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Approfondimenti

Le claims made e le Sezioni Unite: spunti operativi tra questioni risolte e questioni aperte

27 Giugno 2016

Avv. Cristina Pagni, Mazzoni Regoli Cariello Pagni – Studio Legale

Di cosa si parla in questo articolo

1. Lo stato dell’arte

Il recente approdo della Suprema Corte non è di poco conto, né scontato dopo anni nel corso dei quali la clausola claims made (ovvero a “richiesta fatta”) è stata al centro di contrasti giurisprudenziali e dottrinali oltre che di confronti, anche serrati, tra operatori del settore e Autorità di controllo.[1]

Trattasi di un dibattito all’evidenza originato dall’innesto, nell’ordinamento italiano -(nel quale in particolare lo schema codicistico dell’assicurazione è impernato sul principio della loss occurrence (ovvero “insorgenza del danno”), v. art. 1917 c.c.) – di uno strumento sviluppatosi nella prassi assicurativa internazionale.

Oggi, dopo le Sezioni Unite (Cass. 6/5/2016, n. 9140),[2] la claims made è stata promossa quale clausola in linea di principio valida e compatibile con la disciplina del contratto di assicurazione.

E tuttavia, se una serie di nodi sono stati sciolti (infra), altri rimangono (quale quello relativo alla delimitazione dell’oggetto del contratto) e addirittura nuovi fronti sono stati forse aperti – in direzioni dove hic sunt leones – quale quello della “meritevolezza”, da apprezzarsi nel merito da parte del giudice, caso per caso.

Proprio in questo solco è interessante soffermarsi ad ipotizzare i possibili scenari che potranno evolvere dalla pronuncia e i requisiti che la clausola claims made potrebbe (o dovrebbe) rispettare per superare il vaglio dell’organo giudicante.

Come noto, l’impostazione loss occurrence è volta a tenere indenne l’assicurato dei danni da questo causati nel periodo di vigenza assicurativa, indipendentemente dal tempo in cui le conseguenze dell’attività illecita sono portate (insieme alla richiesta risarcitoria) a conoscenza dell’assicuratore. Nella claims made, invece, ciò che rileva è la richiesta di risarcimento, la quale dovrà pervenire in un certo lasso temporale (il periodo di assicurazione appunto) predeterminato contrattualmente dalle parti. In linea di principio (infra), non è data importanza al tempo in cui è accaduto il sinistro, che pertanto, al momento della stipula della polizza assicurativa, potrebbe già essersi verificato, con tutto ciò che ne consegue in termini di aleatorietà (critica puntualmente sollevata a più riprese dalla giurisprudenza – anche di legittimità[3]). Parallelamente la compagnia assicurativa non sarà tenuta a rispondere alle richieste risarcitorie a questa pervenute successivamente allo scadere della polizza, a nulla rilevando che l’evento dannoso si sia verificato nelle more del periodo di assicurazione.

Quanto detto peraltro sarebbe incompleto se non tenessimo in dovuta considerazione la rilevante distinzione sussistente tra le clausole claims made c.d. pure e quelle c.d. spurie (o miste).

Nelle prime, infatti, l’elemento temporale dell’avveramento dell’evento dannoso è irrilevante, posto che la compagnia sarà tenuta a mallevare l’assicurato sic et simpliciter da ogni richiesta pervenuta per la prima volta nel periodo di assicurazione; nelle seconde (invero più frequenti nella prassi) il requisito è duplice: (i) non solo la richiesta di risarcimento dovrà pervenire nel periodo di assicurazione, (ii) ma anche l’evento dannoso dovrà verificarsi (o essersi verificato) in un certo lasso temporale, anche precedente alla stipula del contratto (di solito trattasi di tre o cinque anni).

Le Sezioni Unite hanno inoltre all’apparenza messo un punto fermo su altre diatribe riguardanti la claims made.

E così non è stato confermato l’orientamento che aveva ravvisato nella previsione della claims made un’ipotesi in contrasto conl’art. 2965 cc[4], né è stata ritenuta condivisibile l’interpretazione dell’art. 1917 comma 1 cc quale norma imperativa. Sotto il primo profilo si è fatto notare che non può rinvenirsi una violazione dell’art. 2965 cc per il solo fatto che non si tratta di limitare l’esercizio di un diritto (che non nasce mai in capo all’assicurato, quando la richiesta viene effettuata dopo la scadenza della polizza), bensì di regolare la nascita del diritto stesso[5].

Quanto poi alla portata della previsione di cui all’art. 1917 cc, la Suprema Corte sottolinea che la norma in commento non è richiamata tra quelle espressamente ritenute inderogabili, per quanto disposto dall’art. 1932 cc, con la conseguenza che può essere derogata (come nella clausola claims made).

Ulteriore vexata quaestio risolta dalle Sezioni Unite è quella relativa alla già ritenuta natura vessatoria delle clausola claims made. Pur se declinata in modo diverso per le claims made pure, da una parte, e per le claims made spurie, dall’altra, la conclusione è stata che la clausola, indentificando quali siano i sinistri indennizzabili, delimita l’oggetto del contratto piuttosto che la responsabilità della compagnia. Laddove la richiesta risarcitoria costituisce (pur con le variazioni sul tema, a seconda dei vari tipi di claims made) il perno della garanzia.

Infine nella decisione della Suprema Corte appare superato il malinteso tabù di una copertura assicurativa avente ad oggetto il passato anziché il futuro. In realtà poiché la claims made copre il passato solo con riferimento ad una delle fasi del sinistro (la condotta colposa posta in essere, purché ignorata nella sua esistenza dall’assicurato al momento della conclusione del contratto), l’alea avente ad oggetto l’eventuale richiesta risarcitoria da parte dell’avente diritto, resta intatta (ferma restando la responsabilità del contraente nell’ipotesi in cui abbia reso informazioni inesatte e non veritiere (artt. 1890 e 1893 c.c.)[6]. Con il che è archiviata ormai anche la questione della nullità della clausola ai sensi dell’art. 1895 c.c..

In definitiva dopo le Sezioni Unite, la claims made sembra aver definitivamente e positivamente superato il test di compatibilità con il nostro ordinamento e ogni rischio di residuo “rigetto” appare scongiurato.

Stupirebbero in futuro decisioni che rinnovassero temi quali quelli sopra ricordati.

2. Il futuro sindacato dei giudici di merito e i nuovi fronti

Se la Corte di Cassazione ha il merito di aver messo alcuni punti fermi nel dibattito che ha impegnato dottrina e giurisprudenza per anni e di aver spazzato via radicati pregiudizi in materia di claims made, tuttavia la decisione in commento ha lasciato ampi margini per il controllo delle claims made da parte dei giudici di merito e addirittura ha aperto nuovi e non scontati fronti.

Sotto il primo profilo il terreno per il sindacato di merito resta probabilmente quello del perimetro della copertura tra delimitazione dell’oggetto delle garanzie e limitazione dell’ambito della responsabilità, in particolare in sede di assunzione del rischio.

In tale prospettiva il principio affermato dalla Suprema Corte (supra) dovrà essere tenuto nel dovuto conto, a scanso di “bocciature” in sede di merito, mediante una precisa identificazione del sinistro indennizzabile, quale conseguenza pregiudizievole per il patrimonio dell’assicurato e conseguente alla richiesta risarcitoria allo stesso pervenuta.

Dovranno invece essere evitate mere limitazioni temporali della garanzia, suscettibili di ricadere nella censura di vessatorietà.

Quanto detto rischierebbe cionondimeno di essere vanificato, ove l’assicurato, al momento della stipula, non sia adeguatamente informato riguardo la precisa copertura prevista nella polizza.

Ben più inesplorato e foriero di nuovi contrasti giurisprudenziali e dottrinali, e sicuramente di incertezze ermeneutiche, è il principio della “meritevolezza”, dalle Sezioni Unite enunciato e demandato ai giudici di merito.

Se alcuni fronti, come visto, si sono chiusi a seguito della recente pronuncia della Suprema Corte, sotto quest’ultimo profilo, uno nuovo si è aperto, che appare un vero e proprio territorio di frontiera.

Non è questa la sede per condurre considerazioni in punto di stretto diritto sul concetto di meritevolezza (che si trova in particolare richiamata nella previsione di cui all’art. 1322 c.c.), né per esaminare la portata “reale” (quale possibile intervento modificativo o integrativo da parte del giudici nel regolamento negoziale) che la Corte indica quale ambito per l’intervento del giudice.

Preme piuttosto cercare di intravedere qualche possibile ricaduta nell’applicazione del principio di meritevolezza da parte di giudici di merito e quindi per gli operatori e gli utenti.

Di nuovo le Sezioni Unite declinano il principio in modo diverso a seconda che si tratti di clausole c.d. pure ovvero impure. Comunque sia, il margine per la decisione dei casi concreti è ampio.

Le Sezioni Unite richiamano infatti i giudici di merito ad un controllo “volto a garantire l’equo comportamento degli interessi delle parti e pervenire a reprimere l’abuso del diritto”.

Sotto questo profilo è opportuno accennare a uno dei profili più controversi della claims made, il pericolo dei c.d. buchi di copertura, in cui potrebbe andare incontro il contraente, rischiando così di rimanere (inconsapevolmente) privo di tutela alcuna. E’ alquanto prevedibile che il tema sarà scrutinato alla luce del principio di meritevolezza.

In questa prospettiva la Corte ha ritenuto di “salvare” senza mezzi termini la claims made pure[7]. E invero nella claims made pura (a dire il vero rara nel panorama assicurativo odierno) il contraente è garantito da tutte le richieste risarcitorie pervenute per la prima volta entro il periodo assicurativo, non assumendo alcun rilievo il tempo dell’evento dannoso. Uno schema contrattuale di questo genere risulta a favore dell’assicurato, che non avrà di che preoccuparsi fintantoché rimarrà assicurato, alle medesime condizioni, con la compagnia assicurativa. Il bilanciamento di interessi (e quale corollario, la meritevolezza) è di tutta evidenza in tale clausola: da una parte l’assicuratore, cessato il periodo di garanzia, non sarà tenuto in alcun modo a rispondere dei danni, seppur conseguenti a eventi prodottisi nella vigenza del contratto; dall’altra il contraente riceverà “in cambio” per tutta la durata del contratto, una totale copertura assicurativa, anche per eventi già verificatesi, di cui non ne sia ovviamente a conoscenza. La claims made pura, a conti fatti, prevede un modello assicurativo del tutto atipico e differente da quello di loss occurrence, ma non per questo meno meritevole agli occhi dell’ordinamento.

A seguito di una presa di posizione tanto netta da parte del Supremo Collegio, pare possibile affermare, con un certo grado di certezza, che le previsioni concernenti le clausole claims made pure, saranno considerate senz’altro valide ed efficaci[8].

La stessa linearità di ragionamento – con uno stesso grado di prevedibilità quanto allo scrutinio da parte dei giudici di merito – non sembra potersi rinvenire con riferimento alle claims made impure, ove appare più difficoltoso rintracciare quel contemperamento di interessi tra le parti. E invero in queste ipotesi la posizione del contraente sembrerebbe a prima vista di svantaggio, posto che non solo (al pari della claims pura) la richiesta di risarcimento deve pervenire entro il periodo di assicurazione, ma altresì l’evento dannoso deve verificarsi entro un periodo predeterminato (in ciò la comunanza con lo schema loss occurrence).

Anche la Suprema Corte ha, da parte sua, sollevato dubbi considerando “particolarmente penalizzante” la limitazione della copertura alla sola ipotesi in cui durante il tempo dell’assicurazione deve intervenire sia il sinistro, che la richiesta di risarcimento. Cionondimeno opportunamente la Cassazione non chiude aprioristicamente le porte a questo modello di claims made, ma ritiene indispensabile valutarla nel caso concreto, conto tenuto dell’ambito in cui tale polizza è stata proposta e sottoscritta.

A riguardo allora è necessario dare conto di un ulteriore elemento che può essere di aiuto per l’interprete nella valutazione circa la meritevolezza della clausola (in particolar modo della sua versione spuria). Fondamentale è che al contraente sia prospettata un’offerta assicurativa che incontri le sue esigenze, adatta al tipo di attività svolta e agli eventi dannosi che potrebbe causare (avuto riguardo particolare alla natura dei rischi, p.e. long tail). Altresì fondamentale è che l’assicurato capisca esattamente da cosa e per quanto tempo si sta assicurando, posto che in assenza di precisi obblighi di informazioni e correttezza[9] la compagnia assicurativa correrebbe il rischio di aver mal collocato uno strumento assicurativo (quale quello delle claims made) che in sé considerato è potenzialmente favorevole al contraente, ma che nel caso concreto potrebbe essere percepito come veicolo di una garanzia ingiustamente limitata e ristretta (e quindi immeritevole).

Ciò a conferma dell’importanza della sentenza in commento, la quale, rifiutate facili generalizzazioni circa la natura giuridica delle claims made, prende atto che, anche nelle sue versioni più “dubbie”, l’interprete non può esimersi dal valutare la circostanza fattuale, alla stregua delle esigenze del singolo contraente.

3. Suggerimenti pratici

Qualche spunto rabdomantico, da ultimo, per accompagnare la clausola nel suo scivoloso percorso verso la meritevolezza.

Come detto i problemi maggiori si ravvisano per la claims made spuria. In questa particolare ipotesi del resto la clausola ripropone in certo modo lo schema proprio di loss occurrence con in più la condizione peggiorativa (per il contrente) rappresentata dal fatto che la richiesta di risarcimento deve prospettarsi (al pari dell’evento) necessariamente entro un ristretto termine temporale, quale quello di garanzia.

Nella prassi è già invalso l’inserimento di clausole c.d. di retroattività[10], per le quali se da una parte si prevede che la richiesta di risarcimento deve pervenire entro il termine della polizza assicurativa, dall’altra parte, quale perfetto esempio di bilanciamento di interessi, si ricomprendono danni derivanti da eventi occorsi anche in un periodo antecedente (di solito tre o cinque anni) alla stipulazione del contratto.

Del pari le compagnie assicurative hanno elaborato la clausola di garanzia c.d. postuma o di ultrattività[11]. Attraverso questa l’assicuratore concede al contraente la possibilità di essere mallevato per tutte le richieste per la prima volta pervenute non solo entro il periodo di assicurazione, bensì anche per un certo e limitato periodo temporale successivo alla scadenza della polizza (fermo restando che l’evento dannoso, questo sì, deve verificarsi entro il periodo di garanzia). Si capisce come una copertura di questo genere sia quanto mai opportuna, in particolare per coloro che non intendono rinnovare la copertura. Con la claims made, infatti, il rischio più elevato che corre il contraente è quello di vedersi rivolgere una richiesta risarcitoria, (ad es. derivante dalla propria attività lavorativa) molti anni dopo quando magari ha nel frattempo già cessato l’attività e non ha ritenuto necessario continuare ad assicurarsi. In tal modo prevedendo un periodo di ultrattività – ciò in particolare a mezzo della garanzia c.d. ereditaria[12], ove il periodo successivo alla scadenza della polizza è ancora maggiore e rinnovabile dagli eredi (i quali potrebbero essere chiamati a rispondere dei danni causati dal de cuius)- il contraente si pone al riparo da eventuali richieste risarcitorie tardive.

Il rischio, per l’assicurato, di cadere in un buco di copertura, cioè di trovarsi in uno stato in cui non sia coperto da alcuna assicurazione, è percepito come particolarmente critico in particolare ove si adotti la claims made. Invero sono in tal senso numerose le ipotesi nelle quali il contraente non esperto (o forse verrebbe da dire, non bene informato) rischia di dover rispondere con il proprio patrimonio, per richieste scaturite da eventi dannosi per i quali magari credeva di essere coperto.

Al caso di cui sopra, ovvero il contraente che decida di non rinnovare più la polizza per cessata attività, si possono aggiungere altri esempi, come nel caso di chi ha voluto passare ad altra compagnia assicurativa, ovvero da una polizza assicurativa loss occurrence ad una claims made e viceversa. D’altra parte uno dei motivi che hanno condotto all’affermarsi della claims made, oltre ai già noti e sopra esposti, è stato proprio la loro propensione nel promuovere e accrescere la fidelizzazione del cliente contraente, verso la medesima compagnia assicurativa. In linea di principio, infatti, il rischio di buchi di copertura, si smorza in caso di tacito rinnovo, il quale garantisce senza soluzione di continuità tutto il periodo di copertura, fin dal primo anno (e anche addietro in caso di retroattività).

A riguardo è opportuno sottolineare che in assenza di tacito rinnovo ciascuna polizza (in genere di durata annuale) deve considerarsi autonoma e indipendente rispetto alle precedenti e alle successive, con il rischio per il contraente, anche qualora sia rimasto fedele alla medesima compagnia, di non essere (ovvero, di perdere) la copertura col passare degli anni.

La questione non è di poco conto: all’atto della stipula di una nuova polizza, come noto, il contraente deve dare notizia all’assicuratore di tutte le circostanze tali per cui l’assicuratore non avrebbe dato il suo consenso o non lo avrebbe dato alle medesime condizioni se avesse conosciuto il vero stato delle cose (artt. 1892 e ss. cc.). Di conseguenza, in assenza di tacito rinnovo (ma lo stesso dicasi allorché si sia cambiata compagnia assicurativa), il contraente è tenuto di anno in anno a dichiarare di non essere a conoscenza di richieste di risarcimento né di circostanze rilevanti che potrebbero causarne. Nell’eventualità poi in cui, all’atto di stipulare la nuova polizza, il contraente desse pronta notizia di richieste o circostanze di cui sopra, queste sarebbero escluse dalla copertura assicurativa, oltretutto incidendo sull’indice di valutazione per la determinazione (a rialzo) del premio. Non meno importante inoltre il fatto che, nel caso prospettato, il contraente non maturerebbe mai a proprio vantaggio alcuna retroattività, posto che questa risulterebbe sempre pari al periodo indicato dalla clausola contenuta nel nuovo contratto[13].

Contro tali rischi, che potrebbero dare adito a questioni di meritevolezza, sono state elaborate apposite clausole funzionali a bilanciare gli interessi tra le parti. Si tratta delle c.d. deeming econtinuous clauses. Queste trovano una loro utilità in particolar modo nelle ipotesi in cui contrattualmente non sia previsto il tacito rinnovo o si sia deciso di cambiare (o cessare) copertura assicurativa. Con la prima la compagnia assicurativa è tenuta a garantire l’assicurato anche dalle richieste di risarcimento pervenute dopo la scadenza della polizza, ma che siano conseguenza di circostanze già denunciate dal contraente nel periodo di assicurazione. Ovviamente non deve trattarsi di una richiesta di risarcimento già avanzata dal danneggiato, bensì di una situazione di cui il contraente sia a conoscenza e da cui tema possano derivare future contestazioni. Con la deeming clause una volta denunciata la circostanza, l’assicurato sarà garantito da ogni richiesta di risarcimento indipendentemente dall’essere ancora o meno assicurato con la medesima compagnia.

La clausola continuous cover (i.e. copertura continua) ovvia, per altre vie, ai problemi causati dall’assenza del tacito rinnovo, essendo finalizzata a garantire l’assicurato da quei sinistri che possono sorgere in corso di validità della polizza, ma che siano riconducibili a circostanze già note all’assicurato, delle quali tuttavia non abbia dato notizia al momento di contrarre la polizza (purché la mancata comunicazione delle circostanze note al contraente non sia dovuta a dolo dell’assicurato).

Né da ultimo va sottaciuto l’interessante “avviso ai naviganti” che in tema di meritevolezza si rinviene, pur in modo sintetico, nella decisione delle Sezioni Unite laddove si fa rilevare che il giudice di merito, ai fini del vaglio allo stesso demandato, potrà tener conto “di tutte le circostanze del caso concreto, ivi compresi altri profili della disciplina pattizia, quali, ad esempio, l’entità del premio pagato dall’assicurato…”.

Ciò che sembra suggerire che il controllo della meritevolezza da parte dei giudici di merito sia portato anche sul piano dell’equivalenza economica delle prestazioni.

Quanto alle compagnie e agli utenti l’”avviso” suona come un invito ad una negoziazione di buona fede e correttezza nel rispetto degli obblighi di informazione e trasparenza.

4. Conclusioni

Complessivamente tra questioni risolte e nuovi fronti aperti, alla decisione delle Sezioni Unite – al netto delle conclusioni ivi riportate in materia di assicurazione obbligatorie – va sin da subito riconosciuto il merito del pragmatismo. Sia perché, sgombrando il terreno da preconcetti e ostracismi, ha confermato la piena compatibilità di principio della claims made con l’ordinamento italiano e senza arretramenti rispetto ad uno strumento già noto e sperimentato nella prassi assicurativa internazionale. Sia perché, al contempo, la Suprema Corte ha riconosciuto i limiti del proprio sindacato, lasciando margine al vaglio dei giudici di merito, in un ambito in cui flessibilità e attenzione al caso concreto sono imprescindibili.

L’auspicio è che su questo terreno la giurisprudenza, con il supporto della dottrina, possa convalidare e completare in modo virtuoso l’innesto della claims made nel nostro ordinamento e che gli operatori si predispongano a usare la clausola in modo duttile, ma nel rispetto dei principi del Codice Civile – nella chiave ermeneutica indicata dalla Suprema Corte – e del Codice delle Assicurazioni.

La quale, in una corretta prospettiva, presenta notevoli potenzialità di andare incontro agli interessi sia delle compagnie, sia degli assicurati.

In particolare in settori e situazioni caratterizzate da rischi di lunga latenza (si pensi alla rc sanitaria, alla rc professionale, alla rc prodotti, alla rc inquinamento) dove rilevante è lo stato temporale tra i diversi momenti dell’accadimento dell’illecito, la claims made, se ben utilizzata e strutturata in modo abusivo, con una appropriata apertura alle soluzioni già sperimentate nella prassi assicurativa internazionale, può favorevolmente offrire soluzioni alle rispettive esigenze.

Da una parte, quelle degli assicurati di ovviare alla difficoltà di individuazione del momento preciso in cui ha avuto luogo la condotta causa del danno, ovvero del contratto di assicurazione (in caso di successione di diverse coperture) vigente al momento in cui il danno si è realizzato; nonché di cautelarsi a fronte del rischio di buchi di copertura (supra).

Dall’altra, quelle degli assicuratori di poter tariffare il prodotto assicurativo con minore incertezza (con un allineamento tra la valutazione del rischio in sede di sottoscrizione e il suo costo in sede di liquidazione del danno); di contenere il fenomeno degli IBNR (incurred but not reported) con la possibilità di un anticipato consolidamento del bilancio di polizza alla data di scadenza contrattuale (al riparo di sopravvenienze di rischi tardivi accaduti durante la vigenza temporale della polizza ma denunciati in epoca successiva); nonché- specularmente agli assicurati- di eliminare varie incertezze di ordine temporale.

Dopo le Sezioni Unite, assicurare un passato che non si conosce –secondo la caratterizzazione che si usa riferire alla claims made- non è più una forzatura del sistema e una divagazione dai principi del nostro ordinamento in materia di assicurazione, bensì un’occasione di evoluzione del relativo mercato e di suo allineamento alla prassi internazionale.

Purché con i caveat e nel solco delle linee interpretative sopra riportate.

 


[1] Cfr. Position Paper, “Polizze claims made più vantaggiose per assicurati e assicuratori, a cura di ANIA, ottobre 2014.

[2] Le Sezioni Unite sono state chiamate a comporre il contrasto tra la sentenza 5624/2005, da una parte, e le sentenze 3622/2014 e 2872/2015.

[3] Si veda per tutte Cass. n. 5791 del 2014, per cui “Non è consentita l’assicurazione di quel rischio i cui presupposti causali si siano già verificati al momento della stipula del contratto, a nulla rilevando che l’evento, e quindi il concreto pregiudizio patrimoniale, si sia verificato in seguito. Sarebbe dunque nulla ex art. 1895 cc, per inesistenza del rischio l’assicurazione contro le malattie stipulata da persona in la patologia sia già insorta, a nulla rilevando che questa divenga oggettivamente visibile dopo la stipula del contratto; allo stesso modo sarebbe nulla l’assicurazione della responsabilità civile stipulata da persona che abbia già tenuto una condotta illecita, a nulla rilevando che il danno da essa causato sia destinato a prodursi nel futuro”.

[4] “La clausola che subordina l’operatività della garanzia assicurativa alla coincidenza temporale determinata dalla circostanza che il fatto colposo, la richiesta di risarcimento del terzo e la denuncia dell’assicurato all’assicuratore si verifichino entro il periodo di efficacia del contratto di un anno, è nulla per mancanza di causa di cui all’art. 1917 poiché viene a mancare il trasferimento del rischio dall’assicurato all’assicuratore. Tale clausola è nulla altresì sia perché rende assolutamente impossibile per il contraente esercitare il proprio diritto, in violazione dell’art. 2965 cc, sia perché altera il regime della prescrizione di cui agli artt. 2952, 2935 e 2936, ugualmente limitando o impedendo completamente l’esercizio del diritto dell’assicurato”. Trib. Genova, del 8 aprile 2008.

[5] “La condizione racchiusa nella clausola in contestazione consente o preclude l’operatività della garanzia in dipendenza dell’iniziativa di un terzo estraneo al contratto, iniziativa che peraltro incide non sulla sorte di un già insorto diritto all’indennizzo, quanto piuttosto alla nascita del diritto stesso”.

[6] Del resto il c.d. rischio putativo (come ricordato anche nella pronuncia) non è concetto estraneo al nostro ordinamento – un esempio ne è l’art. 514 del Codice sulla Navigazione, previsione ripresa anche dal generale rinvio contenuto dall’art. 1021 cod. nav., nlle assicurazioni contro i rischi della navigazione aerea.

[7] “E’ sufficiente al riguardo considerare che la prospettazione dell’immeritevolezza è in via di principio infondata con riferimento alle clausole c.d. pure che non prevedendo limitazioni temporali alla loro retroattività svalutano del tutto la rilevanza dell’epoca di commissione del fatto illecito […]”, Cfr. p. 13.

[8] Esempio di una clausola claims made pura: “L’Assicurazione vale per le richieste di Risarcimento presentate per la prima volta all’Assicurato nel periodo di efficacia dell’Assicurazione”.

[9] Del resto già presenti all’interno del nostro ordinamento, si pensi all’art. 166 cod ass che recita “(Criteri di redazione) Il contratto e ogni altro documento consegnato dall’impresa al contraente va redatto in modo chiaro ed esauriente. Le clausole che indicano decadenze, nullità o limitazione delle garanzie ovvero oneri a carico del contraente o dell’assicurato sono riportate mediante caratteri di particolare evidenza”; o all’art. 183 cod ass per cui “(Regole di comportamento) Nell’offerta e nell’esecuzione dei contratti le imprese e gli intermediari devono:

a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza nei confronti dei contraenti e degli assicurati;

b) acquisire dai contraenti le informazioni necessarie a valutare le esigenze assicurative o previdenziali ed operare in modo che siano sempre adeguatamente informati;

c) organizzarsi in modo tale da identificare ed evitare conflitti di interesse ove ciò sia ragionevolmente possibile e, in situazioni di conflitto, agire in modo da consentire agli assicurati la necessaria trasparenza sui possibili effetti sfavorevoli e comunque gestire i conflitti di interesse in modo da escludere che rechino loro pregiudizio;

d) realizzare una gestione finanziaria indipendente, sana e prudente e adottare misure idonee a salvaguardare i diritti dei contraenti e degli assicurati.

L’ISVAP adotta, con regolamento, specifiche disposizioni relative alla determinazione delle regole di comportamento da osservare nei rapporti con i contraenti, in modo che l’attività si svolga con correttezza e con adeguatezza rispetto alle specifiche esigenze dei singoli.

L’ISVAP tiene conto, nel regolamento, delle differenti esigenze di protezione dei contraenti e degli assicurati, nonché della natura dei rischi e delle obbligazioni assunte dall’impresa, individua le categorie di soggetti che non necessitano in tutto o in parte della protezione riservata alla clientela non qualificata e determina modalità, limiti e condizioni di applicazione delle medesime disposizioni nell’offerta e nell’esecuzione dei contratti di assicurazione dei rami danni, tenendo in considerazione le particolari caratteristiche delle varie tipologie di rischio”.

[10] Esempio di quanto detto potrebbe consistere in ciò “L’assicurazione è operante per le sole perdite patrimoniali cagionate posteriormente alla data di retroattività stabilita nella Scheda di polizza a condizione che la conseguente richiesta di pagamento sia per la prima volta presentata all’assicurato durante il periodo di assicurazione in corso, e da questi regolarmente denunciata alla Società. Terminato tale periodo cessa ogni effetto dell’assicurazione e nessuna denuncia potrà essere presentata alla Società” (Polizza Lloyd’s).

[11] Esempio “La garanzia sarà operante per le richieste di risarcimento, presentate per la prima volta all’assicurato entro 3 anni dalla cessazione dell’attività, che derivino da atti illeciti posti in essere durante il periodo di validità del contratto” (Polizza Lloyd’s).

[12] “In caso di morte dell’assicurato , proroga della garanzia per 10 anni previo pagamento di un importo pari al xx% del premio riferito all’annualità in corso” (Polizza Lloyd’s).

[13] Esempio: Se al momento della prima stipula la clausola di retroattività era di 10 anni, in assenza di tacito rinnovo, l’anno successivo, il contraente non vede accrescere la retroattività, che rimane sempre pari a 10 anni e non a 11, come se (e del resto è) stipulasse ogni anno la polizza per la prima volta.

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