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Approfondimenti

L’equity crowdfunding dopo la Legge di Stabilità 2017

19 Dicembre 2016

Giovanni Cucchiarato, partner, Jenny.Avvocati

Di cosa si parla in questo articolo

1. Introduzione

Il crowdfunding nelle sue molteplici forme (che nel corso dell’ultimo quinquennio hanno formato oggetto di numerosi ed importanti studi e dibattiti[1]) ormai rappresenta – anche dal punto di vista dei policy- e law-makers nazionali – uno strumento tramite cui tentare di ovviare, almeno in parte, alla cronica difficoltà delle imprese ad accedere al mercato dei capitali, difficoltà che la prolungata crisi degli ultimi ha accentuato.

L’Italia è stata, come noto, il primo paese in Europa a dotarsi di una disciplina specifica relativa all’equity crowdfunding, una forma di crowdinvesting che si risolve nella sottoscrizione da parte degli investitori di una partecipazione al capitale sociale dell’impresa finanziata.

Anche per effetto della pressione degli stakeholders interessati, tale disciplina è stata nel tempo modificata – sia dal Legislatore, sia dalla Consob – per ovviare alle conseguenze di alcuni “peccati originali”, tra i quali assumeva preminenza – a detta di numerosi esperti pratici e teorici – la limitazione della possibilità di raccogliere capitali online alle solestart-ups cd. “innovative”.

Ripensando il restrittivo approccio caratterizzante l’apparato regolatorio originario risalente al 2012, già nel 2015 il Legislatore aveva “autorizzato” anche le piccole e medie imprese innovative ad avvalersi dei portali di equity crowdfunding per raccogliere capitali. Con la Legge di Stabilità 2017 – approvata, come noto, in via definitiva dal Senato il 7 dicembre 2016, nella medesima versione licenziata dalla Camera il 24 novembre 2016 –, il Legislatore ha ora esteso a tutte le piccole e medie imprese, indipendentemente dal requisito della “innovatività”, la possibilità di fare ricorso allo strumento dell’equity crowdfunding.

Nel prosieguo, senza addentrarci nei possibili profili di criticità della disciplina vigente e, quindi, pervenire a pur sommarie “misurazioni” dei meriti e dei demeriti complessivi del regolatore nostrano, ci si limiterà a ripercorrere brevemente le “tappe” dell’evoluzione normativa, cogliendo altresì l’occasione per segnalare quella che sembra essere stata una (possibile) “svista”, cui ci si augura il Legislatore vorrà prontamente rimediare.

2. Il contesto di riferimento e la “nuova” politica industriale

In linea sia con le generali strategie finalizzate a sancire il definitivo superamento della crisi finanziaria globale e con i contenuti dei documenti di policy dichiaratamente volti a “rianimare” l’imprenditorialità elaborati a livello continentale[2], come pure al precipuo fine di dare attuazione a talune raccomandazioni delle istituzioni comunitarie puntualmente rivolte al Governo italiano[3], nel 2012 il Legislatore nazionale aveva intrapreso un’azione di riforma volta a rimediare alla drammaticità dello stato di crisi in cui versava l’economia domestica[4] e vi aveva poco più tardi fatto seguire l’adozione di talune misure aggiuntive volte – tra l’altro – a creare un ecosistema normativo complessivamente capace di supportare la ripresa, anche attraverso l’incentivazione del rinnovamento del tessuto imprenditoriale domestico.

Come il tenore di talune rilevanti previsioni legislative lascia chiaramente intendere[5], uno degli obiettivi specifici delle “ulteriori misure [adottate] per la crescita del Paese” era infatti quello di trasformare l’Italia in un nuovo “start-up country”, propiziando la transizione del sistema economico nostrano verso un modello autenticamente incentrato sulla conoscenza, che perciò fosse capace di costantemente generare innovazione e, quindi, di indurre – come l’esperienza di altri paesi, ad esempio quella israeliana, ha dimostrato esser possibile – un significativo sviluppo economico e, in ultima istanza, un apprezzabile e diffuso miglioramento delle generali condizioni di welfare.

3. Attuazione della policy: il Decreto Crescita 2.0

Proprio alla luce delle delineate finalità di policy si spiegava la centralità, nel contesto della legislazione di riferimento, della nozione di “start-up innovativa”, intesa quale «società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione…», e che ha «quale oggetto sociale esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico», sempre che sia «costituita e svolg[a] attività d’impresa da non più di sessanta mesi» e non sia «stata costituita da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda», nonché soddisfi determinati requisiti in termini di fatturato e di distribuzione di utili e possegga almeno uno dei tre requisiti previsti dalla legge relativamente alla percentuale di spese in ricerca e sviluppo, all’impiego di dipendenti o collaboratori particolarmente qualificati, nonché al possesso di determinati diritti di proprietà industriale[6].

I vantaggi associati allo status di start-up innovativa e derivanti dalla combinazione dei tre elementi della forma organizzativa, dell’innovatività del progetto imprenditoriale e dello stato di “seeding” in cui si trova l’impresa sono numerosi ed importanti. A queste imprese, infatti, è consentito non soltanto di giovarsi – tra l’altro – di un rilassamento della disciplina societaria (oltre che fiscale, giuslavoristica e fallimentare), ma anche, per quanto qui di interesse, di beneficiare della possibilità di raccogliere capitali di rischio online tramite campagne di equity crowdfunding effettuate da appositi portali.

Il che implicava che non soltanto la valorizzazione delle potenzialità dell’innovazione aveva portato, allora, al superamento di veri e propri “dogmi” dell’ordinamento societario nostrano, tra cui principalmente il capitale sociale, ma aveva altresì segnato l’avvento di un sistema di raccolta di capitale presso il pubblico che, per lo meno nella sua forma “internettiana”, era sino ad allora stato considerato, nel migliore degli scenari, futuristico e, da parte dei più scettici, inattuabile perché di fatto incompatibile con le massive tutele di cui sul piano informativo gli investitori tipicamente beneficiano prima di pervenire ad una decisione di investimento.

Come si era da subito notato, l’ambito di applicazione della nuova disciplina era decisamente ristretto, essendo la raccolta di capitali di rischio online possibile per le (allora) sole 1300 start-up innovative (attualmente il numero è cresciuto sino ad oltre 6700), che rappresenta un numero esiguo rispetto alle decine di migliaia di piccole e medie imprese dislocate sul territorio italiano. Sebbene un possibile ma – si ritiene – opinabile vantaggio scaturente da questa scelta avrebbe potuto essere rappresentato dalla possibilità di pervenire, in tal modo, ad una sperimentazione “sul campo” della adeguatezza ed efficacia di una disciplina relativa ad un fenomeno del tutto nuovo[7] (e all’epoca fondamentalmente sconosciuto), senza che però ciò implicasse immediatamente il generalizzato allontanamento dai paradigmi normativi più tradizionali, quei numeri parlavano chiaro: l’equity crowdfunding era destinato a risultare un fenomeno “di nicchia”, perché come tale era stato concepito dallo stesso Legislatore[8].

4. La prima revisione: l’erosione della restrizione

Nel 2015, a dichiarato completamento del percorso avviato a fine 2012 – ovvero, a seconda dei punti di vista, a correzione di un errore di impostazione – il Legislatore, di nuovo enfatizzando la rilevanza delle imprese tecnologiche quale causa di accresciuta produttività industriale, competitività dell’economia domestica, creazione dell’occupazione e, quindi, fonte di diffuso maggior benessere, con il Decreto “Investment Compact”[9] ebbe ad ampliare il novero delle imprese “autorizzate” a raccogliere capitali online, introducendo la nozione di “piccole e medie imprese innovative”[10], sì come definite nella legislazione europea[11] e fermi – si intende – taluni requisiti aggiuntivi utili a qualificarle anche sotto il profilo della innovatività[12].

In via di approssimazione, può comunque dirsi che l’estensione ha interessato (potenzialmente) quasi tutte le piccole e medie imprese che operano nel campo dell’innovazione tecnologica, a prescindere dalla data di costituzione, dalla formulazione dell’oggetto sociale e dal livello di maturazione. Ciò nonostante, ad oggi il numero delle PMI innovative iscritte nella sezione speciale del Registro delle Imprese è sicuramente esiguo rispetto alla platea potenziale (solo 327 al 12 dicembre 2016).

Anche in questo caso, la scelta – per quanto risulta dalla documentazione di accompagnamento al sopra citato Decreto Investment Compact – si giustificava in ragione del fatto che tali imprese «rappresentano la spina dorsale del sistema economico e produttivo nazionale», sicché «[l]a “svolta espansiva” impressa dall’Investment Compact rappresenta pertanto un’evoluzione logica e ineludibile per una politica industriale … che attraverso lo sviluppo tecnologico intende promuovere la crescita sostenibile e la diffusione di una nuova cultura imprenditoriale più incline ad attingere dal mondo della ricerca e dell’università e ad aprirsi ai flussi internazionali di capitale umano e finanziario»; e che anche «sulla scorta delle incoraggianti evidenze empiriche prodotte dalla normativa sulle start-up innovative …, [il Governo intendeva] accelerare il rafforzamento e la crescita dimensionale delle imprese caratterizzate da una forte dotazione tecnologica»[13].

5. Il ripensamento degli obiettivi di policy

Dall’accesso all’equity crowdfunding risultavano a quel punto escluse non soltanto tutte le piccole e medie imprese non operanti nel campo dell’innovazione tecnologica, ma anche (pur se in modo meno apparente) tutte quelle imprese che, pur essendo pervenute alla elaborazione di un progetto ad alto contenuto tecnologico, si collocavano tuttavia al di là del perimetro applicativo della nuova disciplina.

Ad ovviare a tale stato di cose ha ora provveduto, a distanza di circa un anno, il Legislatore. La Legge di Bilancio 2017[14] ripensa infatti il grado di specializzazione dei portali di equity crowdfunding e, modificando il tessuto legislativo[15], li ridefinisce come “portali per la raccolta di capitali per le PMI”, per considerarli, quindi, alla stregua di «piattaform[e] on line che abbia[no] come finalità esclusiva la facilitazione della raccolta di capitale di rischio da parte delle PMI come definite dalla disciplina dell’Unione europea[16] e degli organismi di investimento collettivo del risparmio o altre società che investono prevalentemente in PMI»[17].

Le più recenti evoluzioni legislative sanciscono dunque il definitivo tramonto dell’idea dell’equity crowdfunding quale strumento di finanziamento unicamente dei progetti imprenditoriali definiti “innovativi” e, per converso, riconoscono appieno – come già da tempo hanno fatto i legislatori di altri paesi europei – le potenzialità di questo canale di finanziamento alternativo, ora accessibile dall’impresa piccola o media in quanto tale.

6. Alcune implicazioni

Non vi è qui bisogno di notare come il superamento del requisito dell’innovatività quale condicio sine qua non per l’accesso al mercato dell’equity crowdfunding non possa che essere salutato con favore. Si tratta di un approdo da lungo tempo atteso[18] e che appare necessario presupposto per il consolidamento, anche reputazionale, di un mercato che, nella misura in cui rifletteva la dirigistica aspirazione di precludere al mercato di scegliere quali progetti fossero meritevoli di finanziamento, inevitabilmente scontava le conseguenze dell’avversione al rischio di quanti, pur volendo avvicinarsi a nuove opportunità di investimento, avrebbero preferito investire, quantomeno all’inizio, in imprese incentrate su business più “tradizionali” e perciò meno rischiosi, ovvero in progetti che, seppur rischiosi, fossero proposti da imprese più solide.

Un settore che, pur richiedendo qualche aggiustamento regolatorio, potrebbe beneficiare della novità normativa è per esempio rappresentato dal real estate crowdfunding: si pensi alle numerose PMIche operano nell’edilizia, in particolare in settori quali quelli dell’efficientamento energetico, della sicurezza sui cantieri, della tutela ambientale, della prevenzione antisismica, della domotica, o dell’ottimizzazione dei consumi domestici[19].

D’altra parte, è altresì chiaro che questa essenziale modifica legislativa implica anche una necessaria riattivazione del processo regolatorio. Anche a voler ipotizzare che la Consob si limiti ad adottare un approccio “minimale” e, quindi, ad apportare al regolamento vigente le modifiche strettamente necessarie ad implementare le nuove disposizioni, molto probabilmente l’Autorità non potrà esimersi dal riconsiderare, per esempio, le disposizioni che delineano i contenuti del questionario di appropriatezza che, a seguito del nuovo Regolamento Consob sull’equity crowdfunding, può ora essere sottoposto dai portali ai potenziali investitori direttamente online (cd. “opt-in”)[20]. La verifica della appropriatezza dell’investimento non potrà infatti più essere incentrata sulla conoscenza dei rischi relativi ad investimenti in start-up, che fino ad oggi rappresentavano (numericamente) la maggioranza delle società che potevano potenzialmente usufruire dell’equity crowdfunding (tra quelle iscritte nelle relative sezioni speciali del Registro Imprese quali start-up e PMI innovative), e tantomeno sulla conoscenza dei rischi correlati all’attuazione di un progetto innovativo (potendosi ora effettuare campagne di equity crowdfunding da parte di tutte le PMI, a prescindere dal fatto che si tratti di start-up o di PMI innovative).

Non è però qui possibile indulgere in una, seppur essenziale, discussione di tali implicazioni. Doveroso, invece, appare accennare ad un altro aspetto, dacché più immediatamente rilevante e di cui, perciò, si viene dicendo brevemente.

7. Ma è davvero oro tutto quel che luccica?

In occasione dell’approvazione del Decreto Crescita 2.0 del 2012, prima, e del Decreto Investment Compact del 2015, poi, si era puntualmente provveduto a reiterare la previsione che, derogando alle disposizioni di diritto societario (ed in particolare alla disposizione che vieterebbe che le partecipazioni dei soci di S.r.l. possano formare oggetto di offerte al pubblico di prodotti finanziari[21]), per l’effetto consentono alle imprese innovative organizzate in forma di società a responsabilità limitata di offrire al pubblico le proprie “atipiche” quote.

In occasione della approvazione dei recenti emendamenti alla disciplina italiana in materia di equity crowdfunding, una analoga disposizione “espressa” è invece assente: tra le disposizioni di cui alla Legge di Stabilità 2017[22] non vi è infatti alcun riferimento alla disciplina societaria di fonte codicistica.

Una disposizione dagli effetti analoghi potrebbe ben essere nascosta tra le righe dell’articolato (come sempre un po’ caotico) della Legge di Stabilità, ovvero risultare un effetto “a cascata” derivante da altre modifiche espressamente contemplate dal Legislatore. Di primo acchito, però, lo si esclude.

Le conseguenze di questa “svista” sono intuibili: salvo che ci si inganni, ciò infatti significherebbe che, allo stato, solo le piccole e medie imprese italiane non innovative organizzate in forma di società per azioni possono raccogliere capitali di rischio online. Paradossale risultato di questo stato di cose sarebbe che la maggior parte delle imprese che la modifica legislativa “autorizza” de iure a raccogliere capitali online (in quanto PMI), non potrebbero però, de facto, procedere alla raccolta di capitali online perché incapaci di emettere quote “seriali” e perciò pubblicamente sottoscrivibili e circolanti.

Ci si augura che si tratti di una mera svista: una svista gravida però di importanti conseguenze che, e pur valendo ricordare il modo – disorganico, frammentario e per successivi aggiustamenti – in cui la legislazione sull’equity crowdfunding si è evoluta nel tempo, è per fortuna superabile tramite alcuni minimali aggiustamenti normativi.

Peraltro, che si tratti di un semplice errore di coordinamento di testi legislativi è l’ipotesi più probabile, ma pur sempre una ipotesi. Non può cioè con assoluta certezza escludersi, alla luce dei dati a disposizione, che il Legislatore abbia scientemente ritenuto inopportuno sancire un generalizzato superamento delle regole di diritto societario[23]; e che, pertanto, abbia preferito una soluzione meno radicale. Si tratterebbe allora di una sorpresa che, sebbene per quanto già osservato appaia alquanto improbabile e comunque priva di senso[24], sarebbe tuttavia destinata a ridimensionare grandemente l’importanza “operativa” delle recenti modifiche legislative.

8. Conclusioni

Nonostante il rischio che il Legislatore lo “uccidesse nella culla”[25], il mercato dell’equity crowdfunding domestico è ancora vivo; e, dopo un inizio innegabilmente stentato, i dati messi a disposizione dall’Osservatorio sul crowdinvesting del Politecnico di Milano nel suo primo report italiano sul crowdinvesting del giugno di quest’anno[26], inducono a ipotizzare che vi sia spazio per una ulteriore, sensibile crescita.

Dissolvendo il binomio equity crowdfunding – imprenditorialità innovativa, il Legislatore ha ora ridisegnato, ampliandolo, il perimetro applicativo della disciplina.

La scelta merita sicuro plauso, in quanto rimuove un significativo ostacolo allo sviluppo del mercato domestico, ma perché tale disegno possa trovare attuazione è necessario che sia espressamente ribadita la deroga alle disposizioni del codice civile che vietano alle piccole e medie imprese non innovative organizzate in forma di società a responsabilità limitata di offrire le proprie quote in sottoscrizione al pubblico dei risparmiatori.



[1] Da noi, oltre a V. Santoro – E.Tonelli,Equity Crowdfunding ed imprenditorialità innovativa, inRiv. dir. banc., 24, 2014ed ai contributi raccolti in G.D. Mosco (a cura di), Aspetti giuridici del crowdfunding, Roma, LUISS University Press, 2013, pp. III-88, cfr. (soprattutto per una dettagliata introduzione alla disciplina italiana ed un approfondimento in tema di trasposizione della suitability rule, sub specie di test di appropriatezze ed adeguatezza) nel contesto dell’equity crowdfunding, M.L. Passador, Crowdfunding: tra profili di adeguatezza ed appropriatezza e profili di applicabilità all’aumento di capitale, in Banca Imp. Soc., 2015, pp. 287-332.

[2] V., per esempio, il documento illustrativo delle linee portanti del progetto strategico “Horizon 2020”: cfr. Eu Commission, Communication from the Commission Europe 2020 – A Strategy for Smart, Sustainable and Inclusive growth [COM (2010) 2020 final] del 3 marzo 2010, liberamente accessibile all’indirizzo http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2010:2020:FIN:EN:PDF. Ma v. anche Eu Commission, Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions: Entrepreneurship 2020 action plan – Reigniting the Entrepreneurial Spirit in Europe” [Com (2012) 795 final] del 9 gennaio 2013, liberamente accessibile all’indirizzo http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2012:0795:FIN:en:PDF, spec. p. 3.

[3] Eu Council, Council Recommendation of 10 July 2012 on the National Reform Programme 2012 of Italy and delivering a Council opinion on the Stability Programme of Italy 2012-2015 (2012/C 219/14), liberamente consultabile all’indirizzo http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2012:219:0046:0049:EN:PDF, spec. p. 4.

[4] V. infatti il Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83 (“Decreto Sviluppo”), recante “Misure urgenti per la crescita del Paese”, sì come convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che – vale appena la pena di ricordare – aveva introdotto (proprio per consentire alle piccole e medie imprese di far fronte alle conseguenze del cd. credit crunch), tra le altre, una nuova disciplina delle cambiali finanziarie, nonché previsto la possibilità di procedere alla emissione dei cd. minibonds.

[5] V. art. 25 del Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179, poi convertito nella Legge 17 dicembre 2012, n. 221, inaugurante la Sezione IX (eloquentemente intitolata “Misure per la nascita e lo sviluppo di nuove imprese start-up innovative”) e recante la previsione secondo cui «le presenti disposizioni sono dirette a favorire la crescita sostenibile, lo sviluppo tecnologico, la nuova imprenditorialità e l’occupazione, in particolare giovanile […]».

[6] Anche per gli opportuni dettagli definitori, v. art. 25, comma 2 del Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179, recante “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”, poi convertito nella Legge 17 dicembre 2012, n. 221.

[7] G.D. Mosco, La nuova regolamentazione dell’equity crowdfunding, in G.D. Mosco (a cura di), cit. [supra, nt. 1], pp. 1 ss., spec. p. 4.

[8] Altro naturalmente è, poi, dibattere della adeguatezza della disciplina applicabile al processo di raccolta e verificare se, nei fatti, quella disciplina, per come concepita, era in grado di mediare efficacemente tra i contrapposti interessi di apportatori e utilizzatori di capitali. Questo, però, è un altro discorso che non può qui essere sviluppato.

[9] Decreto Legge 24 gennaio 2015, n. 3 convertito con modificazioni nella Legge 24 marzo 2015, n. 33.

[10 ]M.L. Passador, The Need for Suitability and Appropriateness in Crowdfunding Regulation, in Revue Internationale des Services Financiers, 2016, n. 4, forthcoming (consultato per gentile concessione dell’Autrice).

[11] Ossia, ai sensi della Raccomandazione della Commissione Europea 2003/361/CE del 6 maggio 2003, le imprese con meno di 250 dipendenti, fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro, oppure totale di bilancio non superiore a 43 milioni di euro.

[12] Cfr. art. 4, Decreto Legge 24 gennaio 2015, n. 3 convertito con modificazioni dalla Legge 24 marzo 2015, n. 33. In particolare, i requisiti di innovatività consistono nel possesso di almeno due dei tre sopra citati requisiti alternativi relativi alle start-up innovative, ma con delle soglie inferiori rispetto a quanto previsto per queste ultime.

[13] Ministero dello Sviluppo Economico, Scheda di sintesi della policy a sostegno delle PMI innovative del 27 marzo 2015, disponibile all’indirizzo http://www.mise.gov.it/images/stories/documenti/Scheda_sintesi_policy_PMI_Innovative_27_03_2015.pdf, spec. p. 3.

[14] Cfr. art. 1, comma 70, Legge 9 dicembre 2016, n. 2611 (recante disposizioni concernenti il “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019”). Il testo della legge è consultabile all’indirizzo http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/326687.pdf.

[15] In particolare, intervenendo sul disposto dell’art. 1, comma 5-novies, D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, ossia il Testo Unico in materia di intermediazione finanziaria.

[16] Ossia le imprese con meno di 250 dipendenti e fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro (oppure totale di bilancio non superiore a 43 milioni di euro). Cfr. Commissione Europea, Raccomandazione della Commissione, del 6 maggio 2003, relativa alla definizione delle microimprese, piccole e medie imprese, disponibile all’indirizzo http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=celex:32003H0361.

[17] Per l’effetto, il Legislatore ha altresì provveduto a sostituire la parola “PMI” alle parole “start-up innovative e PMI innovative” nel disposto dell’art. 50-quinquies, TUF; nonché nell’intitolazione del capo III-quater del TUF.

[18] Per quanto valga, sia consentito un rinvio alle osservazioni in tal senso svolte in altra sede: cfr. G. Cucchiarato, Quali prospettive per l’equity crowdfunding in Italia, in Diritto 24, 6 marzo 2015, disponibile all’indirizzo http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/avvocatoAffari/mercatiImpresa/2015-03-06/quali-prospettive-l-equity-crowdfunding-italia-103610.php.

[19] Alcuni di tali settori, tra l’altro, usufruiranno di incentivi fiscali che proprio la Legge di Stabilità ha introdotto, esteso nel tempo o incrementato.

[20] Su queste modifiche, cfr. M.L. Passador, The Need, cit. [supra, nt. 10], passim.

[21] Art. 2468 c.c.

[22] Art. 1, commi 67-70, Legge 9 dicembre 2016, n. 2611, cit. [supra, nt. 13].

[23] G.D. Mosco, Le srl e il loro doppio, in La Voce, 5 agosto 2015, disponibile all’indirizzo http://www.lavoce.info/archives/36402/le-srl-e-il-loro-doppio/, il quale Autore aveva condivisibilmente segnalato il rischio che, estendendo alle PMI la disciplina “eccezionale” originariamente pensata per le sole (poche) start-up innovative, si gettassero le basi per un allontanamento della disciplina generale della S.r.l. talmente generalizzata da creare un suo “doppione” (soggetto ad un più favorevole regime anch’esso e, in ragione del numero delle imprese cui sarebbe a quel punto stato applicabile, suscettibile di essere considerato altrettanto “generale”).

[24] Alle S.r.l. dovrebbe infatti essere consentito ricorrere al mercato dei capitali. Il relativo divieto ha origini “storiche” e meriterebbe di essere superato: pur succintamente, cfr. infatti L. Enriques, Start up “innovative” tutti i rebus del decreto, in La Repubblica, 8 ottobre 2012, disponibile all’indirizzo http://www.repubblica.it/economia/affari-e-finanza/2012/10/08/news/start_up_innovative_tutti_i_rebus_del_decreto-44090501/ (che in fine osserva, con riferimento alla deroga originariamente introdotta in favore delle sole start-up innovative come «[o] il divieto [posto dall’art. 2468 c.c.] ha un senso, e allora non si capisce perché la deroga a favore di imprese più rischiose. O non ha senso e allora si dovrebbe aprire a tutte le s.r.l. la possibilità di accedere direttamente al mercato dei capitali. Corrado Guzzanti direbbe: “La seconda che hai detto”»).

[25] V. L. Enriques, La disciplina italiana uccide il crowdfundingnella culla, in G.D. Mosco (a cura di), Aspetti giuridici, cit. [supra, nt. 1], spec. pp. 73-74.

[26] Reperibile all’indirizzo http://www.osservatoriocrowdinvesting.it/portal/minibond/documenti;jsessionid=7DE28C5D8383AE5CB0AFAC3A5B323DCB

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