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Approfondimenti

Limiti alla concentrazione dei rischi e attività di rischio nei confronti di soggetti collegati

7 Ottobre 2012

Raimondo Maggiore e Danilo Quattrocchi, Studio Legale Bird & Bird

Di cosa si parla in questo articolo
OPC

Le recenti norme in tema di “attività di rischio e conflitti di interesse nei confronti di soggetti collegati” – introdotte dalla Banca d’Italia nel Titolo V, Capitolo 5, della Circolare 27 dicembre 2006 n. 263 (le “Disposizioni di Vigilanza Prudenziale”) in attuazione della Delibera CICR 29 luglio 2008, n. 277 – offrono lo spunto per alcune preliminari riflessioni di ordine generale, volte a delinearne le principali analogie e i tratti distintivi rispetto alle disposizioni in materia di limiti alla concentrazione dei rischi di cui al Titolo V, Capitolo 1, delle medesime Disposizioni di Vigilanza Prudenziale, quali risultanti all’esito del 6° aggiornamento del 27 dicembre 20101.

Come noto, il vigente quadro regolamentare in tema di concentrazione dei rischi è finalizzato a prevenire il rischio che l’inadempimento di un singolo cliente o di un gruppo di clienti connessi, verso cui una banca risulti esposta in misura rilevante rispetto al patrimonio di vigilanza, ne pregiudichi la stabilità2.

Le cennate disposizioni hanno in particolare l’obiettivo di limitare l’esposizione al c.d. “rischio idiosincratico”, per tale intendendosi la situazione in cui, in presenza di una relazione bilaterale tra clienti, le difficoltà finanziarie di uno di essi si trasferiscono, in conseguenza ed attraverso tale relazione, ad un altro cliente che altrimenti non sarebbe coinvolto3.

A tal fine, le norme in commento identificano due tipologie di presidi, basati su limiti quantitativi e regole di organizzazione.

Sotto il primo profilo, si introduce un limite quantitativo4 alle esposizioni delle banche nei confronti di soggetti che «costituiscono un insieme unitario sotto il profilo del rischio», in virtù di rapporti partecipativi o di controllo (c.d. “connessione giuridica”)5 o per effetto di legami operativi e finanziari (c.d. “connessione economica”)6, primi fra tutti l’eventuale dipendenza dalla medesima fonte di finanziamento, tale che eventuali difficoltà nell’accesso al credito da parte di uno di essi possano estendersi agli altri7.

Conseguentemente, in conformità a quanto previsto dal Titolo V, Capitolo 1, Sezione II, delle Disposizioni di Vigilanza Prudenziale, le banche non appartenenti a gruppi bancari sono tenute «a contenere ciascuna posizione di rischio entro il limite del 25%»8 del proprio patrimonio di vigilanza.

Quanto alle regole organizzative, le Disposizioni di Vigilanza Prudenziale impongono di adottare regole di comportamento idonee ad assicurare l’identificazione dei grandi rischi, anche attraverso l’individuazione delle eventuali connessioni esistenti tra clienti, allo scopo di valutare la qualità delle esposizioni e di monitorarne l’andamento nel tempo9.

Affatto diverse sono invece, a parere di chi scrive, le logiche applicative e la ratio ispiratrice della disciplina in materia di “attività di rischio e conflitti di interesse nei confronti di soggetti collegati” di cui al Titolo V, Capitolo 5, delle Disposizioni di Vigilanza Prudenziale, emanata lo scorso 12 dicembre 201110.

Le menzionate disposizioni si collocano, infatti, nel quadro della vigilanza regolamentare in materia di conflitti di interesse11, mirando, in particolare, a scongiurare il rischio che la “vicinanza” di taluni soggetti (specificamente individuati) ai centri decisionali della banca12 possa «compromettere l’oggettività e l’imparzialità delle decisioni relative alla concessione di finanziamenti e ad altre transazioni nei confronti dei medesimi soggetti, con possibili distorsioni nel processo di allocazione delle risorse, esposizione della Banca a rischi non adeguatamente misurati o presidiati, potenziali danni per depositanti ed azionisti»13.

La correlazione tra le controparti negoziali implica la configurabilità di interessi che appaiono naturalmente contrapposti alla salvaguardia dei generali obiettivi di crescita aziendale. E proprio la menzionata contrapposizione è stata ritenuta riconducibile alla facoltà – configurabile in capo alla parte correlata – di incidere facilmente sulla “indipendenza” delle decisioni di carattere strategico e gestionale della banca14.

Assumono dunque rilievo, in tale prospettiva, i condizionamenti che la banca può in astratto subire dai propri esponenti aziendali, dai principali azionisti e dagli altri soggetti in grado di influenzarne la gestione, in quanto titolari di una partecipazione di controllo o tale da consentire un’influenza notevole sulla banca medesima (c.d. parti correlate “a monte”), nonché quelli derivanti da significative esposizioni – in forma di finanziamenti o di partecipazioni – nei confronti di imprese, specie di natura industriale, controllate dalla banca o sottoposte all’influenza notevole di quest’ultima (c.d. parti correlate “a valle”)15.

In linea con tali obiettivi, le menzionate disposizioni affiancano, ai limiti prudenziali all’assunzione di attività di rischio nei confronti di soggetti collegati, l’obbligo, per le banche, di adottare specifiche procedure deliberative, dirette a preservare l’integrità dei processi decisionali nelle operazioni che vedano coinvolti soggetti collegati, e di dotarsi di assetti organizzativi e di controllo adeguati ai fini della prevenzione e gestione dei conflitti di interesse, del censimento dei soggetti collegati e del monitoraggio delle esposizioni nei confronti dei medesimi.

Ciò posto, le – invero esistenti – aree di contiguità tra le norme in tema di concentrazione dei rischi e quelle in materia di attività di rischio nei confronti di soggetti collegati non consentono, tuttavia, di pervenire ad una completa sovrapposizione dei due ambiti normativi, per come detto caratterizzati da finalità distinte e complementari, già a partire dai “Core principles for effective banking supervision”, pubblicati dal Comitato di Basilea nell’ottobre 2006 al fine di orientare l’attività di vigilanza delle Autorità nazionali ed attualmente in fase di revisione16.

Inoltre, anche a voler tralasciare il preminente rilievo attribuito dalla stessa Banca d’Italia agli assetti procedurali, organizzativi e di controllo imposti dal Titolo V, Capitolo 5, delle Disposizioni di Vigilanza Prudenziale17 – e dunque considerando le analogie esistenti nel solo impianto dei limiti prudenziali18 – occorre rilevare come la menzionata disciplina trovi, semmai, il proprio antecedente nelle Disposizioni di Vigilanza Prudenziale vigenti prima del 6° aggiornamento del 27 dicembre 2010, ove si prevedeva uno specifico limite (pari al 20% del patrimonio di vigilanza) in relazione alle posizioni di rischio nei confronti di “soggetti collegati” alla banca, per tali intendendosi: (a) il soggetto che, in via diretta o indiretta, detenesse almeno il 15% del capitale sociale, o comunque il controllo, della banca (c.d. “azionista rilevante”); (b) le società nelle quali la banca detenesse una partecipazione non inferiore al 20% del capitale, o comunque di controllo (c.d. “società partecipate in misura rilevante”), assumendo a tal fine rilievo anche gli eventuali affidamenti concessi al gruppo di clienti legati da connessione giuridica ad uno dei soggetti di cui alle precedenti lettere a) e b).

Il menzionato limite è stato, tuttavia, espunto dall’impianto normativo in tema di large exposures, quale oggi recato dal Titolo V, Capitolo 1, delle Disposizioni di Vigilanza Prudenziale19.

Ancora, va osservato che le disposizioni appena richiamate sono caratterizzate da uno specifico ambito applicativo, che – lungi dal considerare le relazioni intercorrenti tra la banca e i soggetti prenditori – fa perno esclusivamente sulle possibili connessioni (siano esse giuridiche o economiche) in essere tra questi ultimi e sul rischio di “contagio” insito nelle medesime20.

Radicalmente diverso appare, invece, il criterio di emersione delle fattispecie rilevanti ai fini delle disposizioni in tema di soggetti collegati, che, secondo quanto già posto in rilievo, si incentrano sulla prossimità dei soggetti considerati ai centri decisionali della banca e sulla conseguente capacità, dei primi, di orientarne le scelte imprenditoriali.

Emerge dunque con chiarezza che l’eventuale applicazione, in subiecta materia, dei criteri di connessione dettati dall’Autorità nel quadro della normativa in materia di concentrazione dei rischi risulterebbe non corretta, dal momento che il Titolo V, Capitolo 5, delle Disposizioni di Vigilanza Prudenziale non opera alcun richiamo al criterio della c.d. “connessione economica” e, peraltro, adotta una nozione di controllo21 non pienamente coincidente con quella che costituisce presupposto della c.d. “connessione giuridica”22.

In altri termini, le esposizioni vantate dalle banche nei confronti del gruppo di “clienti connessi”23 ad una parte correlata assumeranno rilievo ai fini della determinazione dei limiti alle attività di rischio di cui alla Sezione II del richiamato Capitolo 5 solo in quanto tali clienti ricadano, in concreto, in una delle ipotesi di correlazione rilevanti ai sensi del medesimo Capitolo 5.

In tal caso, le esposizioni nei confronti di eventuali entità qualificabili – in ragione della parziale coincidenza delle rilevanti definizioni – tanto come “soggetti collegati” alla Banca, quanto come appartenenti ad un gruppo di “clienti connessi”, saranno soggette, separatamente, ad entrambi i limiti prudenziali dettati dalle disposizioni in commento e precisamente: a) ad un limite di concentrazione pari al 25% del patrimonio di vigilanza della banca, in concorso con tutte le altre entità appartenenti al gruppo di clienti connessi considerato; b) al pertinente limite prudenziale, in concorso con tutti i soggetti collegati riconducibili alla parte correlata in questione.

 

 

1

Le modifiche introdotte nelle Disposizioni di Vigilanza Prudenziale in conseguenza del menzionato aggiornamento si inscrivono nel processo di recepimento, nell’ordinamento interno, della direttiva 2009/111/CE (c.d. “Capital Requirement Directive II”), che ha modificato le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE allo scopo di rafforzare l’efficienza della vigilanza sui gruppi bancari transfrontalieri, in risposta alla recente crisi finanziaria. Si evidenzia, per completezza, che il Titolo V, Capitolo 1, delle Disposizioni di Vigilanza Prudenziale ha subito talune ulteriori modifiche – non rilevanti ai fini che in questa sede interessano – ad opera dell’8° e del 13° aggiornamento, emanati dalla Banca d’Italia rispettivamente in data 18 novembre 2011 e in data 29 maggio 2012.


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2

Con estrema chiarezza, il considerando 48 della direttiva 2006/48/CE del Parlamento e del Consiglio, relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi ed al suo esercizio, precisa infatti che «l’eccessiva concentrazione di fidi a favore di un unico cliente o di un gruppo di clienti collegati [recte: “connessi”] può comportare il rischio di perdite di livello inaccettabile. Tale situazione può essere ritenuta pregiudizievole per la solvibilità dell’ente creditizio». In conformità al menzionato principio, le previsioni di cui al Titolo V, Capitolo 1, delle Disposizioni di Vigilanza Prudenziale trovano dunque il proprio fondamento giuridico di diritto interno nell’art. 53, comma 1, lettere b) e d) del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (il “TUB”), ai sensi del quale «la Banca d'Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, emana disposizioni di carattere generale aventi a oggetto: (omissis) b) il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni; (omissis) d) il governo societario, lorganizzazione amministrativa e contabile, nonché i controlli interni e i sistemi di remunerazione e di incentivazione».


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3

In proposito si vedano, in particolare, le “Guidelines on the implementation of the revised large exposures regime” emanate dal Committee of European Banking Supervisors (CEBS) in data 11 dicembre 2009.


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4

Come osservato in dottrina, a differenza di quanto previsto nel più ampio contesto delle disposizioni in materia di adeguatezza patrimoniale – in cui il patrimonio di vigilanza opera quale presidio “esterno”, calcolato come aliquota percentuale delle c.d. “attività a rischio ponderate” – ai fini delle disposizioni in tema di concentrazione dei rischi il patrimonio di vigilanza funge da parametro diretto per la fissazione di limiti all’assunzione dei rischi: cfr.D. Albamonte, R. Basso, D. Capone, M. Marangoni, “La vigilanza sulle banche”, in E. Galanti, “Diritto delle banche e degli intermediari finanziari”, Padova, 2008, 549.


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5

Ai sensi delle Disposizioni di Vigilanza Prudenziale si ha “connessione giuridica” quando un cliente ha un potere di controllo sull’altro o sugli altri; al fine di accertare la sussistenza di tale controllo, le Disposizioni di Vigilanza Prudenziale precisano che lo stesso sussiste quando ricorre anche una sola delle seguenti circostanze: 1) un cliente possiede – direttamente o indirettamente – più del 50% del capitale o delle azioni con diritto di voto di un’altra società cliente; 2) un cliente possiede il 50% o meno del 50% del capitale o dei diritti di voto in una società cliente ed è in grado di esercitare il controllo congiunto su di essa in virtù delle azioni e dei diritti posseduti, di clausole statutarie e di accordi con gli altri partecipanti.


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6

Le Disposizioni di Vigilanza Prudenziale richiedono alle banche di svolgere gli approfondimenti necessari per verificare la sussistenza di una “connessione economica” tra due o più clienti, tenendo conto almeno degli indici previsti dal Titolo V, Capitolo I, Sezione II, par. 2.1 delle Disposizioni di Vigilanza Prudenziale.


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7

In tal senso, l’art. 4 (45) della direttiva 2006/48/CE, come modificato dalla direttiva 2009/111/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 settembre 2009, definisce «“gruppo di clienti collegati” [recte: “connessi”]: a) due o più persone fisiche o giuridiche le quali, salvo diversamente dimostrato, costituiscono un insieme sotto il profilo del rischio, in quanto una di esse ha direttamente o indirettamente un potere di controllo sull'altra o sulle altre; oppure b) due o più persone fisiche o giuridiche tra le quali non vi sono legami in termini di controllo ai sensi della lettera a), ma che sotto il profilo del rischio devono essere considerate un insieme in quanto esistono tra di loro legami tali che con tutta probabilità, se una di esse si trova in difficoltà finanziarie, soprattutto difficoltà di finanziamento o di rimborso, anche l’altra o tutte le altre potrebbero incontrare difficoltà di finanziamento o di rimborso». Come chiaramente rilevato dal CEBS nelle menzionate Guidelines del dicembre 2009, «the definition of connected clients as per Article 4(45) of Directive 2006/48/EC refers to interconnections arising from one of the following: a) one client has control over the other; b) the clients are interconnected by some form of material economic dependency, as for instance: i. direct economic dependencies such as supply chain links or dependence on large customers, or ii. the clients have a main common source of funding in the form of credit support, potential funding or direct, indirect or reciprocal financial assistance».


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8

È definita quale “posizione di rischio” la «somma delle attività di rischio per cassa e delle operazioni fuori bilancio nei confronti di un cliente o di un gruppo di clienti connessi», ponderata secondo le regole previste dalla Sezione III del medesimo Titolo V, Capitolo 1, delle Disposizioni di Vigilanza Prudenziale «in considerazione della natura della controparte debitrice e delle eventuali garanzie acquisite».


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9

Si veda al riguardo C. Clemente, sub art. 53 TUB, in F. Capriglione, “Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia”, II, Padova, 2012, 645. L’Autore evidenzia come, in materia creditizia, strumento diretto ad evitare gli aggravamenti di rischio derivanti dal cumulo delle facilitazioni presso più istituzioni sia altresì rappresentato dalla Centrale dei Rischi istituita presso la Banca d’Italia, ai sensi dell’art. 32, lett. h, della Legge Bancaria, nei primi anni sessanta, con la preminente finalità di fornire alle banche elementi informativi sull’indebitamento della clientela verso il sistema. Essa trova legittimazione nel nuovo quadro normativo come applicazione dell’art. 53, comma 1, lettera b, del TUB ed è regolata dalle disposizioni emanate dalla Banca d’Italia, conformemente alla delibera del CICR del 29 marzo 1994, che estende, in particolare, alle società finanziarie facenti parte di gruppi creditizi gli obblighi di segnalazione alla Centrale dei Rischi delle esposizioni nei confronti dei propri affidati.


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10

In argomento, tra i contributi più recenti: S. Scotti Camuzzi, “Attività di rischio delle banche nelle relazioni con soggetti correlati e disciplina dei conflitti di interessi (un primo commento al Documento di consultazione della Banca d’Italia del maggio 2010), in “Contratto e impresa. Dialoghi con la giurisprudenza civile e commerciale”, Padova, 2011; A. Troisi, “Le operazioni con parti correlate in ambito bancario e finanziario”, in “Banca Borsa e Titoli di Credito”, 2011, 5, 649; N. Cecchetto, “Operazioni con parti correlate e tecniche di regolamentazione: note critiche”, in questa rivista, settembre 2012; A. Agnese, “Spunti sistematici in materia di operazioni con parti correlate”, in questa rivista, febbraio 2012.


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11

Circostanza resa peraltro evidente dallo stesso tenore letterale dell’art. 53, comma 4, del TUB (del quale le disposizioni in commento costituiscono attuazione), ai sensi del quale «la Banca d’Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, disciplina condizioni e limiti per l’assunzione, da parte delle banche, di attività di rischio nei confronti di coloro che possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza sulla gestione della banca o del gruppo bancario nonché dei soggetti a essi collegati. Ove verifichi in concreto l’esistenza di situazioni di conflitto di interessi, la Banca d’Italia può stabilire condizioni e limiti specifici per l’assunzione delle attività di rischio».


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12

C.d. “soggetti collegati”, per tali intendendosi, giusta quanto previsto dal Titolo V, Capitolo 5, Sezione I, delle Disposizioni di Vigilanza Prudenziale, «l’insieme costituito da una parte correlata e da tutti i soggetti alla medesima connessi», ai sensi delle disposizioni in commento.


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13

Cfr. Titolo V, Capitolo 5, Sezione I, delle Disposizioni di Vigilanza Prudenziale.


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14

Si veda, al riguardo, S. Scotti Camuzzi, cit., n. 3, 734. In particolare, l’Autore analizza gli elementi costitutivi delle Disposizioni di Vigilanza Prudenziale, evidenziandone i criteri assunti per l’individuazione della fattispecie e del potenziale pericolo di “conflitto di interesse” che da essa si rinvengono, tanto in ambito societario quanto in relazione al comparto bancario.


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15

Con riguardo al tema dei conflitti di interesse come conseguenza operativa della diffusione della struttura polifunzionale dei conglomerati finanziari si veda R. Occhilupo, “Vigilanza supplementare e controlli interni nei conglomerati finanziari”, in “Banca impresa e società”, Bologna, 2008, n. 2, 263.


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16

Tanto i “Core Principles” pubblicati nel 2006, quanto il documento attualmente in consultazione disciplinano infatti autonomamente le due fattispecie, alle quali sono dedicati “Principi” diversi (i nn. 10 e 11 nel documento del 2006, i nn. 19 e 20 nel documento pubblicato in consultazione nel marzo scorso). Quanto, in particolare, al tema del rischio di concentrazione e ai limiti sulle large exposures il Principio n. 19 precisa: «The supervisors determines that banks have adequate policies and processes to identify, measure, evaluate, monitor, report and control or mitigate concentrations of risk on a timely basis. Supervisors set prudential limits to restrict bank exposures to single counterparties or groups of connected counterparties». Con riferimento alle transazioni con soggetti collegati, ai sensi del Principio n. 20, «In order to prevent abuses arising in transactions with related parties and to address the risk of conflict of interest, the supervisor requires banks to enter into any transactions with related parties on an arm’s length basis; to monitor these transactions; to take appropriate steps to control or mitigate the risks; and to write off exposures to related parties in accordance with standard policies and processes».


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17

Ad una prima lettura più incisivi dei requisiti organizzativi richiesti a mente delle disposizioni in tema di concentrazione dei rischi. In proposito, si veda la “Relazione Illustrativa al Primo documento di consultazione in materia di attività di rischio e conflitti di interesse delle banche e dei gruppi bancari nei confronti di soggetti collegati”, diffusa dalla Banca d’Italia nel maggio 2010, ove si chiarisce che «i limiti all’assunzione di attività di rischio verso soggetti collegati possono non essere un presidio sufficiente: contengono l’esposizione della banca verso soggetti collegati, ma non assicurano l’integrità e la correttezza delle operazioni compiute (entro il limite). Sono pertanto necessarie procedure e controlli che – nel garantire la correttezza formale e sostanziale di tutte le operazioni con soggetti collegati – assicurino l’integrità dei processi decisionali da condizionamenti esterni e tutelino adeguatamente i terzi (depositanti, azionisti etc.) da eventuali condotte espropriative». Tale orientamento risulta peraltro confermato nel relativo “Resoconto della consultazione” e nella versione finale del provvedimento, successiva alla seconda fase di consultazione, svoltasi nel dicembre 2011.


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18

Per vero evidenziate dalla stessa Banca d’Italia, che richiama la disciplina prudenziale in materia di concentrazione dei rischi, ed in particolare l’art. 53, comma 1, lettere b) e d) del TUB, tanto nel menzionato Primo documento di consultazione del maggio 2010, quanto tra le fonti normative riportate nel Titolo V, Capitolo 5, Sezione I, delle Disposizioni di Vigilanza Prudenziale.


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19

Ad ulteriore riprova di tale argomentazione si evidenzia che la stessa Banca d’Italia, nel “Resoconto della seconda consultazione in materia di attività di rischio e conflitti di interesse delle banche e dei gruppi bancari nei confronti di soggetti collegati” precisa che «la disciplina delle large exposures ha finalità diverse da quella in consultazione: pertanto, le soluzioni della prima non possono essere estese automaticamente alla seconda. In ogni caso, si è dell’avviso che l’abrogazione dello specifico limite di concentrazione dei rischi al 20% per le esposizioni verso soggetti collegati a monte e a valle abbia come presupposto la facoltà degli Stati Membri di prevedere regole apposite per disciplinare queste fattispecie, come si evince anche dal recital n. 52» della direttiva 2006/48/CE.


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20

In altri termini, ai fini dell’applicazione – ad un “gruppo di clienti connessi” – dei menzionati limiti alla concentrazione dei rischi, non assumono rilievo alcuno le relazioni eventualmente intercorrenti tra ciascuno di tali clienti e la banca, quanto, piuttosto, le “connessioni” giuridiche o economiche in essere tra i clienti stessi.


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21

Quale desumibile, sostanzialmente, dall’art. 23 del TUB.


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22

Del resto, non pare attribuibile ad una mera svista la circostanza che la Banca d’Italia, nel “rimodellare” la disciplina in tema di attività di rischio nei confronti di “soggetti collegati”, non abbia inteso riproporre il richiamo al criterio della “connessione giuridica” già presente nel Titolo V, Capitolo 1, delle Disposizioni di Vigilanza Prudenziale nella versione antecedente al sesto aggiornamento del dicembre 2010.


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23

Ai sensi del Titolo V, Capitolo 1, delle Disposizioni di Vigilanza Prudenziale.


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