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Impugnazione del lodo per violazione delle regole di diritto: prossima la decisione della Corte Costituzionale

16 Ottobre 2017

Avv. Vittorio Pisapia, Craca Di Carlo Guffanti Pisapia Tatozzi & Associati

Di cosa si parla in questo articolo

Sommario: I. – La questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d’Appello di Milano. II. – L’impugnabilità o meno del lodo rituale per violazione delle regole di diritto relative al merito (la disciplina vigente fino alla riforma del 2006 e quella attuale). III. – L’orientamento della Corte d’Appello di Milano: il lodo è impugnabile per violazione di legge solo se ciò è previsto dalla convenzione arbitrale, anche se anteriore al 2 marzo 2006. IV. – Le sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione del 9 maggio 2016. V. – L’oggetto del giudizio nel quale è stata sollevata la questione: contratto quadro tra banca e cliente e contratti di swap. VI. – Il contenuto dell’ordinanza di rimessione della Corte d’Appello di Milano. VII. – Le implicazioni pratiche della questione.

 

I. – La questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d’Appello di Milano

Il 6 dicembre 2017 si terrà la camera di consiglio della Corte Costituzionale sulla questione di legittimità sollevata – in tema di arbitrato – dalla Corte d’Appello di Milano con ordinanza 30 novembre-16 dicembre 2016[1].

La questione sottoposta alla Consulta è la seguente: se sia costituzionalmente legittimo il principio, scaturito dalle sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione del 9 maggio 2016, secondo cui i lodi rituali emessi in procedimenti arbitrali promossi dal 2 marzo 2006 (entrata in vigore del D. Lgs n. 40/2006 sulla riforma dell’arbitrato), ma sulla base di convenzioni arbitrali stipulate prima di tale data, sono impugnabili anche per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia[2].

II. – L’impugnabilità o meno del lodo rituale per violazione delle regole di diritto relative al merito (la disciplina vigente fino alla riforma del 2006 e quella attuale)

1. – Per comprendere il senso e la rilevanza, anche pratica, della questione, occorre anzitutto ricordare che, in generale, il lodo rituale ha una maggiore “stabilità” rispetto a una sentenza dell’autorità giudiziaria ordinaria.

Infatti (al di là della revocazione e dell’opposizione di terzo) lo strumento per impugnare il lodo è l’azione di nullità ex art. 828 c.p.c. e tale azione è un mezzo di impugnazione a critica vincolata, ossia proponibile solo per i motivi di cui all’art. 829 c.p.c.[3]

Fino alla riforma del 2006, questi motivi erano nove (art. 829, c. 1. c.p.c., vecchio testo); con la riforma del 2006 sono diventati dodici e sono elencati nel vigente art. 829, c. 1, c.p.c.

Si tratta di motivi attinenti, non al merito della controversia, ma a vizi del procedimento (vizi di attività o errores in procedendo). Il che, come si ricordava, comporta che il lodo sia più difficilmente impugnabile rispetto a una sentenza[4].

2. – Il rimedio per censurare nel merito il lodo è in realtà rappresentato dal motivo fondato sulla violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia (ossia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto). Ad esempio, il lodo sarà censurabile per questo motivo se gli arbitri hanno violato le norme in tema di interpretazione dei contratti e vi sia un nesso causale tra la violazione denunciata e la decisione[5].

Ora, prima della riforma dell’arbitrato del 2006 al riguardo la regola generale era che il lodo era sempre impugnabile per violazione delle regole di diritto, fatta eccezione per il caso in cui nella convenzione arbitrale le parti ne avessero escluso l’impugnabilità o avessero autorizzato gli arbitri a decidere secondo equità (art. 829, c. 2, c.p.c., vecchio testo).

La riforma dell’arbitrato del 2006 ha capovolto la regola e ha introdotto il principio per cui il lodo è impugnabile per violazione delle regole di diritto solo se le parti, nella convenzione arbitrale, lo abbiano espressamente previsto (art. 829, c. 3, c.p.c., testo vigente).

La norma transitoria di cui all’art. 4 del D. Lgs n. 40/2006 stabilisce che questa regola si applica a tutti i procedimenti arbitrali promossi dopo l’entrata in vigore della riforma (2 marzo 2006), senza distinguere se la convenzione arbitrale sia stata stipulata prima o dopo l’entrata in vigore della legge[6].

III. – L’orientamento della Corte d’Appello di Milano: il lodo è impugnabile per violazione di legge solo se ciò è previsto dalla convenzione arbitrale, anche se anteriore al 2 marzo 2006

1. – Fino alla sentenza delle Sezioni Unite del maggio 2016 la Corte d’Appello di Milano aveva maturato l’orientamento per cui sarebbe irrilevante il tempo della stipula della convenzione e aveva ritenuto che la nuova disciplina fosse applicabile “a tutti i procedimenti arbitrali promossi mediante domanda d’arbitrato dopo il 2006, indipendentemente dal tempo della sottoscrizione della clausola arbitrale” (con conseguente inammissibilità dei motivi fondati sulla violazione di regole di diritto sostanziale nel caso di mancata espressa previsione in questo senso nella convenzione arbitrale).

La Corte d’Appello di Milano aveva, in particolare, motivato il proprio orientamento alla luce: a) del chiaro tenore letterale della norma transitoria; b) del principio tempus regit actum (per cui il processo civile è regolato nella sua interezza dal rito vigente al momento della proposizione della domanda, salva diversa disposizione di legge transitoria).

2. – L’orientamento della Corte d’Appello di Milano era conforme a quello seguito da diverse pronunce della Cassazione, anteriori alle sentenze delle Sezioni Unite del 2016.

Tali pronunce avevano affermato che, per l’applicabilità della nuova disciplina dell’art. 829, c. 3, c.p.c., la data di stipula della convenzione arbitrale[7] fosse irrilevante, tenuto conto: a) della “chiarissima” formulazione della disposizione transitoria, che non lascia all’interprete alcun margine di discrezionalità; b) del fatto che l’intangibilità di un dato regime impugnatorio non è assistito da alcuna garanzia costituzionale (cfr., tra le altre, Cass., 25 settembre 2015, n. 19075; 17 settembre 2013, n. 21205).

Secondo altro orientamento della Cassazione, invece, nel silenzio della convenzione arbitrale stipulata prima del 2 marzo 2006, il lodo sarebbe impugnabile per errori di diritto anche se il procedimento arbitrale sia stato promosso dopo l’entrata in vigore della riforma. In particolare, la Prima Sezione, proponendo una lettura costituzionalmente orientata della norma transitoria, aveva affermato che sarebbe “inaccettabile un’applicazione retroattiva di un regime di estesa generale impugnabilità per ragioni di diritto a momenti negoziali anteriori alla sua entrata in vigore e nei quali il silenzio serbato era diretto a consentire quell’impugnazione” (Cass., 3 giugno 2014, n. 12379; cfr. per tutte: Cass., 19 aprile 2012, n. 6148).

IV. – Le sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione del 9 maggio 2016

In questo contesto, con sentenze del 9 maggio 2016, n. 9341, 9284 e 9285 sono intervenute le Sezioni Unite, le quali hanno aderito al principio opposto a quello seguito anche dalla Corte d’Appello di Milano[8].

Le Sezioni Unite hanno infatti affermato che, se la convenzione arbitrale è anteriore al 2 marzo 2006, l’impugnazione per violazione delle regole del merito è ammessa, anche se non prevista dalla convenzione (salvo che le parti stesse avessero autorizzato gli arbitri a giudicare secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile: cfr. anche Cass., 13 luglio 2017, n. 17339).

A fondamento di questo principio, le Sezioni Unite hanno proposto un’interpretazione incentrata, in particolare, sull’espressione “legge” usata dall’art. 829, c. 3., c.p.c. (testo vigente), per cui “l’impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge”.

Per le Sezioni Unite, la “legge” a cui fa riferimento l’art. 829, c. 3, c.p.c. (vigente) è quella che “disciplini la convenzione di arbitrato”, vigente al tempo della stipula, ossia – per le convenzioni anteriori al 2 marzo 2006 – (anche) il comma 2 dell’art. 829 c.p.c., nella versione vigente prima della riforma dell’arbitrato (comma che, come si è ricordato, prevedeva la generale impugnabilità del lodo per violazione di legge, salva diversa volontà delle parti).

Ne segue che, secondo le Sezioni Unite, se la convenzione è stata stipulata prima del 2 marzo 2006, il silenzio tenuto dalle parti in merito all’impugnabilità del lodo va interpretato in modo conforme alla legge a quel tempo vigente, ossia all’art. 829, c. 2, c.p.c., vecchio testo, e quindi nel senso della volontà delle parti di ammettere l’impugnazione del lodo anche per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia.

V. – L’oggetto del giudizio nel quale è stata sollevata la questione: contratto quadro tra banca e cliente e contratti di swap

La Corte d’Appello di Milano ha sollevato la questione di legittimità costituzionale in un giudizio di impugnativa (promosso nel 2015) di un lodo emesso in forza di una clausola compromissoria contenuta in un contratto quadro tra una banca e un cliente – stipulato in data 10 ottobre 2003 (e quindi prima dell’entrata in vigore della riforma dell’arbitrato) – in relazione a una controversia in materia di contratti di swap.

In forza della clausola arbitrale, il cliente aveva promosso un procedimento arbitrale nel quale aveva sollevato contestazioni in merito al perfezionamento di sei contratti di interest rate swap, stipulati in un’unica soluzione mediante la sottoscrizione di un contratto quadro.

Il collegio arbitrale aveva respinto le domande e il lodo era stato poi impugnato dal cliente.

In particolare, il cliente aveva dedotto la nullità del lodo per violazione di una serie di norme di diritto sostanziale (artt. 1362, 1325, 1343, 1349, 1709 c.c., art. 23 TUF).

La banca, dal canto suo, aveva eccepito l’inammissibilità di tali motivi ex art. 829, c. 3, c.p.c.: infatti la clausola arbitrale non prevedeva in modo espresso l’impugnabilità del lodo anche per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia.

Nel corso del giudizio sono poi intervenute le citate decisioni del 9 maggio 2016 delle Sezioni Unite.

VI. – Il contenuto dell’ordinanza di rimessione della Corte d’Appello di Milano

1. – In questa situazione, la Corte d’Appello ha rimesso la questione alla Corte Costituzionale[9], e ciò in quanto:

a) da un lato, l’orientamento espresso fino ad allora dalla Corte d’Appello era stato, come si è detto, nel senso di “applicare la nuova disciplina a tutti i procedimenti arbitrali promossi mediante domanda d’arbitrato dopo il 2006, indipendentemente dal tempo della sottoscrizione della clausola arbitrale”;

b) dall’altro lato, “le sentenze Sezioni unite di cui sopra hanno i requisiti per essere qualificate «diritto vivente», come tale non suscettibile di diversa interpretazione, fatto salvo il sindacato di costituzionalità”.

In particolare, la Corte d’Appello di Milano ha così motivato la questione:

a) ad avviso delle Sezioni Unite, la legge cui fa riferimento l’art. 829 comma 3 codice di procedura civile idonea a escludere limiti d’impugnabilità del lodo, è, esclusivamente, quella vigente al momento della stipulazione della convenzione d'arbitrato”;

b) sempre secondo le Sezioni Unite, ammettere, dunque, “l’applicazione del riformato art. 829 comma 3 codice di procedura civile, anche alle convenzioni sottoscritte prima della sua entrata in vigore, significherebbe modificare la portata del silenzio tenuto dalle parti nella stipulazione della convenzione, attribuendo a esso un significato diverso rispetto a quello conosciuto e voluto dalle parti. Pertanto, il significato del silenzio delle parti al momento della stipulazione della clausola arbitrale deve essere stabilito sulla base della legge vigente al momento in cui essa è avvenuta, a nulla rilevando la modifica sopravvenuta della disciplina in materia di arbitrato”;

c) la pronuncia delle Sezioni Unite integra “diritto vivente”, che, ove non condiviso dal giudice di merito, facoltizza quest’ultimo a proporre, sussistendone i presupposti, questione di legittimità costituzionale;

d) se si assume come cardine dell’arbitrato la volontà delle parti, la modifica  legislativa del 2006 rende possibili diverse soluzioni tra le quali si segnalano  le seguenti: a) le parti rinegoziano la clausola compromissoria; b) le parti non rinegoziano la clausola accettando implicitamente il nuovo regime delle impugnazioni  dei  lodi  post 2006; c)  le parti  non rinegoziano la clausola,  ma  si  accordano,  prima  di  attivare  un arbitrato e con distinta specifica contrattazione, sul fatto che quel solo lodo possa essere eventualmente impugnato anche  per  violazione di regole di diritto, immutata la  clausola  compromissoria  per le future eventuali altre controversie”;

e) in tutti i casi la libertà negoziale delle parti era assicurata maggiormente dal regime transitorio previsto dalla legge del 2006 piuttosto che dalla norma che scaturisce dall’intervento delle Sezioni unite”;

f) la norma che scaturisce dall’intervento delle Sezioni unite è in contrasto   con” i seguenti principi e norme costituzionali:

(i) art. 3 – Violazione del principio di uguaglianza”: la norma “comporta una disparità di trattamento tra situazioni sostanzialmente analoghe che il legislatore del 2006 ha, invece, volutamente posto sullo stesso piano: la situazione di tutti coloro i quali promuovono un arbitrato dopo il 2006. In tal modo, la Corte di cassazione applica due regimi normativi diversi a situazioni analoghe, determinando un’irragionevole disparità, in termini di norme processuali applicabili, tra coloro che hanno proposto la domanda dopo il 2006, per il solo fatto che la clausola compromissoria era stata stipulata in momenti diversi”;

(ii) violazione dell’art. 3 della Costituzione, in relazione al principio del tempus regit actum: “la norma (…) viola” tali principi “poiché pone in comparazione entità di natura giuridica diversa, la clausola compromissoria (di natura sostanziale) e l’atto di impugnazione del lodo (atto processuale)”;

(iii) art. 41 Cost.”: “la norma (…) è in contrasto con l’autonomia contrattuale delle parti e con l’art. 41 Costituzione”. Infatti “la riforma del 2006” e la relativa “disciplina transitoria (…) hanno comportato una considerevole valorizzazione del ruolo dell’autonomia contrattuale, dando ai contraenti la possibilità di modificare il contenuto della clausola compromissoria e prevedere espressamente un regime d’impugnazione ad hoc”.

2. – L’ordinanza della Corte d’Appello è motivata in modo analitico e dà conto degli argomenti che, in giurisprudenza, sono stati svolti a sostegno dell’impugnabilità del lodo per violazione della legge sostanziale anche in relazione a convenzioni anteriori al 2 marzo 2006.

L’articolato ragionamento della Corte si presta tuttavia ad alcune obiezioni e, in particolare, alle seguenti (delle quali l’ordinanza mostra in ogni caso di aver tenuto conto).

A) La affermata “disparità di trattamento tra coloro che hanno proposto la domanda dopo il 2006, per il solo fatto che la clausola compromissoria era stata stipulata in momenti diversi”.

In realtà la situazione di chi impugna un lodo sulla base di una convenzione anteriore al 2 marzo 2006 è diversa da quella di chi impugna un lodo sulla base di una convenzione stipulata dopo il 2 marzo 2006.

Infatti chi ha stipulato una convenzione prima del 2 marzo 2006 ha fatto affidamento sul fatto che l’impugnabilità del lodo per errori di diritto derivava direttamente dalla legge.

L’ordinanza – consapevole dell’obiezione – osserva, in particolare, che secondo l’orientamento della Corte Costituzionale, il “fluire del tempo e, di conseguenza, uno ius superveniensvolto a incidere direttamente su rapporti giuridici preesistenti non contrastano, di per sé, col principio di uguaglianza”.

B) “I contraenti” hanno “la possibilità di modificare il contenuto della clausola compromissoria”.

Come già rilevato dalle Sezioni Unite (e come dà atto la stessa ordinanza), si tratterebbe peraltro di una soluzione pressoché irrealizzabile “perché la conclusione della nuova disciplina richiederebbe il consenso di tutti gli stipulanti, anche di quelli eventualmente interessati al mantenimento del vincolo precedente”.

L’ordinanza risponde che “una simile circostanza (…) altro non è che una manifestazione dell’autonomia contrattuale, che il nostro ordinamento riconosce alle parti, nella sua pienezza e totalità, nella fase di determinazione del contenuto del contratto”.

La contro-obiezione è che l’autonomia, e quindi la volontà delle parti, si era già espressa al momento della stipula della convenzione arbitrale (prima del 2 marzo 2006) nel senso di prevedere, attraverso il silenzio, l’impugnabilità del lodo anche per violazione di legge[10].

Consapevole di questa contro-obiezione, l’ordinanza aggiunge, per contrastarla, che: a) la clausola compromissoria è in realtà un “negozio normativo” di natura processuale, che, come tale, “detta una disciplina pro futuro, potendosi attivare solo ed esclusivamente col sorgere di possibili vertenze tra le parti”; b)pertanto, stante l’impossibilità di sapere in anticipo se un lodo sarà impugnato o meno, va da sé che, essendo la clausola finalizzata a incidere su rapporti giuridici futuri, i contraenti siano esposti alla possibile sopravvenienza di una modifica del regime del processo”.

VII. – Le implicazioni pratiche della questione

1.– La questione sottoposta alla Consulta ha implicazioni pratiche rilevanti.

Ed invero anzitutto, quanto al giudizio in corso, la stessa ordinanza della Corte d’Appello precisa che:

a) nel caso in cui si dovesse ritenere applicabile il nuovo regime” (art. 829, c. 3, c.p.c., testo vigente), “l’impugnazione del lodo arbitrale (…) sarebbe da considerarsi inammissibile, poiché non prevista espressamente dalla clausola compromissoria”;

b) diversamente, nel caso in cui si dovesse applicare il diritto vivente come scaturente dalle sentenze delle Sezioni Unite del maggio 2016, la Corte d’appello, essendo stata stipulata la clausola compromissoria in un momento antecedente l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 40/2006, dovrebbe rigettare l’eccezione di inammissibilità proposta” dalla parte resistente nel giudizio di impugnativa “e procedere all’esame dell’impugnazione per violazione di norme di diritto relative al merito della controversia”.

2. – Ma naturalmente la decisione della Consulta avrà una ripercussione (giuridicamente differente a seconda della tipologia di pronuncia che sarà adottata, ma comunque rilevante) anche sulle impugnative di lodi pendenti e future (relative a vertenze regolate da convenzioni arbitrali anteriori al 2 marzo 2006).

Al riguardo occorre considerare anzitutto che, benché siano passati oltre dieci anni dall’entrata in vigore della riforma sull’arbitrato, la questione potrebbe ancora interessare diversi (e importanti) casi.

Infatti, a titolo di esempio, anzitutto va ricordato che, in base alla norma transitoria di cui all’art. 27, c. 4, D. Lgs n. 40/2006, ai fini dell’applicabilità della vecchia o della nuova disciplina rileva il momento della proposizione della domanda arbitrale, e non quello – successivo – dell’impugnativa del lodo; impugnativa del lodo che potrebbe intervenire anche diverso tempo dopo l’avvio del procedimento arbitrale, considerate: a) le proroghe di cui, per legge o volontà delle parti, potrebbero fruire gli arbitri per il deposito del lodo; b) la possibilità che il lodo non venga notificato ai fini del decorso del termine, con conseguente applicabilità del termine lungo per l’impugnazione. Il che significa che la questione potrebbe riguardare sia procedimenti di impugnativa tutt’ora pendenti avanti le corti d’appello, sia future impugnative di lodi già emessi o che saranno emessi all’esito di procedimenti arbitrali iniziati dopo il 2 marzo 2006.

Inoltre il contratto – anteriore al 2 marzo 2006 – nel quale è contenuta la clausola arbitrale potrebbe avere – come nel caso da cui origina la questione di legittimità sollevata dalla Corte d’Appello di Milano – natura a) di accordo quadro, destinato a regolare, cioè, la futura conclusione di una serie di contratti (soggetti alla clausola arbitrale contenuta nell’accordo quadro) o b) in ogni caso di rapporto di durata che sia tutt’ora in essere o che si sia comunque protratto nel tempo.

Ne deriva che la questione potrebbe coinvolgere non solo liti già insorte ma anche liti future.

Rispetto a liti non ancora insorte o future può peraltro ritenersi corretto il rilievo contenuto nell’ordinanza secondo cui, prima di esse, “nessuno può sapere se può essere conveniente un regime processuale di maggiore o minore ampiezza della possibile impugnazione”.

Quest’ultimo rilievo – al di là della decisione che sarà presa dalla Consulta – ripropone peraltro il tema dell’importanza della redazione della clausola compromissoria e della necessità, in quella sede, di prefigurarsi, ove possibile, gli ipotetici scenari litigiosi che potrebbero scaturire dal contratto nel quale viene inserita la clausola.

Occorre in ogni caso che le parti siano consapevoli del significato che, nell’attuale assetto normativo, la legge attribuisce all’eventuale silenzio della clausola sui vari temi che vengono in considerazione in quella sede (arbitrato rituale/irrituale, di diritto/di equità etc.).

In particolare, quanto al tema oggetto di queste note (impugnabilità del lodo arbitrale per errori di diritto), la valutazione presuppone un’adeguata consapevolezza delle conseguenze che comporta optare per un arbitrato il cui lodo sia impugnabile anche nel merito o per un arbitrato destinato a concludersi con un lodo – nei fatti – non impugnabile, o comunque molto più difficilmente impugnabile.


[1] Per la disciplina del giudizio avanti la Corte Costituzionale e sulle regole per la convocazione della camera di consiglio cfr. le “Norme integrative davanti alla Corte Costituzionale” del 7 ottobre 2008, pubblicate in G.U. 7 novembre 2008, n. 261. In particolare, si riporta qui di seguito il testo dell’art. 9, il quale prevede le ipotesi di “convocazione della Corte in camera di consiglio”:

1. Se nessuna delle parti si è costituita in giudizio, il Presidente può convocare con decreto la Corte in camera di consiglio.

2. Il Presidente, sentito il giudice per l’istruzione, può convocare ugualmente la Corte in camera di consiglio, qualora ravvisi che possa ricorrere il caso di manifesta infondatezza, di manifesta inammissibilità, di estinzione ovvero di restituzione degli atti al giudice rimettente.

3. A cura del cancelliere, il decreto del Presidente è comunicato alle parti costituite trenta giorni prima della data fissata per la riunione della Corte in camera di consiglio. Ciascuna parte può illustrare, nella memoria di cui all’art. 10, le ragioni per le quali ritiene che la causa debba essere discussa nella pubblica udienza.

4. La Corte, se ritiene che la causa non debba essere decisa in camera di consiglio, dispone che sia discussa nella pubblica udienza”.

[2] La Corte d’Appello di Milano aveva promosso giudizio in via incidentale di legittimità in relazione alle seguenti norme: “art. 829, comma 3, codice di procedura civile: «L’impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge»; norma transitoria di cui al comma 4 dell’art.  27 del decreto legislativo n. 40/2006: «4. Le disposizioni degli articoli 21, 22, 23, 24 e 25 si applicano ai procedimenti arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto»; entrambe come interpretate dal «diritto vivente» costituito dalle sentenze della Corte di cassazione, Sezioni unite, numeri 9341, 9284 e 9285 del 9 maggio 2016”.

[3] Si ritiene che l’elencazione sia tassativa. Cfr.  Cass., 8 ottobre 2010, n. 20880.

[4] Si è infatti osservato come “la linea di fondo della riforma sia una riduzione della censurabilità del lodo”. Inoltre la stabilità del lodo è accentuata da “una serie di previsioni che subordinano – salvi casi gravissimi – l’ammissibilità dell’impugnazione alla previa e tempestiva denunzia degli errori nel corso del procedimento arbitrale, ove questi si manifestino già in quella sede” (Marinucci, L’impugnazione del lodo dopo la riforma. Motivi ed esito, Milano, 2009, 11). In particolare, va qui ricordato che l’art. 829, c. 2, c.p.c. stabilisce che “la parte che ha dato causa a un motivo di nullità, o vi ha rinunciato, o che non ha eccepito nella prima istanza o difesa successiva la violazione di una regola che disciplina lo svolgimento del procedimento arbitrale, non può per questo motivo impugnare il lodo”.

[5] Si discute se rientrino nella nozione di norme di diritto relative al merito della controversia quelle sulle prove. In senso affermativo cfr. Marinucci, L’impugnazione del lodo dopo la riforma. Motivi ed esito, Milano, 2009, 252. In particolare, si è osservato che “le regole di diritto relative al merito della controversia comprendono anche (…) tutte le disposizioni in materia di (…) efficacia ed ammissibilità dei mezzi di prova” (Marinucci, Commentario al codice di procedura civile, diretto da Comoglio-Consolo- Sassani- Vaccarella, Torino, 2014, vol. IV, pag. 860. Cfr. anche Salvaneschi, Arbitrato, Milano, 2016, 938, che ritiene invece “che il regime delle prove abbia una caratterizzazione personale, che non rientra in un’accezione di merito”).

[6] Riportiamo qui di seguito, per comodità, il testo degli articoli: a) 829, c. 2, c.p.c. (vecchio testo); b) 829, c. 3, c.p.c. (testo vigente); c) art. 4 D. Lgs n. 40/2006 (norma transitoria):

a) art. 829, c. 2, c.p.c. (vecchio testo): “l’impugnazione per nullità è altresì ammessa se gli arbitri nel giudicare non hanno osservato le regole di diritto, salvo che le parti li avessero autorizzati a decidere secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile”;

b) 829, c. 3, c.p.c. (testo vigente): “l’impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge. È ammessa in ogni caso l’impugnazione delle decisioni per contrarietà all’ordine pubblico”;

c) art. 4 D. Lgs n. 40/2006 (norma transitoria): “le disposizioni degli articoli 21, 22, 23, 24 e 25 si applicano ai procedimenti arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto” (2 marzo 2006). L’articolo del D. Lgs n. 40/2006 qui rilevante è il n. 24, che ha introdotto l’art. 829 c.p.c. nell’attuale formulazione.

[7] Ossia se anteriore o meno al 2 marzo 2006.

[8] Sia pur sulla base di un iter argomentativo diverso rispetto a quello seguito dalla I Sezioni della Cassazione favorevoli al principio. In particolare, come vedremo tra breve nel testo, le Sezioni Unite hanno argomentato dalla premessa che “non sembra discutibile l’inequivocabile portata della pur controversa norma transitoria” e hanno osservato che in realtà “il contrasto giurisprudenziale (…) deve trovare la sua soluzione nell’interpretazione dell’art. 829 comma 3 c.p.c.

[9] Cfr. in argomento Bertoldi-Consolo-Porcelli, Impugnazione del lodo per errores in iudicando– Sussulti alla sindacabilità del lodo per errori di diritto ammessa dalle Sezioni Unite (per arbitrati fondati su convenzioni arbitrali anteriori al 2 marzo 2006), in Giur. It., 2017, 5, 1178. Cfr. anche la successiva ordinanza della Corte d’Appello di Milano, 3 marzo 2017, in Giur. It., 2017, 5, 1178, anch’essa oggetto del commento citato, che ha sospeso l’efficacia di un “lodo impugnato per violazione di norme di diritto relative al merito della controversia, in quanto la pendenza della questione di legittimità costituzionale” – di cui all’ordinanza 30 novembre-16 dicembre 2016 – “rende difficile delimitare il perimetro del sindacato della Corte di appello”.

[10] Le Sezioni Unite hanno osservato che “non è possibile che una norma sopravvenuta ascriva al silenzio delle parti un significato convenzionale che le vincoli per il futuro in termini diverso da quelli definiti dalla legge vigente al momento della conclusione del contratto”.

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