; Vitiello, I contenuti della proposta di concordato dopo la miniriforma del 2015, in www.ilfallimentarista.it; Sabatelli, Appunti sul concordato preventivo dopo la legge di conversione del D.L. n. 83/2015, in www.ilcaso.it; Buffelli, Concordato con cessione dei beni dopo la l. n. 132/15: riflessioni sulla proposta fondata su stime, in www.ilfallimentarista.it.

[3] V. Cass. Sez. Un. 23.1.2013, n. 1521, in Dir Fall., 2013, II, p. 1.

[4] In questo senso, Ambrosini, La disciplina della domanda di concordato preventivo nella “miniriforma” del 2015, cit.; Linee Guida del Tribunale di Roma in ordine a talune questioni controversie della procedura di concordato preventivo, in www.ilfallimentarista.it; Trib. Rovigo, 1.8.2016, in www.ilcaso.it. In senso contrario, v. Zanichelli, Il ritorno della ragione o la ragione di un ritorno ?, cit.. Adotta invece un’interpretazione mediana Trib. Pistoia 29.10.2015 in www.ilcaso.it, secondo cui l’utilizzo del termine “assicurare” esprime la volontà del legislatore di far sì che la proposta di concordato formuli in termini più certi rispetto a quelli di una mera previsione la percentuale offerta ai creditori chirografari.

[5] In questo senso, Ambrosini, La disciplina della domanda di concordato preventivo nella “miniriforma” del 2015, cit..

[6] Così le Linee Guida del Tribunale di Roma in ordine a talune questioni controversie della procedura di concordato preventivo, cit.; in senso conforme Vitiello, Concordato con continuità e liquidatorio dopo la riforma, elementi critici e proposte de iure condendo, cit..

[7] In questo senso, Ambrosini, La disciplina della domanda di concordato preventivo nella “miniriforma” del 2015, cit..

[8] Trib. Milano 7.4.2016, in www.ilcaso.it. In senso conforme, Vitiello, Concordato con continuità e liquidatorio dopo la riforma, elementi critici e proposte de iure condendo, cit..

[9] In questo senso, Ambrosini, La disciplina della domanda di concordato preventivo nella “miniriforma” del 2015, cit..

[10] In questo senso, Ambrosini, La disciplina della domanda di concordato preventivo nella “miniriforma” del 2015, cit..

[11] In questo senso, Ambrosini, La disciplina della domanda di concordato preventivo nella “miniriforma” del 2015, cit..

[12] Così le Linee Guida del Tribunale di Roma in ordine a talune questioni controversie della procedura di concordato preventivo, cit..

[13] Così Trib. Ravenna 28.4.2015, in Fall. 2016, 77.

[14] Così Trib. Roma 24.3.2015, in Fall. 2016, 79; Trib. Pistoia 29.10.2015, cit.. In dottrina, Ambrosini, Appunti in tema di concordato con continuità aziendale, in www.ilcaso.it.

[15] In questo senso, si vedano Trib. Bolzano 10.3.2015, in www.ilcaso.it; Trib. Reggio Emilia 21.10.2014, in www.ilcaso.it; Trib. Avezzano 22.10.2014, in www.ilcaso.it; Trib. Vercelli 13.8.2014, in www.ilcaso.it; Trib. Cuneo 29.10.2013, in www.ilcaso.it; Trib. Firenze 19.3.2013 in www.ilfallimentarista.it. In dottrina, Arato, Questioni controverse nel concordato preventivo con continuità aziendale: il conferimento e l’affitto di azienda, il pagamento ultrannuale dei creditori privilegiati, l’uscita dalla procedura, in www.ilcaso.it.

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